Intervista a Pat Ferro di Andrea Aguzzi (Settembre 2009)



Interviste

Pat Ferro … promoter .. manager.. discografica.. fotografa.. ballerina di tango?

La prima, la terza e la quinta: Pat è semplicemente un agente, spinta in questo mestiere dalla visionarietà di alcuni grandi artisti con cui ho il piacere di lavorare, ed una fotografa che ama la sperimentazione e l’interpolazione tra le arti; il tango poi è una passione grande che finalmente sono riuscita a riprendere: dalla teoria in cuffia sono passata alla prova in pista. Lo consiglio vivamente!

Come è nata l’idea di Improvvisatore Involontario, come è stato scelto il nome, il logo, qual’era l’idea di base .. e come mai proprio a Venezia?

Sono entrata in Improvvisatore Involontario circa un anno e mezzo fa, ma l’associazione è nata ben prima, a Catania, da un gruppo di amici capeggiati da Francesco Cusa e Paolo Sorge. Oggi è diventata una delle più note realtà indipendenti italiane e vantiamo note collaborazioni a partire dalla downtown newyorkese. Improvvisatore Involontario non è solo musica ne tantomeno è solo jazz: è qualcosa che va oltre ogni aspettativa, tra il sublime e l’orrido.
Il logo è stato ideato da colei che, come grafica e non solo, ci ha accompagnati per parecchio tempo, Raffaella Piccolo, che partì prendendo spunto dalla Impulse.
Oggi, a partire dalle nuove uscite autunnali, vedrete una grafica completamente cambiata, dal packaging ai contenuti selezionati tra vari artisti visivi che ci dedicheranno una loro opera per ogni uscita. Nell’ultimo anno siamo stati impegnati in una totale opera di restyling: il risultato sarà acido e fastidioso quanto basta per importunare chi ha già visto e sentito tutto.
Per il resto il nostro presidente, il Cusa batterista ed istigatore, sarà felice di specificarvi la nascita di questo famigerato collettivo. Chiamatelo Frank Usa: sarà contento!

Raccontaci come è nata l’etichetta discografica indipendente di Improvvisatore Involontario, come pensavate fosse il jazz, in particolare quello italiano, quando avete iniziato e come lo vedete oggi, cosa volevate fare e se pensate di esserci riusciti, quali erano i vostri modelli…

Beh in questo, quelli che io amo definire “i miei ragazzi”, ti risponderebbero meglio di me, ma l’idea di base, credo di poter dire, sia nata dalla volontà di lavorare su qualcosa che in Italia non ha produzione se non in una realtà poliedrica e sfaccettata come la nostra.
I progetti discografici che ci caratterizzano sono altro rispetto allo standard italiano: ci piace pensarci al di fuori di questo momento drammatico che sta vivendo la musica e le indie italiane.
Dal jazz cerchiamo altro: lavoriamo sul nuovo rispetto che sul ritrito passato. Cosa siamo riusciti a fare? Nel nostro piccolo, partendo da zero, siamo arrivati ad importanti festival europei, siamo stati apprezzati e criticati, ma la nostra fase d’espansione massima arriverà tra un pò: tenete le orecchie bene aperte!


Quali sono i titoli che hanno funzionato meglio in termini di vendita? Quali dischi vi siete pentiti di aver fatto e quali invece avreste voluto e non siete riusciti a realizzare?

Ma queste non sono domande da fare! E’ come chiedere ad un nonno chi è il nipote preferito a cui lasciare la casa in eredità e qual’è invece quello a cui dare solamente mazzate!!!
La scelta di pubblicare o meno un prodotto spetta alla commissione label: questo gruppo di lavoro (tutta l’associazione si basa sul principio dei gruppi di lavoro) è formato non solo da musicisti, che in questo caso sono i tecnici della situazione, ma anche da ricercatori e giornalisti. Credo poi che ognuno di loro abbia delle idee ben precise su ogni prodotto uscito o non uscito, ma di pentimenti non ve n’è aria!
Sicuramente aver fatto uscire Phase III di Jim Pugliese è stato un forte riconoscimento, non possiamo lamentarci di nulla in tal senso. Tutte le nostre pubblicazioni hanno una storia intensa ed articolata che spero avrete voglia di conoscere più approfonditamente andando a spulciare il nostro sito e magari acquistando quel che più vi soddisfa.


Che rapporti hai con i tuoi musicisti? Come reagiscono al tuo occhio fotografico e come li hai scelti per la tua attività di promoter e per l’etichetta discografica?

La fotografia mi è sempre servita per imparare a conoscere meglio chi o cosa ho davanti, e mi piace definirmi una ritrattista, dunque, anche in questo caso, mediante il lavoro ho imparato a conoscere meglio questi artisti. Sono stati poi loro che hanno scelto me, la stessa etichetta mi ha riconosciuta prima come fotografa e poi mi ha chiesto di occuparmi anche del resto.
All’inizio ero preoccupata del fatto che le due cose non potessero essere compatibili ma poi, sul piano pratico, mi sono resa conto che queste due mansioni si possono scindere od amalgamare in base alla situazione, con assoluta tranquillità.
Nel tempo si è sviluppato uno stretto rapporto di amicizia oltre che di collaborazione con ognuno di loro, lavoriamo nella stessa direzione.
La reazione all’occhio fotografico non è sempre facile: io sono abituata a riprendere non sempre il lato bello delle situazioni, per quello ci sono altri tipi di fotografi; a me piace e mi soddisfa di più quello che in genere non piace perchè dà la possibilità di vedere oltre. Quello che cerco di sperimentare è un viaggio speculare tra musica ed una staccata visione di essa, ed è un viaggio appena cominciato.


Parlaci del rapporto che hai instaurato con internet e col downloading e se credi che i due fenomeni abbiano cambiato il jazz e il modo in cui si produce e si ascolta la musica…. E non solo la musica .. anche l’attività di promozione, i concerti…

Internet è un grande mezzo, per noi vitale: la promozione di un prodotto ora parte da qua, non certo dalla vendita al banco.
Certo che il modo di produrre ed ascoltare musica è cambiato ed è in costante trasformazione e trovo questo sia molto interessante. Le nuove tecnologie ci aiutano eccome: provate a chiedere alla nostra Anna Troisi, che abbiamo la fortuna di avere tra noi.
Oggi ci rapportiamo al pubblico in maniera diretta, quasi personale. Ti basti pensare ad una fan page di Facebook di un grande jazzista che manda l’invito ad un concerto, a tutti gli iscritti: quella pagina non è certo gestita dall’artista stesso anzi da un collaboratore, ma il pubblico, molto spesso, si sentirà direttamente coinvolto. Il coinvolgimento è diverso perchè è diversa la modalità di interfacciarsi. La strategia è banale eppure funziona.
Per quel che ci riguarda abbiamo discusso, all’interno del nostro forum, per molto tempo sulla possibilità del free downloading.
Personalmente penso sia una strategia, anche questa, per dare maggiore visibilità, ma sta di fatto che, quando si parla di etichette che fanno tutto da sole, non possiamo permetterci il lusso di regalare il nostro lavoro, ma di abbassare i costi si; non siamo una major, ed è giusto valorizzare ed investire, anche in minima parte, in un prodotto che suda sette camice per emergere.
Le nostre novità, a tal proposito, comuque ci saranno e riguarderanno la collana Limited Edition “Shortcuts” …
La promozione è totalmente cambiata: se ci pensi mentre gli scorsi anni avevamo molti posti dove far suonare questo genere ed ancora pochi gruppi, oggi la produzione musicale è moltiplicata ed i locali sono ridotti rispetto alla mole di materiale. Soprattutto è ridotto l’investimento in queste produzioni. I conservatori sfornano artisti che non sanno dove suonare, mentre chi ha già il proprio posto se lo tiene ben stretto, ovviamente!
Il jazz poi è un linguaggio in continua evoluzione e come tale tende a mischiarsi con le nuove tecnologie: questo è inevitabile.


A volte ho la sensazione che la possibilità di scaricare tutto, qualunque cosa da internet gratis abbia creato una frattura all’interno del desiderio di musica, una sorta di banalizzazione: insomma dov’è la spinta per un musicista a incidere un disco che con pochi euro riesci da solo a registrare e stampare quello che vuoi e chiunque può farlo? Alla fine diventa quasi un gesto quotidiano che si perde in un mare di download dove scegliere diventa impossibile … stiamo entrando in un epoca radicalmente diversa da quella che abbiamo vissuto finora?

Ti posso assicurare che produrre un disco buono, di qualità, e per qualità io non intendo solo la musica stessa ma anche il suo involucro e tutto ciò che gli gira intorno, dall’ufficio stampa alla vendita, non è così facile e diretto: certo è vero che un artista può farsi il disco in casa e lavorare ad una copertina e via, ma a quali canali può aspirare di arrivare? Noi abbiamo l’esempio di un disco autoprodotto che, spedito ad una nota etichetta portoghese, vedrà la sua pubblicazione nel 2010 e quindi seguirà l’iter “classico” per così dire. Quindi anche qui, un’auto produzione giunge al traguardo.
La banalizzazione c’è per chi la vuol fare ma non è il nostro caso: il nostro è un cd su cui lavorano più persone contemporaneamente, ed il risultato finale vogliamo sia un feticcio da collezione, piuttosto che l’ennesimo jewel box in libreria, per questo abbiamo lavorato un anno per la realizzazione di ciò che vedrete in autunno. Non è solo musica ma è una, come dicevo all’inizio, interpolazione tra le arti: il contenuto è parte dell’involucro e l’involucro è stato studiato e formato sul quel contenuto. Già se pensi alle grandi rock star funziona così: vedi grandi video installazioni di artisti che hanno lavorato anche alla cover di un cd. Questo è splendido no?


Come sono i rapporti all’interno della scena indipendente italiana, c’è collaborazione o siamo al solito italico “tutti contro tutti”?

Collaboriamo eccome: il cd in lavorazione Portogallo di cui vi parlavo prima è il lavoro nato da alcuni musicisti di Improvvisatore Involontario e Gallo Rojo, ad esempio.
Switters, un altro storico nostro gruppo, vede la compresenza di tre artisti facenti parte realtà diverse. No, assulutamente non vi è scontro se non produttivo.
Basti pensare alle riunioni che sono sorte in questi ultimi anni tra i collettivi!

Parliamo di marketing. Quanto pensi sia importante per un musicista moderno? Intendo dire: quanto è determinante essere dei buoni promotori di se stessi e del proprio lavoro nel mondo della musica di oggi? E in confronto al passato? Il mecenatismo illuminato è stato semplicemente sostituito dal libero mercato? Com’è la situazione in questo momento, questa crisi si sente o.. è solo psicologica?

Cominciamo dalla fatidica crisi: si sente nel momenti in cui festival storici ti parlano di 30-40 mila euro di tagli o più; non è una mera questione psicologica. Possiamo però dire che qui si è sentita molto meno rispetto agli States ad esempio. Si suona per pochissimi soldi e la questione più fastidiosa è quella delle “differenze” tra artisti locali e non, che molti festival fanno, giocando su questioni inesistenti. Ma questo è un problema tipicamente italiano che affrontiamo giornalmente. Da parte dell’artista ci deve essere la volontà di rispondere a tali situazioni imponendo il peso specifico dell’operato.
Il marketing, più che per il musicista, è importante per chi lo rappresenta: l’artista dovrebbe pensare solamente al proprio lavoro, cioè il creare l’arte, tecnicamente dovrebbe essere l’agente, secondo l’idea che io ho di questo mestiere, che si preoccupa di studiare strategie di marketing per vendere quello che ha. E’ essenziale poi, per arrivare da qualche parte, affidarsi a delle persone capaci, con le tecniche e le conoscenze giuste, che si imparano col tempo e l’esprerienza. Credo non sia stato diverso in passato ma semplicemente il campo d’azione era diverso.
Sicuramente aiuta l’agente il fatto che l’artista si sappia, usando un termine poco piacevole se vuoi, vendere al miglior offerente, e c’è da dire che vale la pena non scendere a compromessi e non svendersi. Non è necessario essere presenti in tutti i palchi se questi palchi non ripagano e non riconoscono il lavoro svolto.
Potrà sembrarti una visione utopista ma spero non mi passi mai!


Quali sono i tuoi prossimi progetti?

I miei progetti futuri riguardano Marco Cappelli e portare il suo “In the Shadow of no tower – after Art Spiegelman” qui da noi, riguardano Paolo Sorge e gli interessanti progetti che sta portando avanti da ottimo direttore del dipartimento jazz di Reggio Calabria qual’è, riguardano Francesco Cusa che mi ha accompagnata alla conoscenza di Improvvisatore Involontario e di questo mondo fin dall’inizio, riguardano Dario De Filippo che dalla sicilia a Parigi, con un salto di qualità ed un grosso studio personale, sta diventando un percussionista di enorme grandezza, con progetti che faranno parlare, come “Putain de Reve” in Italia a ottobre, riguardano ancora Riccardo Pittau e Federico Squassabia e le loro collaborazioni internazionali da Boban Markovic a Frank Vigroux passando per Marc Ribot.
Poi c’è la fotografia: in cantiere una pubblicazione sul tango, ma non un lavoro classico, un qualcosa di totalmente diverso in collaborazione con un etnomusicologo argentino, ed una video-installazione … Insomma, non mi annoio!


Ci racconti, per chiudere, qualche aneddoto qualche retroscena curioso legato alla realizzazione di qualche disco o di qualche scatto fotografico?

What means “retroscena”? Per il resto ultimamente c’è stata una lunga discussione interna sui buchi … ma per questa ci sentiamo appena esce il disco!

Grazie Pat!