Short Sounds di Magnus Andresson, nosag, 2001


 Recensione di Short Sounds di Magnus Andresson, nosag, 2001

Un libro sulla chitarra contemporanea non può in alcun modo trascurare l’apporto che Magnus Andersson, chitarrista svedese, con studi al Trinity College of Music di Londra, ha dato alla Nuova Musica. Basti solo pensare al fatto che è stato lui nel 1984 a fondare la classe di chitarra nei Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt, dove ha insegnato fino al 1996. Nel 2001 ha prodotto per etichetta discografica svedese Nosag questo cd interamente dedicato al repertorio chitarristico di compositori Italiani: Franco Donatoni, Aldo Clementi, Sylvano Bussotti, Bruno Maderna e Luciano Berio.
Un album assolutamente fondamentale che traccia delle linee essenziali per quanto riguarda l’interpretazione di queste musiche tanto forte è l’impronta musicale personale che questo musicista dalla classe e dall’intelligenza cristallina riesce a esprimere tramite i suoi strumenti. Il titolo non poteva essere più azzeccato. Questo disco sembra fatto apposta per evidenziare un collage di piccoli suoni, frammentati, spezzettati, sommati l’uno all’altro fino a diventare qualcosa di complessivo e monumentale, a partire dal recupero costituito da un breve inciso mutuato dal chitarrista jazz Django Reinhardt per Algo di Donatori e passando per la dimensione meta-musicale delle Dodici Variazioni e Fantasia di Aldo Clementi. Magnus esplora le possibilità armoniche in Y Despues, il pezzo “andaluso” di Maderna, per chitarra a dieci corde, mentre bellissima è la versione di Rara di Bussotti, un pezzo caratterizzato dalla particolare forma grafica dello spartito musicale che mette a dura prova le capacità e le possibilità creative del musicista, sollecitate a loro volta nella Sequenza IX e nelle due versioni di Brin di Berio. 
In questo album densi silenzi si alternano tra aforismi musicali e caleidoscopici colori strumentali, in un amalgama di “emissioni” sonore concentrate alla ricerca di quello che sembra essere l’Essenziale nella musica. Una ricerca che va oltre l’intransigenza di un’architettura sonora astratta, che crea una terza dimensione attraverso la quale lo spazio non esiste solo per la fantasia e l’intelletto, ma che apre una finestra sulla poesia più raffinata.
Un disco che ha attirato l’attenzione anche della prestigiosa rivista inglese “The Wire”, culto per l’avanguardia musicale.