Con Sciarrino ho condotto uno studio radicale, consapevole, seguendolo anche nei corsi di Perfezionamento estivi e all’Accademia invernale di Città di Castello. Da lui sono stato inoltre personalmente guidato in un vero apprendistato manuale, che negli anni di studio mi ha anche permesso di lavorare come copista per Casa Ricordi, studiando copiando e correggendo le partiture della Nuova Musica prima della loro esecuzione.
Il passaggio con Adriano Guarnieri ha segnato un altro momento indimenticabile, un apprendimento “a pelle”, di getto e irruento, dopo di che, al corso superiore, ho scelto di diplomarmi con Giacomo Manzoni, compositore di rara esperienza e affettuosa severità, unite ad una competenza non comune.
Per la Chitarra, oltre agli anni in Conservatorio con Paolo Cherici ho avuto la fortuna di studiare con un musicista completo quale Claudio Conti, allievo di Ruggero Chiesa e Oscar Ghiglia. Posso dire che i miei Maestri sono stati tali e in ognuno ho riconosciuto parte di ciò che cercavo. E’ stato un privilegio, che ha anche richiesto un lavoro serio per allontanarsene: più sono bravi più è difficile.
Lei è stato per studio in Germania, Svizzera e Giappone, che realtà ha trovato in quei paesi rispetto alla situazione italiana? Sono paesi particolarmente noti per l’approccio culturalmente favorevole alla musica contemporanea …
M.P.: Premetto: ho spesso privilegiato la curiosità rispetto alle certezze e alle soluzioni, ma ho sempre avuto una percezione certa della musica nella storia come espressione necessariamente “contemporanea”, sempre un passo avanti a noi. La prospettiva quindi è inversa: siamo noi ad essere suoi contemporanei.
Detto questo, vi sono paesi che fanno meno resistenza al passaggio del tempo, hanno una concezione alta del proprio tempo e sanno che, a lasciar fare agli artisti, spesso nascono spazi nuovi. In poche parole, sono luoghi dove talvolta troviamo tempi e luoghi di invenzione più agevoli e rispettosi. Questo non ha alcun legame con la qualità dell’invenzione, che è sempre frutto delle nostre motivazioni lavoro, ma in quei paesi, così come in Svezia, Olanda o Islanda, io avverto sempre non solo una disponibilità materiale ma anche atteggiamenti nei confronti del lavoro artistico dove rispetto e curiosità si fondono in un fare accogliente ed esigente: organizzatori, studenti e collaboratori non pre-giudicano o non suppongono, partecipano attivamente alla formazione di aspettative che stimolano ancor di più. In Giappone ho avuto l’impulso maggiore e le suggestioni più forti, forse anche per la lunga permanenza, ad ogni modo alcuni aspetti di quella cultura hanno trovato riscontro in interessi che già erano radicati in me, ed ho acquisito il senso dello “spazio tra le cose”, in Giapponese: “MA”, che da allora è entrato a far parte anche della mia firma, dove separa idealmente nome e cognome.
In molta della sua musica si coglie spesso la presenza ora più evidente, ora più trasfigurata, nascosta o snaturata della chitarra, sia essa presente con un suono classico, elettrico o trattata elettronicamente. Quanto è importante la presenza della chitarra nella sua musica?
M.P.: La Chitarra è il mio strumento. Da compositore provo piacere nell’individuare idee per ogni strumento, ma la Chitarra è la sede degli automatismi più fini delle mie dita e con loro è benevola e accogliente, tanto da costringermi, componendo, a una certa “distanza” per evitare di scrivere pezzi “da Chitarrista” (non illudiamoci, i pezzi di Chopin non sono “da Pianista”) e ottenere dei pezzi di musica.
Nella prefazione ai SetteStudi (©Ricordi199) con conscia presunzione li ho indicati come una nuova Chitarra, un’idea dello strumento attenta ai suoi suoni interiori e una percezione musicale approfondita. Nella mia musica per Chitarra, quando il suono detto tradizionale compare, si impone sugli “altri” suoni ad un livello acustico differenziato, lui -l’ordinario- diviene il diverso, che si staglia netto sulle sonorità “alternative”. Il fatto è che i suoni non esistono di per sé oltre il loro trattamento: ordinario/straordinario sono nostre distinzioni, un suono stoppato non è un’altezza eseguita diversamente. La tanto discussa poca udibilità della Chitarra è qui esplorata non come problema di volume acustico, bensì di qualità degli elementi sonori e dei loro accostamenti, di livelli di udibilità resi leggibili tramite le differenze. La prima esecuzione dei Sette studi è avvenuta il 29 luglio 1990 a Darmstadt a opera di Elena Càsoli invitata alla XXXV edizione dei Ferienkurse für Neue Musik, e a lei queste musiche sono da sempre dedicate. (vedi: “PisatiStudio2”)
M.P.: Eh! bell’elenco, e aggiungerei al volo anche Stefan Östersjö, Pablo Gòmez, Caroline Delume, Arturo Tallini, Sante Tursi, Virginia Arancio, Izhar Elias. Parlo sempre volentieri dei “miei” Interpreti.
Non chiamerei nessuno di loro “Chitarrista classico” (ma la definizione, dal punto di vista della loro formazione, è corretta): questi sono artisti che partecipano attivamente al pensiero del loro tempo, Interpreti, che in scena rischiano una visione autonoma della musica.
Sono doverose alcune distinzioni di indirizzo, personali e soprattutto cronologiche: con Elena Càsoli il rapporto artistico risale agli anni di Conservatorio. Mi ero informato: era la più brava ed a lei ho telefonato, ambedue ancora studenti, perchè eseguisse la mia prima composizione premiata in un concorso. Poi ha visto nascere i SetteStudi, ne è stata la prima interprete e dedicataria, ha reso possibile agli altri Chitarristi verificare che ciò che vedevano scritto fosse leggibile ed eseguibile; ha cioè condiviso con me la visione di un mondo nuovo sullo strumento. Le visioni continuano, affiancate a tutto il resto della vita.
A lei accosto gli altri Interpreti di lunga data, Magnus Andersson committente di “Senti?” per Chitarra e Orchestra d’Archi, Jürgen Ruck che ha voluto i “Caprichos de simios y burros” su quadri di Goya, Massimo Lonardi, complice in una scorribanda Arciliutistica, sino a Geoffrey Morris, primo interprete del ciclo Theatre of Dawn, opera di teatro in cui la Chitarra ha ruolo centrale e solistico.
Di conoscenza più recente, l’ultimo decennio, sono Pablo Gòmez, Caroline Delume, Stefan Östersjö e Arturo Tallini committente di “Guitar Clock I” per tre o infinite Chitarre, Sante Tursi, conosciuto on-line e poi “dal vivo” dopo che mi era stata segnalata sul web una sua intensa esecuzione degli Studi a Lima, sino alla generazione più giovane: Emanuele Forni che di mio ha “assaggiato” tutto, classico, le rivisitazioni di Dowland in “Catullus” o i pezzi per Chitarra Elettrica e AudioVideo, sino a Virginia Arancio dalle interpretazioni fresche e decise, o Izhar Elias, anch’egli interprete degli Studi e co-committente di OER, per una Università olandese.
Berlioz disse che comporre per chitarra classica era difficile perché per farlo bisognava essere innanzitutto chitarristi, questa frase è stata spesso usata come una giustificazione per l’esiguità del repertorio di chitarra classica rispetto ad altri strumenti come il pianoforte e il violino. Allo stesso tempo è stata sempre più “messa in crisi” dal crescente interesse che la chitarra (vuoi classica, acustica, elettrica, midi) riscuote nella musica contemporanea. Lei, come compositore e chitarrista, quanto ritiene che ci sia di veritiero ancora nella frase di Berlioz?
M.P.: La risposta è su due fronti: repertorio e approccio compositivo. Per la cosiddetta esiguità del repertorio dobbiamo talvolta ringraziare proprio i Chitarristi, ad esempio nel primo ‘900 hanno semplicemente perso una fetta di storia, scambiando le gioie dell’invenzione per “los nubarrones de la impotencia creativa”. Vi sono poi ragioni storiche e organologiche, che non è qui il caso di argomentare ma che non vanno sottovalutate e che sfociano nel nostro tempo, dove la Chitarra ha di nuovo un repertorio originale e di qualità, anche in conseguenza al miglior equilibrio tra strumenti e acustica delle sale e all’interesse dei Compositori verso “le” Chitarre.
L’approccio compositivo, come dicevo prima, è stato per me l’opposto. Berlioz in realtà avrebbe saputo comporre per qualsiasi strumento, ma è vero che può essere ostico gestire rapporti intervallari e tecniche varie su uno strumento dalla così particolare disposizione del registro e, soprattutto, dalle infinite possibilità di emissione quando appena si cominci a pensare alle due mani come effettivamente “2” e non un solo meccanismo finemente coordinato.
Ma è questione di “mestiere” e idee, non più di come sarebbe comporre per qualsiasi altro strumento non praticato personalmente: il Compositore deve conoscere gli strumenti e penso dovrebbe possedere quella qualità che mi piace chiamare “immaginazione assoluta”, utile almeno quanto l’orecchio assoluto, certo più indispensabile.
Theatre of Dawn (Teatro dell’Alba), è un’idea nata nel 1993 e portata a termine nel 2007 con l’Ensemble Elision di Brisbane, Regia di Megan Rowland, pitture in video di Ferruccio Bigi, Video di Max Bertolai, ©CasaRicordi2007.
Ognuno dei SetteStudi è diventato un Duo per Chitarra e altro strumento (Voce, Viola, SaxTenore, Flauto Dolce Contrabbasso, Clarinetto Basso, Percussione, Contrabbasso), cui ho aggiunto quattro Tracce AudioVideo, un pezzo per Percussioni Pianoforte ed Elettronica, altri due pezzi per l’Ensemble di tutti gli strumenti solisti, con parti anche di improvvisazione collettiva.
E’ un teatro fantastico immaginato in una di quelle vecchie case di pietra e legno, appartenute a minatori e ora abbandonate un po’ ovunque sulle Alpi, ai confini tra Italia e Francia, Svizzera, Austria. In quell’ora in cui non è più notte e neppure giorno, sette “spiriti” di leggende alpine si incontrano nei resti di una di queste case e quel momento indefinibile tra penombra e luce è dilatato dalla musica. Al centro del lavoro si esegue “7”, scritto nei giorni della scomparsa di Frank Zappa ed a lui dedicato, sino al finale -Dawn- dove video e suono della penna che scrive sul pentagramma si integrano con l’esecuzione dell’Ensemble.
La Chitarra è in tutta l’opera strumento principe, Geoffrey Morris è stato protagonista assoluto affrontando il lavoro con serietà e grande forza interpretativa: dietro al tulle che copre la scena e su cui sono proiettati i video, suona l’Ensemble, illuminato ora in trasparenza dal video, ora dalle luci di regia. Tutti quindi appaiono o scompaiono mentre il Chitarrista, con una telecamera sul manico dello strumento, è sempre nascosto da un ulteriore telo da proiezione: di lui si vedono solo grandi mani in movimento proiettate dal vivo sullo schermo che lo nasconde.

L’etichetta ZONE è una specie di firma, di marchio che contraddistingue una buona parte dei suoi lavori, come può essere definita? Un gruppo di musicisti? Un’interfaccia culturale?
M.P.: Fra tutte le definizioni di ZONE, “interfaccia culturale” è tra le più adeguate, mi piace e bene esprime anche parte delle motivazioni poetiche. Il nome nasce dalle suggestioni ricevute dal film Stalker, di Andrej Tarkovsky, dove la “zona” è un ambiente in cui tutto è al limite di essere altro, senza possibilità di un cammino a ritroso. Ti volti e la strada appena percorsa è già mutata.
In pratica, a partire circa dal 1993, l’idea di ZONE è divenuta questa: “un progetto, un gruppo, un’idea in evoluzione attorno alle mie musiche, dove sia coinvolto io stesso al Live Electronics o alla Chitarra Elettrica MIDI. Sulla tastiera di questa chitarra, ormai diventata un Ensemble Virtuale, si muovono gli abitatori delle ZONE: campioni delle percussioni di Maurizio Ben Omar, Jonny Axelsson e Kuniko Kato, le voci di Luisa Castellani, Marco Bortoli, Ursula Joss e Deborah Kaiser, ingegneri del suono come Alvise Vidolin, Davide Rocchesso e Hubert Westkemper, oggetti sonori manipolati, personaggi come il Maestro di Kali Maurizio Maltese, gli Attori Elena Callegari, Annig Raimondi e Riccardo Magherini, le firme e le voci di Roberto Sanesi e Thor Vilhjalmsson, i Flauti antichi di Antonio Politano, Kees Boeke e Carsten Eckert, i Flauti di Manuel Zurria, i Sax di Jörgen Pettersson, Pierre Stephane Meugè, Federico Mondelci e Jam-Paoletti, il Pianoforte di Marianne Schröder, Oscar Pizzo e Massimo Somenzi, i Violoncelli di Mario Brunello e Francesco Dillon, le Chitarre di Elena Càsoli, Jürgen Ruck, Magnus Andersson e Geoffrey Morris, il trombone di Ivo Nilsson, le immagini di Gianni Di Capua, Max Bertolai, Marcos Jorge, le pitture di Ferruccio Bigi e Salvatore Zito, artisti che vivono attivamente il pensiero contemporaneo e che, sparsi un po’ ovunque, percorrono le ZONE”

Lei ha fondato, assieme ad Elena Càsoli, LArecords, etichetta indipendente dedicata ad incontri e produzioni particolari tra musica e letteratura. Vuole parlarci di questo progetto e delle sue realizzazioni? Prossimi dischi? Come vede la crisi del mercato discografico, con il passaggio dal supporto digitale al download in mp3 e tutto questo nuovo scenario?
http://www.larecords.it/home.shtml )


M.P.: La domanda unisce due aspetti -idea e mercato- che consuetudine vuole connessi e interdipendenti, ma a mio parere le cose non stanno sempre così. Rispondo con ordine:
-L’idea: “LA”viene da “LAbii reatum”, il nome della nota nella formula mnemonica ricavata da Guido d’Arezzo da un Inno di Paolo Diacono. Il richiamo storico era necessario per dichiarare l’origine letteraria e poetica dell’etichetta: LArecords nasce dall’incontro col poeta Roberto Sanesi , la cui voce è entrata, per così dire, nel mio strumentario. Da quel momento LAbii reatum è queste voci significative, Sanesi, l’islandese Thor Vilhjalmsson , Irino Reiko Takashi, impurità del labbro, colpa del racconto e di velare-svelare i segreti che il poeta ricrea ad ogni pagina. Sotto il logo vi è infatti: “LAbii reatum, la colpa del labbro è il piacere di raccontare. LA immaginiamo come una favola. LA ascoltiamo. LA vedi?”
–Prossimo disco: la voce di Heitor Villa Lobos. Abbiamo organizzato una “festa” tra amici e musicisti italo-brasiliani in una villa gardesana, io ho composto sette incipit che, partendo da Villa Lobos, sfumavano in inviti all’improvvisazione e li ho sparsi su piccoli fogli nella villa, a sua volta disseminata di microfoni. Durante la festa, abbiamo registrato rumori, chiacchiere, lettura dei frammenti e improvvisazioni, racconti di storie e di ricette brasiliane, ottenendone poi un’unica sequenza. Al suo interno, la voce di Villa Lobos, concessa dal Museo di San Paolo, pronuncia parole forti e affettuose sulla sua terra e sulla musica, mentre Elena Càsoli esegue una scelta di brani del Compositore brasiliano. Sembra quasi di averlo lì alla festa, ascoltare la propria musica e godere del cibo.
Il disco si intitolerà “TUHU – homenagem ao malandro carioca” e, come gli altri, sarà preso in consegna per la vendita da Stradivarius.
-Mercato e tecnologia: questi cd sono fatti per essere presenti in numero limitato e nei posti più diversi. Questa è in parte anche la regola di un certo mercato, che insegna a dislocare maggiormente i prodotti piùselettivi, ma per noi è condizione mentale di default: la nostra attività non percorre strade note, si svolge prevalentemente all’estero (e poi, per forza: la maggior parte del mondo è “estero”) e così i nostri cd sono nelle mani di artisti di ogni genere in ogni parte del mondo. Venendo quindi all’mp3, direi che, come tutti i passaggi, ha portato a deviazioni dallo standard: all’inizio, la compressione mp3 penalizzava alcune frequenze a favore di una portabilità senza pari, e pochi immaginavano un mercato mp3, solo qualche appassionato di HiFi intuiva e inorridiva al solo pensiero.
Ora però il maggior “negozio” di musica in USA è iTunes, le possibilità sono maggiori e, attenzione: convivono. Quasi nulla è scomparso. Esiste l’hip hop, l’mcing e le battles, djing, beatboxing, remix, vintage…e tutto fa suono. Ancora vi sono musiche -non solo di consumo- che nascono per il vinile, ancora le produzioni discografiche usano DAT e ADAT unitamente al digitale su HD, i files passano da fibre ottiche e talvolta vengono inviati proprio così al mastering finale. Intanto anche lo sviluppo di poetiche e tecnologie muta a suo modo i mercati: soffriamo forse per la scomparsa del colofonio o dei crini di cavallo “di una volta”, o dei tasti in avorio che abbiamo scoperto essere “nocivi” per trichechi o elefanti, o delle canne in piombo nocive agli Organisti, o della forma a otto della Chitarra nociva chissà, ai matematici? Insomma io penso che il download mp3 sia solo un aspetto della straripante -e, volendo, positiva- offerta di circolazione del materiale. Il mercato dei cd ne soffre, ma lui stesso, suicida, è per primo indifferente alla qualità e destinato a naturale riduzione: perchè la falsa idea che un mercato debba solo crescere si basa su esigenze indotte e indipendenti dal prodotto, mentre al musicista serve la qualità.
Ed ecco la risposta in un paradosso: la storia insegna che le vie della qualità sono infinite, e a me interessa che anche le vie di trasmissione della qualità lo rimangano. A fronte di un declino del cd (delle sue vendite), inventeremo il modo di continuare a trasmettere, ma non per risolvere un problema di mercato.
Non nego la necessità di un business, sono il primo talvolta a lamentare la differenza col mondo delle altre arti, ma reagisco al tentativo di addossare all’artista il problema del mercato, che è solo un problema, appunto, di compravendita, interessi e necessità indotte, in una guida sapiente della spontaneità di massa.
Ho notato in questi ultimi anni un progressivo avvicinamento tra due aspetti della musica d’avanguardia, da un lato l’aspetto più accademico e dall’altro quello portato avanti da musicisti ben lontani dai canoni classici e provenienti da aree come il jazz, l’elettronica e il rock estremo come Fred Frith, John Zorn, la scena downtown newyorkese e alcune etichette di musiche elettroniche come la Sub Rosa e la Mille Plateux influenzate dal pensiero di Deleuze e Guattari. Che ne pensa di queste possibile interazioni e pensa che vi sia spazio anche per esse in Italia? Inoltre, si sente spesso parlare di improvvisazione, a volte di improvvisazione aleatoria nell’ambito della musica contemporanea a volte confondendola con l’azione e il gioco della casualità come per Cage, quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca musicale?
M.P.: L’improvvisazione mi accompagna da sempre, a fasi alterne e nelle modalità più disparate. Da studente improvvisavo nello stile di Bach e Vivaldi, ma prima, quando ancora non conoscevo la musica mi ero comprato un Kazoo con cui cantare liberamente qualsiasi cosa mi venisse in mente…, poi ho improvvisato con Maurizio Maltese, Maestro di scherma filippina “arnis de mano”, col percussionista Maurizio BenOmar sonorizzando un film ambedue con la mia Chitarra MIDI, io con le dita e lui con battenti e mani, poi col cantante dei WajaMaja Marco Bortoli, vero cappellaio matto, quindi in nippo-italiano chitarra col compositore Takashi Niigaki ed Elena Càsoli a Tokyo, sulla Chitarra classica nell’incontro ZONE-EnsembleSon di Stockholm, con l’Attore Riccardo Magherini e la magica Voce di Bernardo Lanzetti alla Palazzina Liberty di Milano, poi con la mia penna e i suoni che produce scrivendo sul pentagramma, e infine nel duo FLASHetBIP col Light Designer Fulvio Michelazzi e col saxofonista di Melbourne Tim O’Dwyer.
Sembra quasi un curriculum, ma ora pare quasi d’obbligo improvvisare, e la cosa un po’ mi diverte. E’ affascinante il pensiero di Deleuze-Guattari che Lei cita: una rilettura di Nietsche che veda quelle idee non già come teorie di dominio bensì come strumenti di liberazione, nell’esplicitazione del desiderio, essendo noi stessi organismi eminentemente desideranti. E’ auspicabile l’approfondimento di questi pensieri e forse parte della musica è in questa direzione, ma il musicista ha a che fare col suono e talvolta ho quasi l’impressione di ascoltare atavici e immaginari riti tribali, in una visione quasi limbica, gregaria e primaria dell’attività umana.
Detto questo: penso, più che ai desideri, alle esigenze -il che è ancora più primordiale, se non prenatale- e vorrei costruire organismi sonori “esigenti”, quasi con possibilità di auto-apprendimento, che si nutrano delle esigenze dell’invenzione.
Sento cioè un ulteriore bisogno di crescita. Rischio di sembrare inutilmente provocatorio, ma attualmente l’improvvisazione che mi interessa non è quella di vie già percorse da ragazzi, abbiamo rivoltato e taroccato i nostri strumenti, suonato a piedi nudi con ogni sorta di oggetti, è stato bellissimo, personalmente continuo a farlo quando servono campioni di quel tipo, ma penso che, dal vivo, sia tempo di improvvisatori alla…Beethoven: sì, compositori. Inventori, musicisti in speciale confidenza con lo strumento, un comporre rapido dove paradossalmente siano ancora attuali Frank Zappa o ancor più Miles Davis.
Di Beethoven –per noi uno dei maestri del controllo formale- i critici dell’epoca dicevano proprio che era un improvvisatore, che non padroneggiava la forma da vero compositore….! Zappa stesso è ancora illuminante: “la musica la fanno i compositori…il compositore è quel tipo di persona che se ne va in giro imponendo la propria volontà a ignare molecole d’aria, spesso assistito nel suo agire da ignari musicisti…se riuscite a pensare un progetto potete anche eseguire un progetto: si tratta in fondo solo di un mucchietto di molecole d’aria, chi vi controlla?” parole a loro volta derivate probabilmente da Edgar Varèse: “…ciò che voglio arrivare a fare è perturbare l’atmosfera, perchè, dopotutto, il suono è solo una turbolenza atmosferica!”.
Ecco quindi il naturale avvicinamento tra i generi, una improvvisazione che diviene turbolenza atmosferica, pensiero e suono organizzato. Cerco quindi compagni non già tra i meteorologi, ma, per così dire, tra i venti che li preoccupano.
L’uso dell’elettronica sembra essere diventato una carattere imprescindibile per chi fa musica d’avanguardia, lei che rapporto ha con il suono digitale? Ho notato che spesso lo abbina anche al suono di strumenti come per il caso della sua composizione Catullvs, ce ne vuole parlare?
M.P.: Vale sempre il criterio dell’immaginazione assoluta. Con l’elettronica, superata una prima fase di apprendistato elementare, ho voluto ricreare le mie condizioni ideali: con la necessaria distanza dal mouse immagino suoni ed elaborazioni, strutture, concatenazioni, come quando ho in mano la penna. Concepisco il suono e le forme con profonda attenzione ai mezzi che li generano (talvolta il mezzo stesso suggerisce un’idea) e compongo i parametri di sempre: proporzione, bilanciamento, consequenzialità e contrasto, attesa, slancio, addensamento, tensione e distensione, riposo, silenzio, trovando per il suono acusticoelettronico il respiro necessario.
Inoltre, la mia elettronica origina sempre da suoni acustici, non uso processi di sintesi, semmai risintesi e manipolazione spinta.
Catvllvs ne è in effetti un buon esempio: è stato composto per UNESCO-International Institute for Opera and Poetry e Società Letteraria di Verona, a cura di Roberto Sanesi. Massimo Lonardi al Liuto e Arciliuto, Maurizio BenOmar ai Timpani antichi e Percussioni, e nella Traccia Audio una miriade di suoni, voci e campioni eleborati, addirittura tubi industriali, i famosi lunghi tubi senza saldatura della TenarisDalmine, gran suono!
Com’è noto, era uso dei liutisti, accordando, improvvisare un “tastar de corde”: anche qui ogni sezione è preceduta dal suo tastar de corde per Liuto e Percussione, non totalmente improvvisato ma da me composto in forma molto elastica: figure, segnali, risonanze, richiami alle figurazioni di Dowland da concatenare in libertà. Vi sono inoltre una Cadenza per Timpani e i testi di Catullo letti da Roberto Sanesi. Tutto attorno scorrono le mie zone di confine, campane, elettricità amplificate, i tubi d’acciaio, una “divagazione” per Arciliuto, Percussioni e Traccia Audio sulla Toccata XXIV di Alessandro Piccinini, anch’essa da me “eseguita” live al mixer come un tastar de corde.

Quale approccio segue per comporre? Usa il computer o preferisce un approccio più “tradizionale”? Scrive su pentagramma o ricorre a altre sistemi come diagrammi, disegni etc.?
-Per la notazione, a mio parere sono i softwares ad essere ancora troppo tradizionali, legati al mondo dei fonts e loro quantizzazione in modo da permettere a chiunque, principiante o no, di ascoltare il risultato. Questi softwares non sono nati per l’editoria professionale, poi invece si sono evoluti anche in quelle direzioni divenendo ormai degli standard di alto livello. Ma ancora risentono dell’origine amatoriale e della mentalità da sequencer: non liberandosi dalla possibilità di ascolto, o almeno non rendendola sganciabile dal processo di scrittura, non possono svincolarsi dal posizionamento ordinario degli oggetti musicali, sono ancora carenti dal punto di vista grafico e costringono talvolta a percorsi macchinosi per ottenere i risultati più semplici che, in quanto tali, sono spesso frutto di lunghe riflessioni e ricerche sull’essenzialità del segno.
-Vi sono poi sempre anche procedure più tecniche e personali che riassumo così: la mano felice lasciatami dall’esperienza di copista mi permette di usare tutto assieme: carta, penna, scanner, softwares di grafica, impaginazione, editing audiovideo.

Una volta che gli appunti siano in uno stadio avanzato, con “Finale” preparo pentagrammi e impaginazione di massima (ebbene sì, lo uso ormai prevalentemente come disegnatore di righi).
Poi importo l’armatura o l’intestazione degli strumenti in un programma di impaginazione. Quindi, su fogli a parte, scrivo a mano pagine o frammenti della musica che poi importo ed elaboro graficamente.
Infine, nell’impaginato organizzo i frammenti, sincronia e agogica, fraseggi, attingendo a una tavolozza di simboli manipolabili che nel tempo ho costruito. Qui integro anche le immagini della traccia audio o audiovideo: forme d’onda, frames del video, o algoritmi di MaxMsp. Letteralmente quindi: la mia scrivania mi circonda, è una workstation multimediale e multitasking, con tutto acceso.

o addirittura -per ipotesi- orme animali. E’ il caso del Trio che sto componendo, “GlyphoZoo”, imperniato sugli ipotetici segni, lasciati ai bordi dei corsi d’acqua boschivi, da creature immaginarie nate per segnare o accogliere segni.
Al concerto lo Zoo sarà visibile e animato in video, oltre che visitabile dal vivo dopo l’esecuzione.
Ne parlo perchè la Chitarra è in organico (Violino, Chitarra, Fisarmonica, Traccia AudioVideo) e perchè, nella fattispecie, forma e procedimenti originano anche dagli immaginifici comportamenti scrittorii delle creature: chi lascia un segno sulla sabbia, chi sul Mostrofoglio, chi si colora passando, chi ancora è indecifrato.
Nei suoi filmati su youtube e nella sua musica ho notato una cura e una attenzione notevoli sia per l’immagine sia per il suono, pensa che la sua musica possa essere definita come potenzialmente cinematica? Ha mai pensato di realizzare musica per colonne sonore di film?
M.P.: Rispondo con due esperienze significative sull’importanza che ha per me l’immagine. Anni fa ho ottenuto una borsa di studio per un soggiorno a Tokyo di tre mesi per lavorare al pezzo “STOCK – ZONE taku hon”: avevo trovato ad Amsterdam un libro giapponese lungo circa dodici metri rilegato a fisarmonica, che narra del viaggio fluviale di un poeta e un pittore del periodo Edo, dal tragitto simbolico Kyoto-Osaka, dalla formalità della capitale Kyoto alla città del rinnovamento. Durante il viaggio, sullo stesso rotolo di carta uno dipinge il fiume e il viaggio, l’altro scrive poesie.
Ebbene, per me non era solo un quadro: aveva infatti un inizio e una fine, e però non era solo un libro. Vi ho intravisto una sorta di cinema ante litteram, senza musica. Da qui è nato STOCK, magazzino musicale, regia e immagini di Ferruccio Bigi al Teatro Studio di Milano, per MilanoMusica, testi originali di Roberto Sanesi e Carlo Sini, con una vera barca che scivolava tra due file di Archi trasportando Mario Brunello al Violoncello, mentre MaurizioBenOmar suonava i legni esterni e interni della barca stessa.
Nel sottotitolo –ZONE Taku hon- si indicava proprio la tecnica utilizzata dai due artisti per stampare il lavoro: una tecnica di calco, dove il segno è riprodotto tale e quale quasi in una fotocopia al negativo.

L’immagine riveste quindi per me una importanza fondamentale in quanto elemento di scrittura, segno espressivo nel tempo, segno e immagine in movimento. Ho quindi composto anche musiche per film, la prima è stata “Vormittagsspuk” per l’omonimo film di Hans Richter, e la seconda “ZONE-d’Amore” per “L’Inhumaine” di Marcel L’Herbier. Due film storici per i quali ho preparato sia una Traccia Audio, sia una parte da eseguire dal vivo unitamente alla Traccia Audio (e la Chitarra era sempre tra gli strumenti utilizzati).
M.P.: Da anni la mia attività artistica si accompagna a quella didattica, attualmente al Conservatorio di Bologna, in alcune Università di Tokyo, Svezia e Islanda e talvolta in corsi estivi quali Bobbio in cui insegnavo agli esecutori a scrivere le Cadenze per i concerti di repertorio, o i corsi Novantiqua di Frascati. Vedo gli Allievi come “nuovi inventori” e nuovi “insegnanti di invenzione”; a partire da queste due definizioni rispettose ed esigenti non separo l’attività artistica da quella didattica ed ho osservato che l’insegnante non può essere un ripetitore di ciò che ha imparato. Oppure sì, ma rimane un professore.
Quindi mi viene difficile credere ai consigli generici, so che gli artisti cercano semmai suggerimenti ad personam. In un certo senso, l’artista non è persona che “inizia” una carriera: a parte il percorso del musicista di repertorio -agenzia e giro di concerti annuali con riproposta del repertorio consolidato- a parte questo percorso, dicevo, la carriera di un musicista non “inizia” veramente in un punto, con una assunzione, un incarico. Il musicista non “trova il lavoro”: deve avere rapporti di livello già mentre studia, e, soprattutto, lo sguardo deve andare subito al resto del mondo, non solo a “trovar lavoro” ma soprattutto a capire qual è il proprio spazio, perchè per ognuno esiste uno spazio personale e di invenzione che consente di mantenere intatto l’entusiasmo iniziale.
Lo studente di musica, il musicista -ricordiamo Zappa- è lì tra quelle molecole d’aria dalle combinazioni infinite, inconsapevolmente sa che esiste una combinazione che lui solo potrà trovare, e allora inventa. Questo però non è un consiglio, è una sfida.
Quali sono i suoi prossimi progetti?
-è in via di definizione un progetto multimediale svedese sul mito di Orfeo, con la coreografia di Claudine Ulrich, Stefan Östersjö Chitarra e Jörgen Pettersson Sax.
–24-26 Ottobre, due interventi alla Festa dei Teatri di Milano: la prossima “uscita” del duo FLASHetBIP Pisati-Michelazzi, con una installazione intitolata “revoXlutions” e una anticipazione della nuova pièce con Riccardo Magherini tratta dalla trilogia “Guida intergalattica per gli autostoppisti” di Douglas Adams, che intitoleremo “L’Universo, molto probabilmente”, in un viaggio andata/ritorno di 20’ circa su un treno in partenza dalla Stazione Centrale di Milano.
-30 Ottobre, Galleria Porta Palatina, Torino, video ZONE-Spidersound e installazione audiopittorica “SUITE-25”, con Salvatore Zito.
-18 Febbraio, Foyer Rossini Bologna, prima esecuzione di GlyphoZoo, di cui sopra, per la stagione dell’Ensemble Fontanamix, con Valentino Corvino Violino, Elena Càsoli Chitarra, Corrado Rojac Accordeon, e Traccia AudioVideo.
-24 Marzo, Palazzina Liberty Milano, prima esecuzione di un Duo Viola-Percussione per la stagione del Divertimento Ensemble
-1 Aprile, Orlando-Florida, prima esecuzione di un lavoro in corso con Arturo Tallini, una sorta di improvvisazione guidata sulla Ciaccona di JSBach
-continua la collaborazione con la Compagnia di Teatro PACTA-Arsenale dei Teatri, di Milano, con la quale nella stagione 2009 riprenderemo ZONE-Tarkus, composto per l’etichetta VictorJapan, in collaborazione con Keith Emerson, in cui mie trascrizioni dal famoso album degli EmersonLake&Palmer, “Tarkus” sono alternate ad altre mie composizioni originali per un organico tradizionale: Aki Kuroda Piano, Quartetto d’Archi Prometeo, Elena Càsoli Chitarra classica, Maurizio Ben Omar Percussioni, Yoichi Sugiyama Direzione.
-continua l’instancabile tour del film “Un gioco ardito” di Francesco Leprino, per il quale ho realizzato la trascrizione per Chitarra di una Sonata di Scarlatti
-sono in corso di registrazione audiovideo per LimenMusic –Web tv e società di produzione CD e DvD- i SetteStudi per Chitarra da parte di Elena Càsoli.
Infine, per chi volesse avere riscontro audiovideo su alcuni dei lavori citati ed altri non citati, o volesse seguire le attività annunciate, vorrei segnalare qui i link dove potremmo anche incontrarci online.
• catalogo composizioni: http://www.larecords.it/catalogue.shtml
• blogzone, sino ad ora non un blog interattivo ma un deposito delle presentazioni dei pezzi che di volta in volta comunico agli organizzatori o Interpreti per i programmi di sala, ma aperto anche ad eventuali commenti ed interventi: http://zonemp.blogspot.com/
• spazi YouTube e MySpace, i video delle esecuzioni, installazioni, prove, work in progress:http://www.youtube.com/zonemp
http://www.myspace.com/mauriziopisati
• spazio su LastFM, ascolto di un buon numero di pezzi, interviste, video:http://www.lastfm.it/music/Maurizio+Pisati