#Recensione di James Moore plays The Book of Heads, 2015 Tzadik

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Recensione di James Moore plays The Book of Heads, 2015 Tzadik

James Moore è un chitarrista e un multi-strumentista dalla notevole versatilità, uno dei membri fondatori del quartetto di chitarre elettriche Dither, e un interprete a livello internazionale sia come solista che membro di diversi altri ensemble. Nativo della Bay Area, Moore ha studiato chitarra classica presso la UC di Santa Cruz e la Yale School of Music, e da allora si è immerso nelle comunità musica creativa di New York, guadagnandosi il titolo di “local electric guitar hero” da parte del Time Out NY e di “model new music citizen” dal new York Times. Ha anche lavorato con Bang on a Can, Alarm Will Sound, Clogs, e membri del National.
Con questo disco, pubblicato dalla Tzadik vent’anni dopo edizione storica di Marc Ribot, Moore suona nuovamente i 35 studi creati da Zorn tra il 1976-1978 e pubblicati nel 1995. La cosa stupenda è che si tratta di una edizione speciale contenente sia un CD che un DVD con un film prodotta da Stephen Taylor che mette in mostra tutte le tecniche ecclettiche coinvolte e tutte le abilità necessarie per eseguire questi studi.
Così il DVD permette una visione approfondita in quello che la stessa Tzadik definisce nel suo sito internet “of the most gonzo music ever created for solo guitar”.
Come per le altre due edizioni integrali, la maggior parte dei pezzi sono della durata di uno / due minuti quindi le cose accadono velocemente, e devono essere eseguite evitando qualsiasi perdita di attenzione. A volte penso a questi studi come una sorta di spot pubblicitari televisivi, rapidissimi e allo stesso tempo densi di informazioni, come avviene composizioni basati sui file-card di Zorn o nei suoi game pieces. L’attenzione è fondamentale se si vuole poter riscontrare i diversi linguaggi idiosincratici suonati dalla chitarra di Moore, mescolando libera improvvisazione, colonne sonore per cartoni animati, film noir, world music, filosofie, licks chitarristici tipici del rock e riff di estrazione jazzistica.

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Questa idea, cioè che in un studio possa essere focalizzata l’attenzione sull’esplorazione di una particolare tecnica, viene confermata dall’ampia quantità di materiale eseguito: raschiature, colpi di archetto, suoni distorti e atonali, folate post-punk appaiono accanto a schemi classici e droni acuti, una testimonianza dell’approccio compositivo adottato da Zorn a metà degli anni ’70, caratterizzato da uno-zapping inquieto e dalla grande capacità di mescolare semioticamente diversi stili e generi.
Quindi penso che il Book of Heads sia ormai qualcosa di più che una semplice raccolta di studi per chitarra. Anche se gli spartiti sono sempre gli stessi dal 1995, a me sembra che in qualche modo stiano crescendo, stiano diventando una vera e propria “Opera Aperta” (per citare Umberto Eco) e che le loro influenza si stia espandendo tra i chitarristi di tutto il mondo. Speriamo in ulteriori nuove edizioni.