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Interviste
La prima domanda è d’obbligo: come è nato il vostro amore e interesse per la chitarra?
Claudio Maccari: Ho iniziato all’età di 5 anni: mio papà amava strimpellare la chitarra goliardicamente nelle serate trascorse con gli amici. Così, a casa mia o nell’osteria di fronte (sono cresciuto in un piccolo paese piemontese in provincia di Torino) tra un piatto di funghi e un buon bicchiere di barbera, i festanti si riunivano per cantare e suonare le più svariate canzoni popolari con strumenti di vario genere (ricordo, oltre alle chitarre, fisarmoniche, mandolini, clarinetti e Kazoo). La musica, e la chitarra, erano quindi di casa. Dopo i primi accordi imparati in famiglia, toccherà al fotografo del paese, l’unico “musicista” in grado di leggere la musica, il compito di insegnarmi i primi rudimenti carulliani…
Paolo Pugliese: Actarus (il pilota di Goldrake) suonava la chitarra. Visto che tutte le ragazze ne erano affascinate (dalla chitarra), mi parve una bell’idea diventare chitarrista (non Goldrake). Questo è il motivo per cui ho iniziato a suonare. Almeno credo.
Siete unanimemente considerati come uno dei migliori duo di chitarristi al mondo: come è nata questa collaborazione e che cosa significa suonare in duo? Che alchimie si creano in un rapporto così stretto?
Nelle vostre incisioni discografiche sembrate prediligere registrazioni monografiche, concentrandovi su autori specifici, come mai questa scelta? Si tratta di specifiche richieste delle case discografiche o una vostra precisa scelta professionale?
Duo: Entrambe le cose. Scelta personale per motivi di studio: per incidere anche un solo brano di un autore è bene conoscere gran parte dei suoi lavori (possibilmente l’intera opera) rifinendo lo studio con letture relative alla vita e alla poetica del compositore. E’ un lavoro meticoloso quello dell’interprete e va costruito con olio di gomito e con la famigerata santa pazienza.
Inoltre la Brilliant Classics, la casa discografica olandese per la quale abbiamo realizzato gli ultimi CD, richiede espressamente l’incisione di opere complete. Infine le registrazioni monografiche sono più commercializzabili.
Sono rimasto sinceramente colpito dal vostro ultimo disco dedicato alle Rossiniane di Mauro Giuliani sia per la qualità di incisione sia per la vostra bravura artistica sia anche per la “mole”: ben tre compact disc e questo in un momento difficile per il mercato discografico. Come è nata una simile operazione discografica? Quanto tempo è stato necessario per l’incisione? Com’è il vostro rapporto con una casa discografica come la Brilliant?
Duo: Il rapporto con la Brilliant Classics è ottimo, la comunicazione rapida e precisa; il Presidente è un giovane musicista e – forse per questo – conosce bene le problematiche che devono affrontare gli artisti con i quali collabora.
Il cofanetto al quale ti riferisci è il secondo inciso per la Brilliant, avendo registrato nel 2006 l’opera omnia per due chitarre sempre di Mauro Giuliani e sempre con 3 cd al seguito. La casa olandese aveva in precedenza pubblicato, nel 2005, un doppio cd con i 3 Concerti per chitarra e orchestra e le opere 65 e 102 per chitarra e quartetto d’archi di Giuliani, stampato nel 2003 e allegato a uno speciale della rivista italiana Amadeus.
Per le Rossiniane, abbiamo registrato in una chiesa seicentesca nei pressi di Varese, per un totale di due giorni a disco (senza contare le ore spese ad aspettare il passaggio degli aerei della vicina Malpensa, a pregare i muratori del vicino cantiere affinché smettessero il più presto possibile di smontare il tetto di una casa nonché l’oretta scarsa per convincere il contadino a tagliare il prato di fronte alla chiesa l’indomani). Lo studio dei pezzi è durato qualche mese.
L’operazione discografica è parte di un progetto più vasto in collaborazione con la Brilliant e prevede la registrazione dell’intero corpus delle opere di Mauro Giuliani che nessuno, neanche noi, sa se e quando porteremo a termine. La politica della Brilliant di vendere a basso costo permette la realizzazione di simili lavori (vedi l’opera omnia di Mozart, di Beethoven, di Chopin…)
Ho notato nelle note del vostro ultimo lavoro discografico che oltre a chitarre d’epoca suonate anche riproduzioni realizzate dal liutaio Fabio Zontini, come mai questa scelta e come vi trovate coi suoi strumenti?
Duo: In realtà la copia Panormo di Zontini l’abbiamo usata nel doppio CD appena registrato (opera completa per duo di chitarre di Sor e Coste). Fabio è un bravissimo e attento liutaio, eccellente nella riproduzione di chitarre d’epoca. Su esortazione nostra e di Giorgio Ferraris ha iniziato a costruire copie a basso prezzo ma di ottima fattura, con l’intento di permettere a chiunque di acquistare una chitarra dell’800. Negli ultimi anni il prezzo degli strumenti originali, specie se di liutai famosi, è salito vertiginosamente ed è chiaro che non tutti possono permettersi di comprare una Guadagnini a 15 mila euro o cose simili. Rare – anche se ancora si possono trovare – sono le chitarre originali con un bel suono e di poco costo; bisogna comunque sempre stare molto attenti e affidarsi quantomeno al consiglio di un esperto, per evitare piccoli o grandi fregature. La differenza tra una chitarra classica “moderna” e una d’epoca sta essenzialmente nel tipo di suono completamente diverso. Le chitarre antiche di Fabio si avvicinano molto a questo tipologia sonora e costano poco: ecco le ragioni per le quali abbiamo deciso di suonarle.
Dal canto nostro, oltre ad alcuni strumenti di proprietà, abbiamo l’enorme fortuna di collaborare con Giovanni Accornero, ad oggi, per quel che ne sappiamo, il più grande collezionista di strumenti a pizzico del mondo.
Quale significato ha l’improvvisazione nella vostra ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?
Duo: Domanda di riserva? Nell’800, l’improvvisazione era parte del bagaglio artistico di ogni virtuoso degno di questo nome. Hummel e Moscheles, tanto per citare due nomi della cerchia di Giuliani, avevano scalato l’Olimpo dei virtuosi anche grazie alle loro improvvisazioni durante le Accademie dell’epoca. Nel nostro mondo “classico” – definizione, oggi, forse un po’ stretta – quest’arte si è persa da tempo, per ragioni storiche che varrebbe la pena di indagare a fondo. Clara Schumann era solita, alla fine delle proprie esibizioni, farsi suggerire temi dal pubblico sui quali elaborava le proprie variazioni, come oggi possiamo sentire nei concerti, per esempio, di Stefano Bollani e di molti organisti. E non era certamente la sola a farlo. Sarebbe importante riprendere questo tipo di prassi, affascinante e di sicura presa sul pubblico.
Per ora, abbiamo studiato e stiamo perfezionando un altro aspetto dell’improvvisazione, la cosiddetta “arte dell’abbellimento e ornamentazione”, all’epoca di proprietà dei “virtuosi dell’ugola”, oltre che di compositori avveduti. Con l’eccezione di una piccola percentuale, la stragrande maggioranza delle composizioni per chitarra del periodo classico, necessita per propria natura dell’uso di abbellimenti, fioriture e variazioni, naturalmente eseguite con gusto e secondo lo stile dell’epoca e dell’autore. Bisogna conoscere molto bene lo “stile classico” per padroneggiare quest’arte: per noi, rappresenta l’aspetto più creativo e più divertente in assoluto.
Sono rimasto colpito sbirciando nel vostro sito internet che avete ricevuto i complimenti di “Slowhand” Eric Clapton per i vostri cd dei Concerti di Giuliani, come è avvenuta la cosa? Si è messo in contatto con voi? Come ha ascoltato la vostra musica?
Duo: Clapton ha avuto i nostri dischi tramite un amico comune. Ci ha spedito un fax in cui si congratulava.
La sensazione che si ha ascoltando la vostra musica è che … voi possiate suonare qualunque cosa: indipendentemente dal repertorio, dal compositore, dallo strumento che state adoperando dimostrate sempre un totale controllo sia tecnico che emotivo, quanto è importante il lavoro sulla tecnica per raggiungere a questo livello di “sicurezza”?
Duo: Grazie del complimento che incameriamo con piacere! La vera tecnica è l’arte di tradurre i suoni in espressione, chiamiamoli sentimenti. E quest’arte o ce l’hai o non ce l’hai. Se scopri di averla, devi coltivarla e affinarla, senza tregua. Sei fortunato, ma hai un bel carico da sopportare.
La tecnica/meccanica è un altro tipo di arte, forse più da artigiano che da artista: in sintesi, senza voler minimizzare, rappresenta la possibilità di coordinare le due mani con una certa facilità per cavare dallo strumento dei suoni di una certa bellezza. Più o meno tutti possono imparare a far correre le dita sulle corde ad una buona tacca metronomica, chi con più e chi con meno ore di studio, anche se è vero che se, in un pezzo, un determinato passaggio non ti viene dopo 5 minuti, probabilmente non ti verrà mai…. Insomma, scale e arpeggi le si mettono in conto più o meno a chiunque.
Trovo estremamente affascinante l’idea di riproporre con rigore filologico un repertorio di oltre un secolo fa, interpretandone la musica con strumenti d’epoca. Quanto però può essere diverso il vostro modo di suonare rispetto a quello dell’epoca? Ci volete descrivere gli strumenti che suonate, la loro storia e come sono arrivati a voi attraverso il tempo?
Duo: La domanda da porsi, secondo noi, non è “come si suonava all’epoca”, ma come possiamo suonare appropriandoci dello stile e del linguaggio di una determinata epoca.
Come suonerebbe oggi Pinco Pallino armato di prassi esecutiva e, soprattutto, riuscirebbe ancora a comunicare qualcosa al pubblico moderno?
In soldoni, più che di “rigore filologico” preferiremmo parlare di conoscenza delle “regole del gioco”, senza le quali non puoi giocare.
Uno tra gli aspetti più curiosi, rimane infatti la codificazione del segno, in particolare di quello nascosto. Un esempio fra i mille possibili: una nota da un quarto seguita da una pausa di un ottavo, si dovrebbe eseguire in maniera diversa se a scriverla è Sor oppure Castelnuovo-Tedesco.
La storia dei nostri strumenti originali non la conosciamo, non abbiamo notizie sul loro passato e non sappiamo chi possa averle suonate Possediamo alcune chitarre tra le quali spiccano una Carlo Guadagnini del 1819 e una Gaetano Guadagnini del 1830, strumenti in ottime condizioni acquistati più o meno 15 anni or sono da Accornero, e da allora sempre suonati. Solo una curiosità (questa certa): il cartiglio della Carlo Guadagnini indica il 1819 come data di nascita, senonché Carlo, in quell’anno, era già serenamente passato a miglior vita… In realtà fu il figlio Gaetano a costruire la chitarra, ma, non essendo ancora famoso, preferì usare ancora l’etichetta del padre, nella bottega del quale lavorava.
Ritenete possibile l’uso di strumenti d’epoca in contesti diversi da quelli originari, ad esempio per la musica contemporanea? Mi viene in mente come esempio Elena Càsoli che suona con la sua Panormo del 1848 le musiche di Terry Riley.
Duo: Sì.
Al di fuori della musica classica e per chitarra classica ascoltate altri generi musicali?
Duo: Si, un po’ di tutto.
Come vedete la crisi del mercato discografico, con il passaggio dal supporto digitale al download in mp3 e tutto questo nuovo scenario?
Duo: Non è in crisi solo il mercato discografico, è in crisi il mercato musicale in genere. Ci sono troppe produzioni discografiche, il mercato è completamente saturo, i dischi vanno subito fuori catalogo. In questo momento sopravvivono bene etichette come Brilliant o Naxos che associano produzioni spesso di qualità ad un prezzo estremamente concorrenziale. Naturalmente, chi ci perde sono i musicisti. Siamo comunque in una fase di transizione irreversibile, e credo nessuno sappia con esattezza dove ci porterà.
Il passaggio al download (possibilmente legale) è certamente positivo anche se attualmente la qualità audio è mediamente bassa. Suppongo e spero che a breve migliori la qualità audio dei brani musicali e dei riproduttori, aggiungendo un po’ di concorrenza in più sul web e il nuovo scenario è ridisegnato.
Consigliateci cinque dischi per voi indispensabili, da avere sempre con se.. i classici cinque dischi per l‘isola deserta …
Duo: Messa in si minore di Bach, Requiem di Mozart, Nona Sinfonia di Beethoven, una raccolta di Mina e una di Vasco.
Quali sono invece i vostri cinque spartiti indispensabili?
Duo: Quelli della domanda precedente.
Il Blog ha aperto di recente una nuova rubrica dedicata ai giovani neodiplomati e diplomandi, che consigli vi sentite di dare a chi, dopo anni di studio, ha deciso di iniziare la carriera di musicista?
Duo: Intraprenderla solo se si hanno fortissime motivazioni; frequentare con senso critico molti corsi per poi scegliere uno o più insegnanti; non rimanere allievi tutta la vita; specializzarsi in un determinato periodo; suonare molta musica da camera.
Con chi vi piacerebbe suonare?
Duo: Con qualsiasi musicista.
Quali sono i vostri prossimi progetti? Su cosa state lavorando?
Duo: Come si diceva, abbiamo appena terminato la registrazione del secondo disco dedicato all’opera omnia per due chitarre di Fernando Sor e Napoleon Coste. Il primo CD è uscito lo scorso anno allegato alla rivista Seicorde, con alcune opere registrate nel 2005, mentre i due CD verranno pubblicati dalla Brilliant e usciranno all’inizio del 2009.
Attualmente siamo incuriositi dalla figura di Anton Diabelli, ed è probabile che nei prossimi mesi studieremo i suoi pezzi (ha scritto parecchia musica) con l’intenzione, se possibile, di incidere l’opera omnia per due chitarre.
Da qualche anno, gli editori della rivista Musica – i fratelli Zecchini – stanno pubblicando una collana di libri dedicata agli strumenti musicali, scritti da musicisti in carriera che suonano tali strumenti: Gabriele Cassone ha firmato il libro sulla tromba, Fabrizio Meloni sul clarinetto ecc.
A noi hanno affidato la stesura del libro sulla chitarra, un bel volumetto (sarà intorno alle 400 pagine) con la storia dello strumento dalle origini ad oggi, passando attraverso la letteratura, l’organologia, la tecnica, la notazione, la chitarra elettrica, acustica, battente, russa …con foto a colori, carta pregiata ecc. ecc. Insomma, una bella impresa, accolta naturalmente con entusiasmo, pensando al fatto che per un libro di tal genere bisogna risalire almeno a quello degli Evans del 1977. Anche in questo caso, però, non sappiamo se e quando finiremo, ma questo dettaglio, per favore, non ditelo all’editore!
Grazie ancora!