Questo è un disco molto particolare: “Different Trains / Electric Counterpoint” uscito nel 1989 per la Nonesuch Records.
Nel disco si trovano due lavori: “Different Trains” ed “Electric Counterpoint”. Il primo eseguito dal Kronos Quartet, il secondo invece è il primo pezzo di musica minimalista che sia stato scritto per chitarra e vede l’esecuzione di Pat Metheny. Reich è un musicista e compositore statunitense, un “minimalista”, genere musicale di cui periodicamente (forse a sottolinearne ironicamente la perenne vitalità) viene annunciata la morte. Nel caso di Reich la parola che forse meglio caratterizza la sua musica è “phasing”: suoni che partono all’unisono per poi variare per tempo, velocità e altezza creando una miriade di altri suoni da questi derivati, il risultato è una musica molto particolare, quasi ipnotica, ma piacevole all’ascolto. Ho deciso di parlare di questo disco dato che negli ultimi tempi la composizione Electric Counterpoint è stata oggetto di interesse di diversi chitarristi classici come David Tannenbaum, Marco Cappelli e Elena Càsoli.
Different Trains (1988) segna il ritorno di Reich agli esperimenti con voce registrata (ma anche rumori, sirene ecc) e nastro, che formano l’asse attorno al quale ruotano le figure differentemente ritmate degli archi, con l’esecuzione del Kronos Quartet. Il pezzo è dedicato ai treni nazisti che portavano gli ebrei nei campi di concentramento e adotta tecniche del tutto inusitate per lui: composto per quartetto d’archi e nastro, i primi imitano la melodia del parlato e il secondo emette suoni “trovati” di treni e di sirene, nonche’ frammenti “trattati” di discorsi. L’idea di usare il parlato come sorgente sonora sembra un ritorno all’estetica di It’s Gonna Rain e Come Out, ma l’interazione con gli strumenti è diversa in quanto sono i suoni prodotti dalla voce a dirigere e chiamare gli strumenti e non il contrario. Dalle frequenze e dalle altezze di ogni singola frase il compositore ha infatti ricavato sequenze riprodotte e sviluppate dagli archi secondo moduli metrici diversificati. La composizione si base su memorie infantili (i frequenti viaggi in treno da New York a Los Angeles a causa del fatto che i suoi genitori erano divorziati), a confronto con ben altri percorsi compiuti dai suoi correligionari ebrei in Europa nello stesso periodo. Per la realizzazione di questo manifesto sonoro Reich ha dunque assemblato fonti diverse, nello stridente contrasto tra normalita’ e tragedia: la voce della sua governante, che rievoca quei viaggi in treno; il racconto di un autista di pullman che copriva frequentemente quella tratta; frammenti delle testimonianze di tre sopravvissuti all’Olocausto; rumori di treni d’epoca.
Electric Counterpoint (1987) era stata commissionata dalla Brooklyn Academy of Music’s Next Wave Festival per la chitarra di Pat Metheny. E’ un interessante lavoro di sovrapposizione seriale/minimalista di 11 chitarre (e 2 bassi), sviluppato nei tre movimenti “Fast”, “Slow”, and “Fast” della durata di circa 15 minuti. E’ il terzo di una serie di lavori (Vermont Counterpoint del 1982 e New York Counterpoint del 1985) che prevedono tutti un solista suonare in contrapposizione a una serie di nastri pre-registrati dal musicista stesso. Dice lo stesso Reich nelle note del disco “I would like to thank Pat Metheny for showing me how to improbe the piece by making it more idiomatic for the guitar”. Pat così risponde a distanza in un’intervista del 6 gennaio 1989, riportata nel libro di Luigi Viva Pat Metheny, una chitarra oltre il cielo “.. è stata un’esperienza fantastica. Steve è uno dei più grandi compositori americani di questo secolo … E’ stato un poco strano dovergli spiegare il range dello strumento, poiché aveva poca dimestichezza con la chitarra elettrica. Comunque siamo diventati buoni amici e il bilancio di questa collaborazione è molto positivo…” Nel disco Metheny adopera la Gibson ES175, una Manzer a 6 corde acustica e il vecchio Fender Precision Fretless regalatogli da Jaco Pastorius. Il primo movimento, dopo una introduzione pulsante, usa un’armonia (un canone a otto chitarre) derivante da un tema preso dalla musica etnica africana di cui Reich era venuto a conoscenza tramite l’etnomusicologo Simha Aron, il solista gioca con questo tema inserendo pattern melodici con le restanti tre chitarre e i due bassi in contrappunto col tema. Nel secondo movimento, invece il tempo viene dimezzato e viene introdotto un nuovo tema costruito lentamente con un canone di nove chitarre. Il terzo movimento ritorna al tempo originario e introduce prima un canone a quattro chitarre, con l’inserimento improvviso dei due bassi, poi il solista inserisce una serie di accordi basati su un canone di tre chitarre. Una volta completato il solista ritorna al pattern melodico che risulta dal contrappunto, successivamente avvengono dei cambi di tonalità e di tempo da parte dei bassi dal Mi minore al Do minore e tra i 3/2 e i 12/8. questi cambiamenti ritmici e tonali si susseguono sempre più rapidamente fino al finale dove tutto si risolve in tonalità Mi minore e un ritmo di 12/8.
Non si può fare a meno di notare di quanto sia tecnica e rigorosa la sua musica. Reich non è nè uno scienziato rigoroso e monomaniaco come Young e neppure un artista mistico e sentimentale come Terry Riley. Reich e’ uno studioso del modo in cui si produce la musica: e’ un tecnico della composizione e dell’orchestrazione, e, contemporaneamente, un teorico e un ricercatore della musica primitiva. Reich non sembra essere per nulla interessato dalla melodia, mentre e’ invece affascinato invece dal ritmo e dalla complessità (misurata in quantità di frasi che si muovono simultaneamente), dall’ordine e dalla disciplina, dal divenire della musica in quanto processo deterministico. Le sue composizioni non lasciano spazio all’improvvisazione, essendo anzi rigorosamente pre-determinate, la musica sembra crescere per conto proprio, ma senza libero arbitrio. La cosa mi ha colpito ancora di più in questa composizione rispetto ad altre opere di Reich proprio per la natura dell’esecutore: Pat Metheny è ben noto per essere uno dei chitarristi in assoluto più devoti al gusto della melodia e all’improvvisazione, strano quindi trovarlo qui in un ruolo che vede nei panni del severo e rigoroso interprete. E’ anche vero che nel corso della sua oramai quarantennale carriera Metheny ci ha abituati a ogni sorta di variazione di rotta e di attraversamento stilistico jazz, free jazz, musica brasiliana, noise, pop music, hard rock senza per questo mai perdere un solo centesimo della sua cifra stilistica.