Intervista a Elena Càsoli (Maggio 2008)

Foto di Roberto Masotti

Come nasce l’amore di Elena Càsoli per la chitarra?

Elena Càsoli: Come forse è accaduto a molti, è stato il caso a farmi incontrare la chitarra, attraverso la mia maestra delle elementari. Un’occasione fortunata, e forse negli anni ‘60 non così comune come oggi, grazie alla quale già a sette anni ho cominciato a suonare. Meno casuale è stato invece l’incontro con la musica, nato dalle passioni culturali di mio padre. Nella nostra casa c’erano tanti dischi in vinile che si ascoltavano alla sera, molti libri, e non appena ho avuto l’età per frequentare una sala da concerto o un teatro, mi sono ritrovata a passare in quei luoghi molte delle nostre serate. Così la chitarra e la musica sono diventate molto presto una presenza naturale e costante delle mie giornate.

“Suono uno strumento che vive oggi uno dei momenti più felici della sua lunga storia. Uno strumento che ha saputo evolversi adeguando struttura e caratteristiche timbriche ai mutamenti del pensiero musicale, fino a trovare nel XX secolo una molteplicità di forme ed espressioni pari solo al periodo rinascimentale e barocco.” Devo ammettere di essere rimasto molto impressionato da questa dichiarazione di intenti: spesso e volentieri ho letto di chitarristi lamentarsi della “povertà” del repertorio chitarristico, nei confronti di quello di altri strumenti come il violino e il pianoforte. Lei sembra invece ribaltare questa questione…. sottolineando la “contemporaneità” della chitarra …

E.C.: Non credo sia una mia visione esageratamente ottimistica, ma un dato reale, confermato dalla quantità di bella musica per chitarra scritta e pubblicata. Senza alcun atteggiamento critico, devo dire che io mi stupisco sinceramente quando leggo o sento di chitarristi che lamentano una carenza di repertorio. Nel mio studio si accumulano spartiti di pezzi nuovi e non, che ricevo volentieri dai compositori e dalle case editrici, ma che non ho purtroppo il tempo di suonare e di mettere in programma in concerto, proprio perché già studio ogni anno un grande numero di altri nuovi pezzi.
E’ una miniera di musica per la quale chiedo aiuto anche ai miei allievi di Berna, affinchè li leggano e li suonino nei loro concerti.


Nel libretto che accompagna Changes Chances, lei fa più volte riferimento alla “Nuova Musica”, in particolare parlando di Terry Riley. Lo stesso Riley in alcune sue incisioni parla di “New Music”, ma non sono riuscito a capire cosa si intende effettivamente: un nuovo genere musicale? Una diversa attitudine?

E.C.: Potrei dire che con questa definizione di Nuova Musica mi unisco a quella comunità internazionale di musicisti, musicologi, critici e pubblico che riconosce come tale tutta la musica che viene scritta con un’intenzione di ricerca e di creazione artistica. Che gli esiti siano poi più o meno sperimentali questo dipende dal percorso di ogni compositore, ma comune è l’atteggiamento. In particolare si sono riconosciuti in questa definizione compositori che hanno legami e derivazioni poetiche e culturali dalla storia musicale classica europea, ma oggi questa definizione è sicuramente imperfetta e limitante, se si considera la vastità e varietà della produzione musicale di ricerca a livello internazionale.
E’ un mondo di pura creazione, affascinante e multiforme, nel quale i compositori inventano, elaborano, trasformano la materia musicale con un atteggiamento di profonda libertà e indipendenza. I loro pensieri si materializzano sulla carta o nelle tracks di un computer in totale sfrenata indipendenza da qualsiasi regola o condizionamento, che non nasca dalla loro ispirazione.


Una cosa che mi ha sempre stupito è la versatilità con cui lei si approccia con disinvoltura a diversi tipi di chitarre dalla classica, alla acustica, all’arciliuto, alla elettrica sempre con l’intento di essere il più possibile al servizio del compositore … come riesce a gestire questo “parco” di chitarre? Quali sono le difficoltà che ha incontrato passando da uno strumento all’altro?

E.C.: A volte anch’io mi stupisco di come i compositori pensino che io possa essere flessibile e mi scrivano in partitura di passare dall’arciliuto all’elettrica nello spazio di pochi secondi! Immagini poi quanto tempo sia necessario, prima di questo tipo di concerti, solo per cambiare le corde a tre o quattro strumenti. Ma così è e negli anni, seguendo le richieste dei compositori e le mie curiosità, alla classica si è affiancata -ormai vent’anni fa- una Blue Blade elettrica con effetti vari, poi sono arrivate una splendida Taylor per un’opera di John Adams, la Panormo del 1846 -una elegante signora sulla quale suono Paganini e Takemitsu- e infine l’arciliuto a 13 cori. Qualche anno fa ho studiato anche la pipa cinese per due opere di Philip Glass al Piccolo Teatro Regio di Torino con Sentieri Selvaggi e ho inciso per Stradivarius con una Carlo Raspagni a10 corde Y Despuès di Bruno Maderna.
Le differenze sono notevoli, sul piano tecnico e timbrico. Io cerco di “sentire” lo strumento sotto le dita, di cogliere il più a fondo possibile la sua natura vibrante, la sua fisicità, acustica o elettrica che sia, e poi su questo lavorare fino a sentirmi in confidenza, di trovare il “suono”.


Dei suoi strumenti confesso che quello che mi incuriosisce di più è la Palormo del 1846 che lei ha adoperato in Changes Chances per i brani di Riley. Ricordo una intervista a Uto Ughi dove lui parlando del suo Stradivari si considerava come l’ultimo “custode” di uno strumento al di là del tempo e del semplice concetto di nuda proprietà, ci vuole raccontare qualcosa su questa chitarra? La sua storia, come è arrivato nelle sue mani…

E.C.: Incontrare una chitarra così è stata una fortuna. Lucio Antonio Carbone, liutaio di grande esperienza che opera nel suo laboratorio milanese, ha trovato questa Panormo durante un viaggio in Inghilterra. Come sempre accade non tutte le Panormo ancora in circolazione sono uguali e di egual valore, anche per i danni del tempo. Io l’ho provata prima del restauro e ho sentito che aveva un suono e un sustain particolari. Era, nonostante gli anni, uno strumento molto vivo, con una voce calda, pronto a vibrare appena lo si sollecita. Nel restauro, con la sostituzione delle catene ed altri interventi, è stato riportato ad un equilibrio ideale ed è stato proprio in Inghilterra, a Manchester e Liverpool, che questa chitarra è tornata di nuovo e per la prima volta in pubblico nelle mie mani.

Sono rimasto molto colpito dal disco dedicato alle musiche di Henze, frutto della collaborazione artistica con Jurgen Ruck, una collaborazione che continua dal 1990. Ce ne vuole parlare e magari anticipare qualche nuovo sviluppo musicale?

E.C.: Negli anni ho avuto la fortuna di suonare con tanti musicisti di grande valore. Ai Ferienkursen für Neue Musik di Darmstadt del 1988 ho incontrato Jürgen, che già avevo conosciuto ai corsi estivi di Oscar Ghiglia, e lì abbiamo scoperto una passione comune per la Nuova Musica. Così è nata l’idea di dar vita ad un duo dedicato principalmente a questo repertorio, commissionando ed eseguendo in prima assoluta opere di compositori con i quali eravamo in contatto. Ci siamo poi trovati accanto anche in opere contemporanee che prevedevano due chitarre nell’organico orchestrale, con la Chamber Orchestra of Europe, i Berliner Philarmoniker o la Deutsche Symphonie Orchester. Esperienze importanti con grandi direttori d’orchestra come Heinz Holliger, Kent Nagano e Claudio Abbado, che insieme ai concerti in duo hanno contribuito a rendere la nostra collaborazione profonda e duratura. Suonare insieme è un grande piacere, anche se alcune opere che abbiamo commissionato ci hanno messo a dura prova, per l’impegno e la difficoltà, come i pezzi di Klaus Ospald e Klaus Steffen Mahnkopf. Uno dei periodi più significativi del nostro lavoro insieme è stata la realizzazione di Memorias da El Cimarròn e di alcune arie dall’opera The English Cat per due chitarre, su invito e in collaborazione con Hans Werner Henze. Il risultato è stato un cd che ha vinto a Berlino l’Echo Klassik Preis 2000, e numerosi concerti nei quali questi nuovi lavori per due chitarre sono stati ascoltati, ed ora sono nel repertorio di altri duo chitarristici. Abbiamo già delle date per il 2009 e anche se la distanza tra Milano e Monaco non facilita gli incontri, la comunanza di intenti e direzione ci tengono sempre a stretto contatto.

Cage, Carter, Riley, Reich …. Quale sarà il prossimo compositore che incrocerà il suo percorso musicale? Forse … Zappa?

E.C.: Come è noto amo molto la musica di Frank Zappa e ho suonato brani da The yellow Shark con l’Ensemble Modern e il Divertimento Ensemble. Ricordo Zappa dal vivo a Francoforte, durante le prove con l’Ensemble Modern mentre i vari brani di The yellow Shark stavano prendendo forma, una grande emozione essere lì anche solo ad assistere a quell’evento! Dopo la sua scomparsa, ho partecipato ad alcune serate a lui dedicate, con lavori scritti per la mia elettrica in suo omaggio, come Early Reflection di Giorgio Magnanensi, compositore italiano da anni attivo sulla scena musicale di Vancouver. Non so se ci sarà la possibilità di fare altro di Zappa…ma altri compositori americani interessanti, alcuni dei quali sembrano seguire la direzione da lui tracciata, non mancano. Da Sidney Corbett, che vive in Germania, a Scott Johnson, del quale abbiamo fatto in prima assoluta Americans –un lavoro davvero molto interessante, dove l’elettrica ha un ruolo molto importante- con Sentieri Selvaggi lo scorso anno, a Tim Brady, canadese, ottimo chitarrista elettrico lui stesso, del quale suggerirei l’ascolto di Playing Guitar:Symphony n.1. E poi vorrei ricordare Eve Beglarian e David Lang, che miei allievi ed ex allievi della Hochschule di Berna già hanno suonato nei loro diplomi e che spero presto di mettere in repertorio. Di Reich penso di suonare Guitar Phase e continua il mio lavoro su Cage. Come suggeriva John Cage nei suoi scritti, tengo la mia mente sveglia e allerta, o almeno cerco di farlo!

Foto di Roberto Masotti

Sembra essersi creata una piccola scena musicale di chitarristi classici dediti a un repertorio innovativo e contemporaneo, oltre a lei mi vengono in mente i nomi di Marco Cappelli e David Tanenbaum, David Starobin, Marc Ribot con gli studi di John Zorn … si può parlare di una scena musicale? Ci sono altri chitarristi che lei conosce e ci può consigliare che si muovono su questi percorsi musicali?

Elena Càsoli: Credo si possa parlare di una vera e propria comunità di chitarristi che a livello internazionale è interessata a suonare e a incentivare la nascita di nuovo repertorio per questo strumento nelle sue varie forme. Un repertorio che appartenga al grande flusso della musica di ricerca, quella che prima definivamo come Nuova Musica, che tiene strettamente in contatto la chitarra con il resto del mondo musicale attivo e di qualità. Si lavora molto, dedicando un’infinità di ore a nuove partiture per strumento solista o inserito in ensembles, ci si tiene in contatto via mail, ci si manda i nuovi cd per diffondere tra noi la conoscenza di questi pezzi appena scritti, c’è poca competizione e molta intesa e collaborazione. I nomi citati sono sicuramente parte di questa comunità e almeno aggiungerei, chiedendo scusa per quelli che dimenticherò o che ancora non conosco, Geoffrey Morris in Australia, Norio Sato in Giappone, Jürgen Ruck e Seth Josel in Germania, Pablo Gomez a Città del Messico, Pablo Marquez in Francia e Magnus Andersson in Svezia.

Lei ha dedicato il suo talento e le sue chitarre al repertorio e ai compositori contemporanei, qual è il suo rapporto con la tradizione classica, suona mai pezzi che so del repertorio ottocentesco o rinascimentale?

E.C.: Certamente, mi sono formata con questo repertorio ed esso continua ad appartenermi profondamente. Lo suono in concerto, l’ho inciso, seguo gli allievi che lo studiano e lo amo molto. Non è in contraddizione, ma in condivisione del mio tempo e delle mie energie con il repertorio contemporaneo, anche se quest’ultimo per il suo carattere di work in progress continuamente in collaborazione con altri musicisti occupa una parte importante del mio lavoro.
Tanto penso che approfondire la conoscenza di un dato repertorio o autore sia importante, quanto credo che ogni musicista possa sviluppare un pensiero elastico, duttile, che gli consenta di spostarsi, non dico tra i generi –dote riservata solo a pochi- ma tra gli autori di uno stesso genere, arricchendo la propria prospettiva interpretativa e mantenedo alta la qualità artistica.


Lei ha fondato LArecords, etichetta indipendente dedicata ad incontri e produzioni particolari tra musica e letteratura, vuole parlarci di questo progetto e delle sue realizzazioni?

E.C.: LArecords è un progetto fondato con Maurizio Pisati, nato per poter realizzare progetti discografici particolari dedicati all’incontro tra letteratura e musica, in progetti che non potevano trovare spazio nei cataloghi di altre label per le quali incidiamo. LA è la nota la, che nell’Inno di S. Giovanni viene ricordata come “labii reatum”, la colpa del labbro. Noi abbiamo inteso questa colpa come “il piacere di raccontare”. Così è nato il primo cd Taxi! Con musiche di Maurizio Pisati e testi di Roberto Sanesi, poeta e traduttore di Milton, Blake e Shakespeare, la cui voce narrante è diventata parte della musica, un documento che acquista un’importanza particolare ora che egli non è più tra noi. Shin-On è l’incontro tra un pittore giapponese e quattro compositori –due giapponesi e due italiani-. Intorno alle sue opere fatte di ruggine e carta velina sono nate queste musiche, che riecheggiano filastrocche giapponesi, suoni di teiera, tra soffi di flauti e chitarre. Il Copiafavole è stata invece la sfida di trasformare in musica suoni e ritmi di macchine fotocopiatrici, raccontando nove storie molto diverse tra loro, sino a diventare uno spettacolo dal vivo al Piccolo Teatro Regio di Torino nel 2002. Ora abbiamo pronto il master di un cd dedicato aVilla-Lobos e al Brasile, con una festa brasiliana dalla quale emergono racconti, poesie, ninnananne, le musiche di Villa-Lobos e infine anche la sua stessa voce che ci dice che “il cuore è il metronomo della vita”!

Lei è presente con diversi video su youtube che la riprendono in situazioni particolari, spesso di musica-teatro e comunque diverse dal classico video del chitarrista classico inquadrato nell’atto dell’esecuzione musicale. Come mai queste scelte e lei pensa che come già avviene in altri ambiti musicali anche la musica classica possa essere adottata per un uso innovativo del mezzo video-multimediale, così come è avvenuto per la trilogia “quatsi” di Godfrey Reggio per le musiche di Philip Glass?

E.C.: Come spesso racconto, è seguendo i compositori, le loro creazioni, che mi trovo in queste situazioni dove più arti si incontrano. Sono contesti che amo molto, che mi incuriosiscono, pur non rinnegando il fascino per la “purezza” del concerto classico. La difficoltà è creare una interazione reale e profonda tra i diversi linguaggi utilizzati e non accostare semplicemente sullo stesso palco musicisti e artisti di varia natura che usano media diversi. Io credo che fusione e transdisciplinarietà tra i media utilizzati siano una condizione necessaria perché accada nello spettacolo qualcosa di speciale sia per gli artisti che per il pubblico, ma questo richiede tempo, lavoro e un’ispirazione forte.

Oltre a svolgere una notevole attività come concertista (i lettori del blog se ne saranno accorti), lei è “Gitarre Professorin” presso la Hochschule für Musik und Theater di Berna come riesce a combinare queste due attività? A volte si ha l’impressione di una dicotomia tra le due “carriere”:che un concertista non riesca ad essere allo stesso tempo anche un insegnante…

E.C.: Per me sono due espressioni diverse ma interattive del mio essere musicista. La mia attività concertistica credo sia di stimolo e non di ostacolo per i chitarristi che lavorano con me a Berna, così come l’energia dei miei studenti è per me nutrimento come concertista. A Berna
ho la classe di Chitarra e di Interpretazione della Musica Contemporanea, oltre a gruppi di musica da camera e progetti particolari in collaborazione con i dipartimenti di Elettronica, Teatro, VideoLab. Questo fa sì che i chitarristi incontrino e lavorino accanto ad altri strumentisti, attori, compositori e imparino attraverso questo contatto a vivere la musica non come motivo di isolamento, ma come un mezzo di comunicazione con altri artisti e con il pubblico. Ciò che dico potrebbe sembrare un’ovvietà a chi non frequenta il mondo della chitarra classica, ma ha un fondamento, perché nel mondo chitarristico purtroppo l’isolamento ha a volte arenato talenti molto promettenti che, non nutrendosi del dialogo continuo con altri musicisti, hanno finito per non credere più in ciò che stavano facendo. E il primo a mettermi in guardia da questo pericolo è stato proprio Ruggero Chiesa, che più volte aveva assistito con tristezza a questa strana forma di “invecchiamento precoce”, come lui stesso lo definiva, del chitarrista classico. Io cerco di aiutare ognuno a scoprire la propria direzione, a capire il perché di questo desiderio forte di voler fare della musica la propria vita, e come si può realizzare attraverso le scelte di repertorio e i contatti con il mondo musicale. Nel momento in cui un allievo trova chiarezza nelle sue motivazioni manifesta uno slancio e una energia straordinari, acquista la capacità di studiare ore e ore fino a dare una forma concreta e personale alle proprie aspirazioni.

Al di fuori della musica classica e contemporanea ascolta altri generi musicali?

E.C.: Ascolto di tutto, dal jazz che amo molto, a tante espressioni cosiddette “di confine”, al blues, alla musica etnica, da dischi che arrivano in casa portati da amici di passaggio o di ritorno da viaggi, dal Giappone al Cile. In questo periodo sto ascoltando in particolare Chet Baker e Bill Evans e i Sigur Ròs. Spesso ascolto Astor Piazzolla per approfondire il suo fraseggio così particolare, che lavoro con i gruppi da camera a Berna. Mi piace molto la musica tradizionale indiana e Federico Sanesi, percussionista esperto di tabla con il quale abbiamo di recente suonato al Comunale di Bologna, mi guida a volte alla conoscenza di artisti straordinari di quel mondo. In questo momento sto ascoltando l’ultimo cd di Paul Beier dedicato a Francesco da Milano e Perino Fiorentino, che mi ha regalato proprio Paul stamattina mentre ci raccontavamo degli ultimi concerti.

Quali sono i suoi prossimi progetti?

E.C.: Ho suonato il 28 aprile con Sentieri Selvaggi la nuova opera di Filippo Del Corno a Milano, poi suonerò di nuovo in Quartetto con flauto, percussione e tabla a Milano in maggio con prime esecuzioni di Gabriele Manca e Giulio Castagnoli. A Berna sta partendo un mio nuovo progetto intitolato HANDS, che lavorerà sul potenziale espressivo delle mani degli artisti, musicisti, pittori, attori. Sempre in Svizzera sta per uscire un nuovo cd che raccoglie alcuni momenti dello Saitenfestival2006 di Berna, nel quale ci sarà Casoleia di Hans-Joachim Hespos, un pezzo per l’elettrica fortemente sperimentale e improvvisativo composto per me nel 2003. A giugno inizierò le registrazioni per un DVD prodotto da Limen che presenterà un panorama della chitarra contemporanea attraverso opere di autori italiani, da Malipiero e Petrassi a Morricone e Donatoni, fino a Pisati e Manca. A ottobre ci sarà anche una masterclass al Conservatorio di Venezia e poi concerti con Jürgen in Germania.

Grazie ancora!