Intervista di Antonio Rugolo di Andrea Aguzzi (Settembre 2009)
















VisionaryGuitars
Interviste

La prima domanda è sempre quella classica: come è nato il suo amore e interesse per la chitarra?

Mio padre ha sempre suonato per diletto la chitarra e quindi in casa ci sono sempre state chitarre con cui giocare, dallo strimpellare alcune canzoni popolari al decidere di studiare la chitarra classica il passo è stato breve.

Lei si è diplomato al Liceo Musicale “G. Paisiello”di Taranto, studiando con Pino Forresu, che ricordi ha di quel periodo e della sua esperienza come studente?

Ho il ricordo di un periodo felice, sereno, dove studiare chitarra era un motivo in più per sentirmi un ragazzo realizzato, ben inserito nei contesti più disparati: in quei dieci anni la chitarra è stata una compagna fedele ovunque andassi, non ricordo nessun viaggio nessuna gita, nessuna serata in spiaggia in cui la chitarra non fosse il collante tra me e tutti quelli che mi circondavano.
In quegli anni, inoltre, in Conservatorio il percorso non è stato quasi mai in salita grazie anche alla sensibilità del M° Forresu che mi ha aiutato nei momenti difficili in cui coniugare lo studio della musica con i normali studi al Liceo Scientifico diventava di difficile gestione.

Con che strumenti suona?

In questi ultimi anni sto suonando quattro strumenti dei liutai italiani Roberto de Miranda e Luigi Locatto. Dal 2006 suono sia in concerto che in disco una de Miranda in cedro. Il mio primo disco “Guitarreo” invece l’ho inciso con una Locatto del 2000 in abete modello Simplicio. Nel 2008 de Miranda ha costruito per me una chitarra quintina in cedro che utilizzo con il quartetto Santórsola. Ho inoltre una copia Panormo costruitami da Locatto nel 2007 che utilizzo per il repertorio ottocentesco. Per tantissimi anni ho suonato anche una Kohno 30 J che credo sia stata molto importante per la mia formazione sia di musicista che di chitarrista. Ora la possiede un mio alunno Francesco che “purtroppo” ha deciso di fare il medico………….

La sua carriera discografica è iniziata in modo brillante nel 2004 con il bellissimo Guitarreo e proseguita nel 2006 con Guido Santórsola, un altro disco eccellente. Come è iniziato il suo rapporto con la Stradivarius e come mai la sua scelta verso il repertorio sud americano e verso autori particolari come Ginastera e Santórsola?

In primo luogo La ringrazio per il “bellissimo Guitarreo” ed “eccellente Santòrsola”. Il rapporto con la Stradivarius è iniziato in modo molto semplice. Ho lavorato per due anni ad un progetto originale e di un certo rilievo storico (in Guitarreo c’è la prima incisione dell’opera completa di Carlos Pedrell) in collaborazione con il M° Angelo Gilardino, che sento di dover ringraziare per la sua generosità intellettuale e per aver scritto le splendide note di copertina del disco, ed insieme al M° Frédéric Zigante con cui abbiamo costruito l’intero lavoro passo dopo passo. Ho così inciso il master ed ho aspettato che la direzione artistica dell’editore lo ascoltasse; il riscontro è stato subito positivo e da lì a poco ci siamo accordati per la pubblicazione.
Dopo il diploma ho studiato per dieci anni con Frédéric Zigante ed è stato lui a vedere in me un potenziale interprete di tutta quella musica del’ 900 che è riuscita a filtrare la tradizione popolare attraverso l’evoluzione storico-culturale del linguaggio. Così dopo aver affrontato molti dei capisaldi della letteratura chitarristica, ho incominciato il lavoro sulla Sonata di Alberto Ginastera e sulla musica di Carlos Pedrell e di Guido Santórsola incontrando subito nel loro linguaggio, una forte sinergia di intenti comunicativi.


























Lei è membro e fondatore del Quartetto Santórsola, come è nata questo progetto e come si sta sviluppando?

Il progetto è nato sul finire del 2006 semplicemente dal desiderio di lavorare insieme ad amici che ho sempre stimato ed apprezzato come musicisti e come chitarristi: Vincenzo Zecca è stato per me da ragazzino un modello da raggiungere; Angelo Gillo e Livio Grasso inizialmente alunni di Vincenzo negli anni hanno dimostrato una ricerca ed uno studio di alto profilo. Quattro tarantini con una visione non solo folkloristica della chitarra e con una solida preparazione tecnico-interpretativa non potevano che trovarsi e lavorare insieme. Dopo i primi concerti è arrivata subito un’occasione importante: Angelo Gilardino ci chiede di partecipare ad un concerto interamente dedicato alle sue musiche con la Sinfonietta “Feste Lontane” da poco composta; brano di grande bellezza e di raffinata arte compositiva. A quel punto però era necessaria una chitarra ad otto corde ed il liutaio Roberto de Miranda di cui già possedevamo tre chitarre si è reso disponibile a costruirne una. La sera del concerto in sala c’erano Angelo Gilardino insieme con Filippo Michelangeli, Frédéric Zigante, Lucia Pizzutel ed altri ed abbiamo diviso il palco con Giulio Tampalini, Ugo Orlandi ed il suo Quartetto a Pizzico. L’ incontro con il Maestro Gilardino è stato illuminante ed abbiamo sentito “forte” la Sua presenza; i Suoi complimenti per la nostra interpretazione rappresentarono in qualche modo la nostra consacrazione.
Da quel momento il rapporto con Gilardino si è intensificato e non senza remore ho trovato il coraggio di chiedere al Maestro un brano per il nostro quartetto. Ricordo che ero in un hotel negli USA quando lessi la mail della splendida idea che Gilardino aveva avuto per noi: “Sonetti Giuliani”. Una sorta di omaggio al chitarrista pugliese più famoso di tutti i tempi. La Prima esecuzione dei “Sonetti” si è tenuta in uno scenario molto suggestivo: il chiostro del Museo Archeologico Nazionale di Taranto, uno dei musei più accreditati d’ Europa grazie anche alla presenza dei famosissimi “Ori di Taranto”. Il concerto è stato un vero successo e la registrazione live è stata apprezzata dal M° Gilardino e da Filippo Michelangeli che da lì a poco ha deciso di produrre il nostro primo CD da poco uscito in allegato con il N° 98 del magazine SEICORDE.





















Di recente a Taranto, la sua città natale, ha visto la bella rassegna “Itinerari culturali con la chitarra” organizzata da L’Associazione Jonica della Chitarra con Masterclass sua e di musicisti eccellenti come Lorenzo Micheli, Matteo Mela, Vincenzo Zecca, Lucia Pizzutel, vuole parlarcene, raccontarci come è andata e se ci sarà un seguito per il 2010?


Gli “Itinerari culturali con la chitarra” è stata un’iniziativa straordinaria che ha visto coinvolti più di quaranta alunni provenienti da tutta Italia che con le loro quote di iscrizione hanno contribuito a realizzare un progetto portato avanti dall’Associazione “Amici di Manaus” volta a ristrutturare una casa a Manaus in Brasile che accoglie gli indios della foresta amazzonica affetti da malattie tropicali. Le masterclasses erano affiancate da un Laboratorio di Musica d’Insieme tenuto da Lucia Pizzutel che è stato per tutti i ragazzi un importante momento di socializzazione e di arricchimento culturale. Il tutto si è concluso con i concerti dei maestri e dei ragazzi.
La forza dell’iniziativa credo sia stata il “confronto nella solidarietà” dove il fare musica è stato un modo per arricchirsi sia musicalmente che umanamente. Spero che per il 2009 si possa ripetere l’iniziativa con delle interessanti novità che non voglio anticiparvi, terremo i lettori del blog al corrente sulle novità, posso solo comunicare le date che saranno dal 20 al 27 Novembre.


Parliamo di marketing. Quanto pensa che sia importante per un musicista moderno? Intendo dire: quanto è determinante essere dei buoni promotori di se stessi e del proprio lavoro nel mondo della musica di oggi?

Credo sia fondamentale; chi non riesce a fare questo avrà serie difficoltà ad imporsi sul mercato. E’ importante però avere anche un progetto interessante ed originale da promuovere.

Una delle cose che posso sinceramente dire di amare della chitarra è la sua capacità di trasformazione nella Forma musicale nei secoli e di medium tra le varie forme musicali, non ultima quella popolare. Diversi compositori hanno saputo attingere al repertorio popolare della propria cultura infondendo nuova linfa al repertorio classico e contemporaneo, lei che è eccellente interprete di Ginastera e Santórsola come riesce a “tradurre” queste influenze nelle sua musica, pur essendo italiano?

Sono un italiano del Sud e credo che non sia un dettaglio da trascurare: tutti i Sud del mondo hanno delle radici comuni ed in particolare il sud Italia con il sud America.
Santórsola è stato per me una “folgorazione” e devo la sua scoperta alle intuizioni del M° Zigante che ha letto in me un possibile interprete della sua musica e della musica sud-americana del ‘900 non votata al semplice folklorismo. La “Sonata Italiana” incisa in “Guitarreo” è stata amore a prima vista, dal 1° Tempo seriale, al neoclassico Reverie, sino alla Tarantella politonale; i ritmi travolgenti della Sonata di Ginastera e le melodie suadenti delle Danze di Pedrell sono elementi che hanno da sempre caratterizzato ed assecondato il mio istinto musicale.
Mi piacerebbe raccontare un episodio che in qualche modo ha cambiato le mie visioni. Ero a lezione con Alirio Diaz nel 1996 e stavo suonando i “Quatro Valses Venezolanos” di Antonio Lauro, ad un certo punto il Maestro imbraccia la sua chitarra ed incomincia ad accompagnarmi improvvisando ritmi ed armonie travolgenti. Una emozione incredibile, un segnale forte: la musica della sua terra è danza, ritmo, pulsioni del corpo. Il suo modo di suonare è stato il modo più diretto per farmi capire cosa volesse dire l’accento e la sincope in Sudamerica: è un ballo del corpo ed è indispensabile ballare con il proprio strumento come se fosse una dama e come Diaz faceva in modo insuperabile; corpo – gesto – suono in un unico messaggio sonoro. Difficilmente avrei potuto interpretare quella musica in modo efficace senza questo incontro. Le ricerche fatte poi qualche anno dopo mi hanno messo di fronte alle Sonate dei Compositori più autorevoli del Sud America: Ginastera, Gilardi, Guastavino, Grau, Santórsola sono stati tutti “servi” di questa danza perpetua che ha attraversato le loro anime ……….. e forse ora attraversa un po’ anche la mia.





















Ho, a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?

Non credo si possa parlare di “globalizzazione” musicale come di un problema. Forse la vera difficoltà è nel riuscire a suonare o comporre in modo originale, nuovo o avere il coraggio di essere “diversi”. Quello che apparentemente può sembrare un rischio di omologazione credo che sia per l’ artista moderno (compositore o interprete) anche una grande ricchezza e un forte stimolo; intendo dire che in questi anni e secoli abbiamo potuto assistere alla creazione di grandi capolavori e all’ ascesa di magnifici interpreti che hanno aiutato le generazioni moderne ad essere migliori. E’ il tempo che renderà poi giustizia ai veri nuovi capolavori e lascerà cadere nell’ oblio tutta quella musica e tutti quegli interpreti che non hanno operato in modo “creativo”.

Ho notato in questi ultimi anni un progressivo avvicinamento tra due aspetti della musica d’avanguardia, da un lato l’aspetto più accademico e dall’altro quello portato avanti da musicisti ben lontani dai canoni classici e provenienti da aree come il jazz, l’elettronica e il rock estremo come Fred Frith, John Zorn, la scena downtown newyorkese e alcune etichette di musiche elettroniche come la Sub Rosa e la Mille Plateux. Che ne pensa di queste possibile interazioni e pensa che vi sia spazio anche per esse in Italia?

Questo sinceramente non lo so, ma credo che all’ arte non si possano mettere barriere; se Santórsola ha scritto Tarantelle e Malambo dodecafonici, perché non pensare a contaminazioni di ogni altro genere. Tutta la musica e l’ arte sono frutto della convivenza e della commistione di generi, stili e culture diverse che sarebbe impensabile, oltre che sciocco, frenare.

Sembra essersi creata una piccola scena musicale di chitarristi classici dediti a un repertorio innovativo e contemporaneo, oltre a lei mi vengono in mente i nomi di Marco Cappelli, David Tanenbaum, David Starobin, Arturo Tallini, Geoffrey Morris, Magnus Anderson, Elena Càsoli, Emanuele Forni, Marc Ribot con gli studi di John Zorn … si può parlare di una scena musicale? Siete in contatto tra di voi o operate ciascuno in modo indipendente? Ci sono altri chitarristi che lei conosce e ci può consigliare che si muovono su questi percorsi musicali?

Fortunatamente ormai da diversi anni anche noi chitarristi abbiamo scoperto le enormi potenzialità espressive dei “nuovi” linguaggi grazie anche alla riscoperta di repertori poco frequentati dalle generazioni legate troppo a lungo esclusivamente al repertorio segoviano. Siamo ormai di fronte ad una scena musicale nuova che coltiva ed approfondisce in modo continuativo percorsi e strade diverse.
Di questi artisti ho incontrato una sola volta Elena Càsoli a Milano durante la presentazione della “Guitar Collection” della Stradivarius; per il resto conosco molto bene i lavori di molti di loro ma non condividiamo direttamente i nostri progetti.

























Quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscire e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc.?

Credo che sia difficile pensare di trovare spazi improvvisativi in un certo tipo di musica (mi riferisco ovviamente alla musica di cui mi occupo in particolare io), la fantasia interpretativa ha comunque poco da spartire con l’ improvvisazione. La mia ricerca va più verso il tentativo di far rivivere nel miglior modo possibile l’ idea fissata dal compositore sul suo spartito; mi sono occupato raramente di musica d’ avanguardia che lascia ampi spazi improvvisativi all’ interprete. Con questo non voglio assolutamente sminuire la dimensione “improvvisativa”, del resto cosa altro erano i grandi virtuosi del passato se non degli straordinari, funambolici improvvisatori.
E’ una dimensione che non mi appartiene, forse perché non posseggo, o non ho mai coltivato abbastanza, lo “speciale” talento che le da forma. Come ogni arte necessita di studio e applicazione ed il mio lavoro in questi anni si è orientato verso altre direzioni. Le faccio un esempio: nella musica di Santórsola oltre ad una scrittura chiara ed inequivocabile, vi sono innumerevoli indicazioni interpretative che non lasciano niente al caso e che, a primo acchito, sembrano imbrigliare l’ interprete che invece può dare il meglio di se grazie ad una “regia” accurata e dettagliata.


Ascoltando la sua musica ho notato la tranquilla serenità con cui lei si approccia allo strumento indipendentemente dal repertorio, da con chi sta suonando, dal compositore, dallo strumento che lei adopera dimostrando sempre un totale controllo sia tecnico che emotivo, quanto è importante il lavoro sulla tecnica per raggiungere questo livello di “sicurezza”?

La “apparente” tranquillità viene da un accurato lavoro di preparazione che non lascia mai nulla al caso. Il lavoro sulla tecnica non deve mai essere svincolato dal discorso musicale: ogni dito, ogni scelta di diteggiatura è calibrata e costruita sul fraseggio, sulla dinamica e sul carattere del brano, quindi assolutamente incentrato sulla musica.
Ho terminato da poco questo lavoro sul Quintetto di Castelnuovo-Tedesco che ho suonato a fine maggio. La riuscita di una esecuzione dipende per un buon 80% dal lavoro di impostazione che si fa su di esso. Cerco sempre di far capire questo ad i miei alunni, perché credo che non esistano passaggi ineseguibili, bisogna solo trovare le soluzione giuste per le diteggiature di entrambe le mani e poi non avere mai il timore di cambiare e ricambiare sino a trovare la combinazione che per la nostra tecnica e per le nostre mani, “funziona”. E’ assolutamente inutile studiare e ristudiare un passaggio difficile se a monte non si è capito il perché della difficoltà. E’ un lavoro che richiede molta pazienza ma ripaga con frutti incredibili. In questo, lo studio della musica di Santórsola mi ha aiutato tantissimo, ricordo il lavoro fatto su alcune frasi del 1° tempo della Sonata Italiana: alcuni passaggi sembravano davvero impossibili e irrealizzabili alla velocità finale, l’ unico problema era che non avevo ancora trovato la giusta idea per realizzarlo. La musica di Santórsola è stata ed è ancora la mia palestra a tutti i livelli, e mi ha aiutato a capire che ogni passaggio può con un adeguato studio, diventare perfettamente eseguibile e musicalmente fluido ed efficace.

Luciano Berio ha scritto “la conservazione del passato ha un senso anche negativo, quando diventa un modo di dimenticare la musica. L’ascoltatore ne ricava un’illusione di continuità che gli permette di selezionare quanto pare confermare quella stessa continuità e di censurare tutto quanto pare disturbarla”, che ruolo possono assumere la musica e i compositori contemporanei in questo contesto?

Berio non a caso dice “anche”….. Credo che la musica deve assolutamente evolversi e deve cercare nuovi modi per esprimersi e per comunicare; a volte magari si correrà il rischio di non essere subito compresi ed apprezzati, ma questo non deve pesare sulle scelte di un interprete o sulla libertà espressiva da parte di un compositore moderno nell’ utilizzo di linguaggi nuovi: credo fermamente che ognuno deve seguire il proprio istinto per liberare l’ arte che è in se senza condizionamenti.

Come vede la crisi del mercato discografico, con il passaggio dal supporto digitale al download in mp3 e tutto questo nuovo scenario?

Credo che il progresso non si possa fermare ne tantomeno si può prevedere il futuro.
Non so, io sono molto legato al “disco” e lo sono sempre stato anche da bambino, quindi difficilmente immagino la possibilità di smettere di avere il piacere di comperare ed ascoltare dischi. Forse il futuro non è solo nel download in mp3, potrebbe esserlo per la musica di consumo, anzi credo che sia il modo migliore per fruire di tutta quella “musica spazzatura” che fa innamorare le ragazzine ma che dopo sei mesi è già vecchia. Per fortuna noi non ci occupiamo di questo settore e fino a quando i lavori discografici avranno alle spalle progetti di rivalutazione e di ricerca storica e non solo di sfoggio della propria narcisistica bravura allora difficilmente il disco morirà.
Io immagino un futuro dove magari potremo avere un fenomeno di espansione dell’ audiofilia con la decadenza dei supporti digitali e la rinascita del vinile………….


Ci consigli cinque dischi per lei indispensabili, da avere sempre con se.. i classici cinque dischi per l‘isola deserta..

James Taylor (LIVE) del 1993
Andrés Segovia che suona la “Fantasia para un Gentilhombre” e il “Concierto del Sur”
Dire Straits “Money for Nothing”
J. S. Bach i “Concerti Brandeburghesi”
J. S. Bach le “Cello Suites”

Quali sono invece i suoi cinque spartiti indispensabili?

Douze Études di Heitor Villa-Lobos
Opere Complete per Liuto di J.S. Bach
Le Rossiniane di Mauro Giuliani
5 Preludi e le 5 Sonate di Guido Santórsola
Studi di Trascendenza e Virtuosità di Angelo Gilardino


Il Blog ha aperto di recente una nuova rubrica dedicata ai giovani neodiplomati e diplomandi, che consigli si sente di dare a chi, dopo anni di studio, ha deciso di iniziare la carriera di musicista?

In primo luogo mi sento di consigliare fortemente a tutti i neo diplomati di non fossilizzarsi esclusivamente nello studio e nell’ approfondimento del repertorio solistico: tutti i periodi storici hanno riservato alla chitarra, ed affini, ruoli di grande importanza all’ interno delle più svariate formazioni cameristiche. La ricerca e l’ approfondimento di tutto questo repertorio originale, potrà riservare piacevolissime sorprese ed ampi spazi di espressione e gratificazione. In secondo luogo credo sia fondamentale studiare sempre alla ricerca di una idea musicale profonda: è nostro dovere come artisti e professionisti, regalare al nostro pubblico la possibilità di fruire di tutta la ricchezza che la musica ha in se.




















Con chi le piacerebbe suonare?

A dire la verità i musicisti con cui suono a partire dal Quartetto d’ archi Paul Klee continuando con mia moglie flautista Nicoletta Di Sabato e gli amici chitarristi del Quartetto Santórsola, sono tutti musicisti straordinari con cui riesco a trovare intenti comunicativi comuni molto forti e con cui riesco a raggiungere durante i concerti momenti di grande intensità ed emozione.

Quali sono i suoi prossimi progetti? Su cosa sta lavorando?

Sono sul mio leggio da circa un anno dei nuovi brani per chitarra sola di Santórsola a cui voglio dedicare un nuovo disco solistico. La Sua musica non smette mai di sorprendermi e di entusiasmarmi. Inoltre stiamo lavorando, insieme con il Quartetto Santorsola, a diversi nuovi brani tra cui lo splendido Concerto Italiano di Angelo Gilardino ed il secondo movimento di Claps che Davide Ficco sta scrivendo per noi..