Recensione di Turning Towards The Light di Adam Rudolph Go: Organic Guitar Orchestra, Cuneiform Records, 2015
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Devo ringraziare Marco Cappelli per avermi fatto conoscere Adam Rudolph. Confesso che prima del nostro piacevole e conviviale incontro a Venezia nel marzo del 2016 non avevo ancora avuto la possibilità di conoscere la sua musica e soprattutto il suo ricco e originale pensiero musicale.
Forte di una carriera come percussionista semplicemente straordinaria e una conoscenza della musica etnica africana e indiana semplicemente impressionante. Un’esperienza costruita lentamente e direttamente sul campo, una cosa decisamente lontana dal tipo di esperienze simulate che viviamo quotidianamente nella nostra attuale società mediatica.
Il suo ultimo recente disco, una ulteriore evoluzione del suo progetto Go Organic Orchestra lo vede impegnato a dirigere e coordinare le attività di una lista di eccellenti musicisti come Rez Abbasi, Nels Cline, Liberty Ellman, David Gilmore, Miles Okazaki, Marvin Sewell, Damon Banks, Marco Capelli, Jerome Harris, Joel Harrison e Kenny Wessel.
Queste registrazioni risalgono al solstizio d’inverno del 2014, data speciale, nella quale Rudolph ha riunito tutti questi chitarristi, tra i più avventurosi nella scena musicale newyorchese, per realizzare i tredici brani che compongono questo Turning Towards The Light. Il disco è eccellente e rappresenta una grande novità per tutti gli appassionati di chitarra, qui Rudolph applica tutte le sue influenze e esperienze che vanno dalla musica etnica alla comprensione dei meccanismi musicali alla base delle musiche di autori contemporanei come Messian, Carter, Ligeti, Bartok e sopratutto Toru Takemitsu.
In particolare queste influenze e questi studi sfociano in un linguaggio particolare e personale chiamato “Cyclic Verticalism,” che combina in maniera decisamente efficiente e interessante poliritmi presi dalla musica africana a cicli ritmici presi dalla musica indiana. Tutti i chitarristi possono muoversi all’interno di queste strutture, una specie di orbite musicali stabili con le quali dialogare e esprimersi anche attraverso strutture improvvisative. L’uso costante di poliritmie e di curiosi intervalli musicali rende questa musica liquida, irridiscente e sorprendentemente meditativa. Ciascun chitarrista è libero di arricchire e di portare le sue influenze, il risultato è un melange particolarmente appassionate e sempre in movimento, ho ascoltato più volte questo disco e non sono riuscito ad afferrare un centro attorno a cui ruoti la musica, sembra di assistere a un curioso e complicato meccanismo vittoriano, una serie di orbite eleganti che si muovono tra di loro in un sincronismo tanto perfetto quanto di difficile decifrazione e che permettono alla musica di fluire e di respirare mostrando ogni volta aspetti nuovi.
Per pura coincidenza ho ascoltato nello stesso periodo l’ultimo cd di Steve Reich “Radio Rewrite” e sono stato colpito da alcune somiglianze. Anche se la musica di Reich si basa su strutture molto ben definite e decise fin in partenza, senza l’uso dell’improvvisazione, anche nella sua musica si possono sempre trovare degli elementi che emergono ogni volta diversi. Lo stesso si può dire per le musiche della Organic Guitar Orchestra, cambiano ogni volta o meglio cambia ogni volta il modo in cui si ascoltano, credo che questo sia una conseguenza delle strutture e delle forme musicali adottate da Adam Rudolph che permettono alle chitarre di esprimersi in modi non convenzionali e innovativi senza forzare la mano agli artisti. Un gran disco, speriamo di sentire presto la Guitar Orchestra al gran completo da vivo!