#Intervista a Eugenio Becherucci (Gennaio 2009) su #neuguitars #blog



Eugenio Becherucci: Chitarrista? Musicista? Compositore? Come è nato il suo amore e interesse per la chitarra?

Eugenio Becherucci: La mia vocazione principale è senz’altro quella di chitarrista. Nella mia famiglia di provenienza, italo-spagnola, è uno strumento molto amato, e sono stato indotto al suo studio da mio fratello Antonio, ma anche incoraggiato da tutti gli altri. In verità le mie prime esperienze musicali risalgono a quando ho cominciato a cantare in un coro polifonico di voci bianche in parrocchia, mentre in casa mi divertivo a scimmiottare i grandi su chitarre giocattolo. Mi ricordo molto chiaramente i primi esperimenti di registrazioni su rudimentali apparecchi Geloso a nastro, in cui cantavo e suonavo con i miei fratelli improbabili blues metropolitani…poi sono arrivati i primi gruppi ( o come si diceva allora: complessi), in cui ci si faceva le ossa con chitarra elettrica, acustica e classica su un repertorio vario tra il pop e il rock, non disdegnando qualche brano originale. Questo fino ai 14 anni, quando fui fulminato dall’ascolto della “vera” chitarra classica (un disco del Concierto de Aranjuez di Joaquin Rodrigo suonato da NarcisoYepes: ascoltando in famiglia l’Adagio, l’attacco dell’orchestra dopo la lunga cadenza commuoveva mia madre fino alle lacrime) e decisi che sarebbe stato il mio strumento. All’epoca frequentavo parallelamente un corso di chitarra classica e un corso di violino, ma ero talmente entusiasta delle sei corde che non esitai a scegliere…Fin da questi primi approcci è stata presente in me una forte esigenza creativa, per cui posso dire di essere nato chitarrista-compositore: conservo ancora tutti i miei quaderni di musica di quei tempi, in cui si aveva la buona abitudine di scrivere a mano gli esercizi e i brani da studiare, e sono costellati di appunti e abbozzi di piccoli pezzi che provavo a comporre. Di questi tempi, siamo all’inizio degli anni ’70, ricordo la curiosità onnivora che mi spingeva all’esplorazione del repertorio, tanto che in due anni avevo già letto una buona parte della letteratura per chitarra allora conosciuta, e che fuori dallo strumento mi spingeva all’ascolto di musica a 360 gradi, ma con una forte predilezione già allora verso il moderno e contemporaneo, ma con uno sguardo speciale anche all’antico…ricordo ascolti pieni di stupore delle Cantigas de Sancta Maria o delle messe di Guillaume de Machaut, insieme al Gesang der Jünglinge di Karlheinz Stockhausen o alla Musica per archi, percussione e celesta di Bartók Béla.

Come compositore quali sono le correnti stilistiche nella quale lei si riconosce maggiormente?

E.B.: E’ sempre difficile oggi, con la grande varietà di atteggiamenti stilistici e linguaggi presenti nel panorama musicale riuscire a inquadrarsi in una scuola o in una corrente. Dopo gli studi di composizione in conservatorio con Mauro Bortolotti (un allievo di Goffredo Petrassi), la mia esperienza di autore è stato improntata alla più grande libertà dagli schemi accademici, anche se con la consapevolezza che un percorso di conoscenza era appena iniziato. Era un periodo di transizione, alla fine degli anni ’70, in cui si stava passando dal radicalismo avanguardista di Darmstadt a posizioni meno rigide. Il mio esempio era Petrassi, che oggi si può considerare quasi un classico, ma che nel suo arco creativo aveva dimostrato che un linguaggio moderno, per essere vivo e attuale, deve possedere la forza di rinnovarsi ed evolvere, e non può e non deve essere solo autoreferenziale, né essere asservito a idee e regole che non hanno nulla di artistico.
Per tornare alla domanda potrei dire di essere un compositore eclettico, con uno sguardo speciale al minimalismo, corrente musicale che mi ha sempre affascinato.

Quale approccio segue per comporre? Usa il computer o preferisce un approccio più “tradizionale”? Scrive su pentagramma o ricorre a altre sistemi come diagrammi, disegni etc.?

E.B.: Non ho uno schema rigido di lavoro nella composizione, nel senso che il sistema può variare a seconda delle circostanze. Non mi metto mai immediatamente al computer se sto lavorando con la scrittura, preferisco semmai prendere degli appunti (spesso spunti, frammenti di idee melodiche, ma anche descrizioni di climi sonori) da cui poi svilupperò il pezzo. Altra cosa è un approccio più “materico” che può significare lavorare alla modifica di suoni mediante macchine, o studio di fasce sonore prodotte acusticamente: in tal caso il lavoro può prescindere dalla scrittura. In genere quello che mi intriga è creare diversi piani espressivi, anche nello stesso brano, dove convivano linguaggi diversi, dall’improvvisazione atonale o rumoristica al tonalismo o modalismo, all’elaborazione elettronica.. Un esempio di questo procedere è il Concerto per Garcia Lorca del 2002, per chitarra, archi e traccia audio: http://www.4shared.com/file/72672533/b63fad51/concerto_per_Garcia_Lorca.html Anche il brano Contrasto, del 2003, per due chitarristi che suonano e cantano, ha un clima di questo tipo: http://it.youtube.com/watch?v=ylNSl37K4PE

In Invisibile cities per ensemble, del 2006, ho cercato di rendere pagine sospese in una dimensione atemporale, ad un tempo antica e attuale, ispirandomi allo scritto di Italo Calvino, che sembra quasi abbia intuito che insieme alle sue parole potessero scaturire anche dei suoni con simili qualità archetipiche.
In molti miei lavori la ricerca è stata quella di dare una veste musicale ad una suggestione letteraria, nel caso del Concerto la poesia di Garcia Lorca, in Contrasto una Lauda di Jacopone da Todi, in Invisible cities il testo di Calvino, nel Notturno indiano la poesia di Tagore. Di quest’ultimo brano esiste, oltre a quella per sola chitarra, anche una versione per soprano e ensemble.
Nel comporre cerco di lavorare sui tre distinti piani percettivi dell’uomo, l’istintivo, il sentimentale e il razionale, in modo che ogni persona che ascolta, indipendentemente dalla sua età, educazione, preparazione, possa trovare degli elementi di interesse, anche se questo non vuol dire che la mia musica sia costruita coi criteri o gli stereotipi di un prodotto commerciale, in quanto essa è del tutto fuori da questa logica. Questo metodo di lavoro cerco di applicarlo a tutte le attività musicali che svolgo, ad esempio l’insegnamento o l’interpretazione.


Berlioz disse che comporre per chitarra classica era difficile perché per farlo bisognava essere innanzitutto chitarristi, questa frase è stata spesso usata come una giustificazione per l’esiguità del repertorio di chitarra classica rispetto ad altri strumenti come il pianoforte e il violino. Allo stesso tempo è stata sempre più “messa in crisi” dal crescente interesse che la chitarra (vuoi classica, acustica, elettrica, midi) riscuote nella musica contemporanea. Lei come compositore e chitarrista ritiene quanto ritiene che ci sia di veritiero ancora nella frase di Berlioz?

E.B.: La figura del compositore nel XIX° secolo era molto diversa dall’attuale, esistevano un buon numero di chitarristi compositori al di fuori della cui cerchia difficilmente ci si provava a mettere mano a brani per il nostro strumento. Infatti lo stesso Berlioz, che pure la suonava, compose solo qualche romanza con accompagnamento di chitarra… in quel periodo i grandi autori erano proiettati verso la dimensione sinfonica, le grandi sonorità orchestrali cui il nostro strumento risulta decisamente estraneo. Negli anni ’80 ho avuto modo di approfondire questo particolare argomento confrontandomi con una letteratura del tutto particolare, qual’ è quella per chitarra e pianoforte, suonando spesso in duo con mio fratello Cristiano. Se escludiamo pagine di autori come Carl Maria von Weber, Jan Krtitel Vanhal, e pochi altri, appartenenti al genere chiamato Hausmusik, musica da suonare in casa, questo tipo di composizioni era nell’800 esclusivo appannaggio di chitarristi come Ferdinando Carulli, Mauro Giuliani, Anton Diabelli e altre figure minori. Se andiamo poi a vedere il trattamento della chitarra esso risulta assai convenzionale e poco interessante in brani prodotti da non chitarristi, ed è curioso constatare come le parti chitarristiche di brani ad alto impegno concertistico come quelli di Johann Nepomuk Hummel e Ignaz Moscheles fossero dichiaratamente scritte da Mauro Giuliani, che era all’epoca residente a Vienna e collaborava con quei pianisti.
Se guardiamo al repertorio classico non c’è dubbio che il gap nei confronti degli altri strumenti sia pressoché incolmabile, perché, nonostante nell’immenso repertorio ottocentesco per chitarra si trovino anche esempi di buona musica, strumenti come il violino o il pianoforte straboccano di grandissima musica. Inoltre era diversa la conoscenza e lo sviluppo della tecnica strumentale della chitarra, che nel XX° secolo e poi nell’attuale ha avuto un’importante progresso. Dalla fine dell’800 a oggi sono cambiati i linguaggi e si è posto sempre di più l’accento sul timbro, sulle sonorità rarefatte, la musica occidentale ha iniziato ad esplorare mondi esotici, le culture popolari, di modo che la chitarra, in questa nuova ottica, ha avuto maggiori possibilità di essere valorizzata. Inoltre c’è da dire che i modelli di scrittura chitarristica dell’800 non sono più gli unici utilizzati oggi dai compositori: certo c’è anche oggi, come nel passato, un nutrito numero di chitarristi compositori (tra i quali mi annovero), ma la tecnica e le potenzialità dello strumento sono molto più conosciute anche tra i compositori non chitarristi. Se a questo aggiungiamo le infinite possibilità di combinazioni timbriche e di sonorità che oggi offre l’elettronica applicata a uno strumento come la chitarra elettrica, le applicazioni si ampliano enormemente.


Parliamo di marketing. Quanto pensa che sia importante per un compositore moderno? Intendo dire: quanto è determinante essere dei buoni promotori di se stessi e del proprio lavoro nel mondo della musica di oggi?

E.B.: Qui tocchiamo un tasto dolente, nel senso che è verissimo che oggi il compositore rischia di vivere in splendido isolamento se non trova il modo di inserirsi in un canale che porti a conoscere la sua musica e quindi ad eseguirla. C’è il mondo dei concorsi di composizione che può essere una buona vetrina, inoltre l’essere pubblicati da una edizione e/o una casa discografica che curi la diffusione delle proprie opere è anche fondamentale. Non so se sia buona cosa che il compositore (come anche l’interprete) diventi agente di se stesso, ma oggi sembra che la tendenza generale sia questa, considerando che un mezzo pubblicitario potente come internet è praticamente alla portata di tutti.
Sono certamente da apprezzare le possibilità che la tecnologia mette a disposizione di noi musicisti nel campo della comunicazione, soprattutto se si riflette sul fatto che essa ha facilitato enormemente la diffusione della promozione dell’artista. C’è però il rovescio della medaglia, che è poi l’altra faccia, quella cattiva, della globalizzazione: questo mare magnum di messaggi, video, clip audio, email, rischia di sommergerti e affogarti in un isolamento ancora più doloroso se non hai dietro una struttura più solida.
Per quanto mi riguarda, ho avuto la fortuna di essere affiancato da un gruppo di ottimi musicisti, il 
Logos Ensemble, con i quali ho avuto la possibilità di realizzare ed eseguire i miei progetti compositivi nel corso degli ultimi 20 anni.

Ho notato in questi ultimi anni un progressivo avvicinamento tra due aspetti della musica d’avanguardia, da un lato l’aspetto più accademico e dall’altro quello portato avanti da musicisti ben lontani dai canoni classici e provenienti da aree come il jazz, l’elettronica e il rock estremo come Fred Frith, John Zorn, la scena downtown newyorkese e alcune etichette di musiche eletroniche come la Sub Rosa e la Mille Plateux. Lei ha suonato con Otomo Yoshihide, uno dei migliori rappresentanti dell’avanguardia e dell’improvvisazione non accademica. Che ne pensa di queste possibile interazioni e pensa che vi sia spazio anche per esse in Italia? Come è nata l’esperienza di suonare con Yoshihide?

E.B.: Naturalmente penso tutto il bene possibile di queste collaborazioni e auspico che ne possano nascere di nuove anche in Italia. Il problema è solo trovare la disponibilità di questi artisti, in genere tutti con una agenda piuttosto intensa. L’esperienza con Otomo Yoshihide è stata esaltante, perché è maturata dopo un lungo periodo in cui con il Logos Ensemble lavoravamo regolarmente in sedute di improvvisazione radicale, quindi come gruppo eravamo pronti a confrontarci con questo mostro sacro. Il Logos è un gruppo ormai storico nel panorama della musica contemporanea, e in una prima fase della sua attività ha lavorato molto nel campo dell’avanguardia accademica. Col passare degli anni, spinta soprattutto da mio fratello Cristiano, pianista e tastierista, (con il quale ho un sodalizio artistico risalente all’infanzia) si è fatta forte l’esigenza all’interno del gruppo di percorrere strade più originali e staccate dai canoni classici: sono nati così gli spettacoli “Zapping”, dedicati alla musica di Frank Zappa ed al suo mondo sonoro, Suoni Medioccidentali, Ipervlx, le collaborazioni con artisti come Otomo, Elliot Sharp, e ultimamente Desert contemporain, con il cantante e polistrumentista berbero Nour Eddine. Lo spettacolo con Otomo Yoshihide consisteva in un’improvvisazione di un’ora e mezza durante la quale ognuno di noi ha avuto il privilegio di dialogare con questo straordinario musicista. Solo nel primo brano del concerto, della durata di circa 10 minuti, era stata concordata una piccola struttura grafica relativa all’intensità e alla frequenza degli interventi strumentali: questo tempo è servito per ascoltarci, sentire i timbri e l’attacco di tutti gli strumenti e capire come interagire, per il resto della performance siamo andati avanti come se avessimo suonato insieme da sempre. Qui si può ascoltare un estratto da questo concerto: http://www.4shared.com/file/72334987/db9a2148/01_otomo_logos_.html

Sembra essersi creata una piccola scena musicale di chitarristi classici dediti a un repertorio innovativo e contemporaneo, oltre a lei mi vengono in mente i nomi di Marco Cappelli, David Tanenbaum, David Starobin, Arturo Tallini, Geoffrey Morris, Magnus Anderson, Elena Càsoli, Emanuele Forni, Marc Ribot con gli studi di John Zorn … si può parlare di una scena musicale? Siete in contatto tra di voi o operate ciascuno in modo indipendente? Ci sono altri chitarristi che lei conosce e ci può consigliare che si muovono su questi percorsi musicali?

Eugenio Becherucci: Per via del modo molto indipendente ed eterogeneo con cui ognuno vive e crea il suo percorso artistico non è facile stabilire un contatto tra artisti con gusti affini, anche se, magari per strade diverse, si arriva poi a lavorare su scene musicali molto simili. Ovviamente conosco quasi tutti i nomi che mi hai citato, ma a parte Arturo Tallini, non ho collaborato con nessun altro di loro. Tra i chitarristi che non figurano in quell’elenco metterei senz’altro il belga Tom Pauwels, l’italiano Angelo Colone, l’americano Dominic Frasca e naturalmente il duo tedesco di Wilhelm Bruck e Theodor Ross.

Quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?

E.B.: Il contatto sempre più frequente tra musicisti di diversa estrazione non può che vivificare, alla lunga, anche un ambiente un po’ ingessato come quello classico. Ne abbiamo esempi ormai in tutte le stagioni concertistiche, e non sono soltanto strategie per attirare un pubblico più vasto. Nella tradizione della musica occidentale l’improvvisazione è sempre esistita come prassi, anche se a poco a poco la scrittura ha avuto il sopravvento. Sarebbe sano se nei conservatori e nelle scuole di musica si istituisse un corso di improvvisazione, che per me resta di importanza vitale per la reale conoscenza dello strumento e per mettere in atto la spinta creativa presente in ognuno. Nelle mie composizioni amo alternare una scrittura definita con parti aleatorie, più o meno strutturate, e molte idee le ricavo da momenti improvvisativi sul mio strumento, ma anche su altri oggetti sonori, come percussioni, piccoli strumenti a fiato e, naturalmente, il pianoforte.

La sensazione che si ha ascoltando la sua musica è che lei sia in grado di suonare qualsiasi cosa: indipendentemente dal repertorio, da con chi sta suonando, dal compositore, dallo strumento che lei adopera dimostra sempre un totale controllo sia tecnico che emotivo, quanto è importante il lavoro sulla tecnica per raggiungere a questo livello di “sicurezza”?

E.B.: Questa domanda mi fa rammentare i primi anni di studio, in cui sfruttavo ogni minuto utile per esercitarmi sullo strumento, ascoltare musica e leggere, la mattina prima di andare a scuola, prima dell’ora di pranzo, al pomeriggio una volta sbrigata la formalità dei compiti scolastici, la sera dopo cena…si può dire che la musica e la chitarra mi riempissero le giornate, anche se qualche ragazza avrebbe preferito altrimenti…
L’acquisizione di una solida base tecnica è fondamentale per affrontare tutti i tipi di repertorio. Bisogna poi che questo saper fare non sia cristallizzato, ma sappia anche adattarsi alle proposte della musica nuova, che spesso trascendono i limiti della tecnica usuale. Mi è spesso accaduto di dover inventare delle soluzioni poco ortodosse per risolvere passaggi particolarmente ostici, o addirittura tecniche che prescindono dalla tradizione dello strumento classico, come avviene in brani come Ko-tha di Giacinto Scelsi o Memoria di Fausto Razzi, in cui l’approccio è totalmente percussivo. L’altro requisito fondamentale è una grande passione per il tuo lavoro, che ti porta a impegnare molte ore della giornata nello studio. E’ chiaro che il lavoro fatto nei primi anni
di studio è essenziale: è come con la lingua, una volta acquisito l’alfabeto non è necessario passare tutta la vita a compitarlo, ma è altrettanto chiaro che la lingua va praticata, altrimenti la si dimentica…Non si deve comunque sopravvalutare l’apporto pur fondamentale dell’acquisizione del controllo dei propri mezzi tecnici sullo strumento, in quanto è altrettanto importante avere una visione realmente musicale del brano che si va a interpretare, dunque l’approccio analitico, storico, stilistico…


Parlando di lei nella sua intervista qui sul Blog, Arturo Tallini ha detto ” Eugenio Becherucci, che ha suonato tutto il suonabile….” come è nata la vostra collaborazione in Suoni Inauditi?

E.B.: Sono molto felice della collaborazione con Arturo Tallini, di cui ho ogni giorno di più la possibilità di apprezzare le qualità umane e artistiche. L’idea del progetto Suoni Inauditi è nata intorno a quella che per entrambi è stata una sfida, comunque piacevole per chi è accomunato come noi dal voler mettersi in gioco, anche se talvolta il gioco può risultare molto impegnativo. Quando ho conosciuto Arturo sapevo di trovarmi di fronte a un artista completo, ma con una voglia di sperimentare non comune a tutti: è per questo che, capito come stavano le cose, gli ho subito proposto di lavorare insieme a un progetto d’avanguardia partendo dall’incredibile brano di Helmut Lachenmann, “Salut für Caudwell”. Questa monumentale opera pone gli interpreti di fronte a problemi di esecuzione che possono apparire insormontabili se non si ha la ferma volontà di portare a termine il lavoro ad ogni costo, cosa che ci siamo giurati quando abbiamo avuto l’occasione di ascoltare il pezzo. Conoscevo quest’opera dall’inizio degli anni ’90, quando l’avevo suonata in concerto per un paio d’anni, allora con il bravissimo collega Antonio D’Augello. Purtroppo le occasioni per suonarla si erano diradate, quindi il brano fu messo da parte. Dopo circa un decennio l’incontro con Arturo mi ha permesso di rimettere mano a questa musica, intorno alla quale abbiamo costruito un progetto, con il brano Ultima rara di Sylvano Bussotti insieme a una mia composizione, Contrasto su una lauda di Jacopone da Todi. Suoni Inauditi è uno stimolante viaggio dentro il corpo e l’anima della chitarra, in cui il classico ruolo dell’esecutore è ormai del tutto superato, l’antica figura del “virtuoso” completamente rivista in chiave attuale, e dove i due musicisti diventano di volta in volta attori, mimi, cantanti…Anche nell’approccio alla chitarra c’è poco di già sentito: durante il concerto si provi a chiudere gli occhi, dimenticare per un attimo la trascendenza tecnica delle partiture eseguite, e a immaginare chi e come in un dato momento sta producendo determinate sonorità…
“Suoni inauditi”, con tutte le implicazioni semantiche che questo aggettivo ci suggerisce: non udito, nel senso di nuovo, ma anche nel significato estremo di assurdo, sorprendente, che causa meraviglia…
Con Arturo abbiamo attualmente anche un altro progetto, Acoustic Counterpoint, che include, oltre a brani contemporanei, tra cui Nagoya Guitars di Steve Reich, musica barocca come il Concerto Italiano di J.S.Bach in una trascrizione dello stesso Arturo Tallini e anche opere del repertorio più tradizionale come la Sonatina canonica di Castelnuovo Tedesco.


Nel 2003 lei ha pubblicato con Antonio Cipriani (il Duo Eutonos) il cd Fantasia Catalana, come è nata questa collaborazione e le composizioni che suonate sul cd?

E.B.: Tengo particolarmente a questo lavoro, perché ha un significato affettivo molto speciale per me, da vari punti di vista. L’ idea di comporre queste fantasie nacque un giorno del 1997 durante uno dei miei numerosi viaggi in treno, sulla linea per Bologna, nel cui conservatorio ho insegnato dal ’90 al 2001. Avevo con me della carta da musica e non resistetti all’impulso di metter giù un primo abbozzo di alcune di queste fantasie, allora in versione per ensemble. Volevo dedicarle a mio figlio che sarebbe nato di lì a un mese: per questo alcuni dei temi scelti sono natalizi ed hanno, nella loro ispirazione popolare, quasi un sapore infantile. Mi erano sempre piaciute queste melodie semplici ma eleganti, conosciute attraverso gli arrangiamenti di Miguel Llobet, che ben riflettevano il carattere della gente catalana, così come lo avevo conosciuto in mio nonno, il pittore Francisco Urgell. Quello che era nato come un semplice, per quanto prezioso, cadeau intimo e famigliare, si trasformò poi in un vero e proprio progetto di lavoro in seguito all’incontro con il violinista Antonio Cipriani, che mi incoraggiò a scrivere un numero di fantasie sufficiente per poterlo proporre in concerto e da poterne realizzare l’incisione. Nonostante poi i numerosi impegni come direttore d’orchestra di Cipriani lo abbiano portato a diradare la collaborazione con me, non ho rinunciato a proporre questo progetto anche con altri violinisti, l’ultimo dei quali, con cui attualmente collaboro, è Lucio Santarelli. Le fantasie per violino e chitarra su temi popolari catalani sono vere e proprie composizioni originali, in cui al tema antico si uniscono altre sezioni come introduzioni, altri temi melodici, interludi e soli che mettono in risalto la bravura dei due esecutori, sempre cercando di mantenere la semplicità e lo spirito della canzone popolare. Questo disco sarà tra breve distribuito insieme alle partiture dei brani dalle Edizioni Sinfonica di Brugherio (MI), con una interessante pubblicazione CD+libro.

Nel 2001 lei ha invece pubblicato il disco solista “The guitar music of the next age”, come mai questo titolo e come è nato quel progetto?

E.B.: L’idea del titolo è dell’editore, ma non è difficile spiegarne il significato, anche in rapporto alle composizioni contenute nel CD. Letteralmente, “musica per chitarra per la prossima era”, non vuole creare un’aspettativa di musica d’avanguardia, né di “new age”, se si guarda alla linea editoriale di “Sinfonica” che ha pubblicato il disco e le musiche in esso contenute, improntata a una selezione di autori che hanno in comune un tipo di scrittura in genere solidamente ancorato alla tradizione. Vuole piuttosto significare che, nella linea artistica che questa casa editrice si propone, la musica del futuro ha e deve avere forti legami col passato…(sottolineo che questo assunto non ha per me il crisma della verità assoluta…) ho conosciuto alla fine dei ’90 il direttore artistico di Sinfonica, il validissimo chitarrista Bruno Giuffredi, e abbiamo pensato a questa collaborazione: alcuni degli autori dei brani del CD, come Nicola Jappelli, Marco Gammanossi e Franco Cavallone, si sono poi affermati in importanti concorsi di composizione a livello internazionale, il che dimostra che la selezione di compositori e brani da me operata per il disco ha avuto dei solidi riscontri. In questo disco mi è stata poi offerta l’occasione di incidere i miei primi due brani per chitarra sola, Tema con Variazioni, del 1993 e Notturno Indiano, del 2001. Il CD è acquistabile ondine sul sito di Edizioni Sinfonica: http://www.sinfonica.com/italian/cc_per_collana_1.php?coll=CD


Le propongo un gioco: le faccio alcuni nomi, che penso siano legati alle sue idee musicali, lei mi dice se ci ho azzeccato e che cosa significano o hanno significato per lei? Incomincio:
– Julian Bream
– I Raga indiani
– Italo Calvino
– Frank Zappa
– Igor Strawinsky
– Steve Reich

Eugenio Becherucci: Julian Bream: tra i grandi chitarristi del ‘900 è sicuramente quello che mi convince di più, sia sul piano della scelta del repertorio, sempre con un occhio attento alla musica contemporanea, sia sul piano interpretativo, in quanto ha sempre saputo dare una sua versione dei brani eseguiti coerentemente ad una rispettabile visione stilistica.
I Raga indiani: l’esperienza del viaggio in India a vent’anni è stata per me indelebile, sia sul piano umano che artistico. Nel 1978 ebbi la fortuna di fare una tournée in quello straordinario paese, con concerti nelle principali città del subcontinente, e in quell’occasione ebbi la possibilità di entrare in contatto con quella civiltà, compresa la sua incredibile musica…molti anni più tardi ho portato in concerto una trascrizione di un raga di Ravi Shankar per chitarra, tastiera e percussione: avevo ascoltato questo pezzo in un disco che il sitarista indiano incise col violinista Yehudi Menhuin. Nel mio brano Notturno Indiano, del 2001, versione per soprano ensemble, le liriche sono prese da una poesia di Rabindranath Tagore, dunque sembra che il mio rapporto con l’India e la sua arte continui nel tempo…
Italo Calvino: per me resta un grandissimo genio della letteratura del ‘900, e la lettura delle sue opere è per me quanto mai appagante, vi si trova la modernità, l’audacia e fantasiosa inventiva, ma anche la sapienza costruttiva e stilistica, la profonda conoscenza della lingua…sulle sue Città Invisibili sto costruendo un progetto musicale, che per ora consta di tre brani per ensemble, ma conto di allargarlo fino a renderlo autonomo come programma da concerto con voce narrante, o per una incisione discografica.
Frank Zappa: è un mio grande mito musicale, l’ho sempre amato e seguito fin dalle prime incisioni, l’ho anche ascoltato in concerto varie volte con il suo gruppo le Mothers of Inventions.
Mi piace il suo genio, la sua inventiva, il suo sarcasmo, ma anche e soprattutto l’estrema serietà e competenza con cui affronta nelle sue composizioni tutti i generi musicali, dalla semplice ballad al pezzo atonale o seriale. Questo amore è sfociato negli spettacoli “Radio Zapping” e “Zapping” realizzati dal 1997 al 2002 principalmente con l’apporto progettuale e artistico di mio fratello Cristiano, di cui curai la parte degli arrangiamenti oltre a quella esecutiva su chitarra elettrica e classica. Per avere più particolari su questi spettacoli si può visitare questo link:
http://www.logosensemble.it/radio.html
Igor Strawinsky: impossibile negare la grandezza di questo autore, che da sempre suscita in me una profonda ammirazione. Alcune sue opere sono state fondamentali per lo sviluppo della musica moderna d’arte, pensiamo solo a Le sacre du Printemps o alla Sinfonia di Salmi. E’ un compositore che ho studiato a fondo e di cui ho anche trascritto varie opere per il Logos Ensemble in occasione degli spettacoli dedicati a Zappa (non dimentichiamo che Zappa dichiarò più volte di essere stato influenzato da Strawinsky, e chi conosce i due autori non può che costatarlo…).
Per ascoltare un mio arrangiamento di Ragtime per il Logos si può visitare questo link:
http://www.4shared.com/file/72332857/4a9d6aee/02_Ragtime_Stravinsky.html
Steve Reich: L’incontro con Steve Reich e la sua musica risale al 1990, quando al Festival di Cambridge dove ero stato invitato a suonare con il Logos Ensemble ascoltai per la prima volta quello che secondo me è uno dei suoi capolavori: Different Trains per quartetto d’archi e traccia audio. Mi intrigò moltissimo la capacità di questo autore di creare con pochi ingredienti un forte effetto drammatico, e da allora non ho mai abbandonato la mia frequentazione con la sua musica, ho suonato numerose volte Electric counterpoint per chitarra e traccia audio, e nell’attuale programma con Arturo Tallini suoniamo Nagoya guitars e Clapping Music.

Come vede la crisi del mercato discografico, con il passaggio dal supporto digitale al download in mp3 e tutto questo nuovo scenario?

E.B.: Non è necessariamente negativo questo passaggio dal cd al download, anche perché non ci si può opporre alla forza degli eventi, e lo sviluppo tecnologico ci porta tra le altre anche questa innovazione. Sono però dell’idea che per gustare una buona incisione il supporto digitale rimanga insostituibile quanto a qualità e a sfumature di ascolto. Certo la fruizione della musica online è sempre un po’ frettolosa, spesso i computer non sono dotati di altoparlanti sufficientemente fedeli,
sui lettori portatili dico la mia: non fa molto bene per il nostro apparato auditivo stare sempre con le cuffie infilate nelle orecchie…diciamo che questi ascolti possono essere un assaggio di quello che poi ti offre il vero cd…è innegabile comunque che per gli artisti che sono fuori dal giro delle major discografiche quella dell’mp3 è una risorsa preziosa per la diffusione della propria musica…sicuramente questa è la faccia buona della medaglia.


Ci consigli cinque dischi per lei indispensabili, da avere sempre con se.. i classici cinque dischi per l‘isola deserta…

E.B.: Cinque sono pochini, comunque…La Mathaus Passion di Bach, Le Nozze di Figaro di Mozart, Musica per archi, percussione e celesta di Bartók, La Sinfonia di Salmi di Stravinsky, The yellow shark di Frank Zappa.

Quali sono invece i suoi cinque spartiti indispensabili?

E.B.: Parliamo di chitarra? Allora anche qui Bach (le opere complete suonabili dalle sei corde), I Douze Etudes di Heitor Villa Lobos, le Quatre pieces breves di Frank Martin, il Nocturnal di Benjamin Britten, Suoni notturni di Goffredo Petrassi.

Il Blog ha aperto di recente una nuova rubrica dedicata ai giovani neodiplomati e diplomandi, che consigli si sente di dare a chi, dopo anni di studio, ha deciso di iniziare la carriera di musicista?

E.B.: Vivere di chitarra classica rischia oggi di essere un traguardo sempre più lontano e difficile da raggiungere se non si è dotati di grande determinazione e chiarezza degli obbiettivi ai quali si punta con il proprio lavoro. In campo concertistico è essenziale avere un repertorio che segua il più possibile le proprie inclinazioni, ma che abbia anche il carattere di una proposta nuova e originale.
Bisogna quindi avere coraggio propositivo e uscire un po’ fuori dai soliti schemi esplorando il repertorio di tutti i periodo storici. Riunirsi a formare gruppi di musica da camera, che in genere offrono più possibilità di lavoro rispetto al puro solismo. In un corso di studi ben fatto si viene in contatto con le più diverse scritture musicali, dalla musica antica fino all’avanguardia, ma a chi fosse sprovvisto di una formazione approfondita su un periodo particolare consiglierei dei corsi di specializzazione, oggi conservatori e istituti privati hanno un’offerta molto ricca e variegata in questo senso. La mia esperienza con gli studenti mi insegna che quelli di loro che sono riusciti ad avviare una buona carriera lo hanno fatto spesso percorrendo sentieri insoliti…è pur vero che se si hanno le doti si può sempre seguire la via maestra dei concorsi internazionali, quelli però che ti permettono un reale lancio nel mondo musicale, premiandoti con molti concerti oltre che con denaro…


Con chi le piacerebbe suonare?

E.B.: Un sogno nel cassetto ce l’hanno tutti, e non sempre realizzabile…infatti un mio desiderio di sempre sarebbe stato suonare con il gruppo di Frank Zappa, ma tant’è, quando sarebbe stato possibile ero troppo giovane e inesperto, ora è semplicemente impossibile…tornando nel mondo reale devo dire che sono piuttosto appagato nel mio lavoro, ma se dovessi esprimere un desiderio particolare forse sarebbe quello di suonare con Steve Reich, Leo Brouwer, Jan Garbarek, Egberto Gismonti, almeno loro sono vivi…

Quali sono i suoi prossimi progetti? Su cosa sta lavorando?

E.B.: I miei prossimi impegni sono con Arturo Tallini, con il quale suonerò in Spagna in dicembre con il programma Acoustic counterpoint e in Norvegia in gennaio con lo spettacolo Suoni Inauditi. In primavera ho dei concerti in Spagna con il Logos Ensemble, con un programma di musica italo-spagnola in cui eseguirò con il gruppo, tra gli altri, un brano di Roberto Gerhard, Libra, per flauto, clarinetto, violino, chitarra, percussione e pianoforte. In estate tornerò a lavorare con Arturo in luglio a Torino; sempre in luglio, dal 13 al 19, avrà luogo la terza edizione del Festival Internazionale di Chitarra di Castrocielo, di cui sono direttore artistico. In questo festival tengo un corso di interpretazione , durante il quale sono previste tre giornate dedicate a concerti nei quali saranno invitati a suonare artisti internazionali come Juan Falù e Jorge Cardoso: ma presto stileremo il programma definitivo e lo comunicheremo volentieri anche al vostro Blog.
Avrò poi nel frattempo qualche occasione di esibirmi anche come solista, con un programma di musica italiana che ho portato con successo nell’ottobre scorso nella tournée che ho effettuato in Argentina.
Nel campo della composizione sto portando avanti il progetto delle Città invisibili e sto scrivendo un brano per il duo di chitarre.
Infine c’è l’insegnamento, che mi impegna molto e a cui tengo in modo particolare: quest’anno alcuni miei allievi si diplomeranno ed è mio dovere seguirne il lavoro molto da vicino…