Recensione di J.S. Bach The Four Suites for Lute di Giacomo Copiello, Victor Valisena, Michele Tedesco e Giacomo Susani, Stradivarius, 2016
Temo che questa recensione alla fine suonerà come di parte, ma vi chiedo di avere la pazienza di leggerla comunque: il disco è bellissimo, gli interpreti sono davvero tutti e quattro validissimi musicisti, il libretto che accompagna il cd contiene un saggio di Stefano Grondona che è obbligo leggere e imparare, la qualità di registrazione, merito di tecnico del suono Davide Piva e del mastering di Andrea Dandolo, è favolosa. La Stradivarius ha ancora fatto centro con una produzione di elevata qualità.
Per chi avesse qualche dubbio la recensione potrebbe finire qui, ma credo che possiamo approfittare di questi spazi e per ascoltare e leggere questo disco in maniera diversa dal solito. E’ vero, di registrazioni per chitarra delle Suite per Liuto di Bach il mercato è pieno, per non dire inflazionato, ma questo disco ha qualcosa di speciale che non avevo ancora incontrato: quattro allievi dello stesso Maestro, in questo caso Stefano Grondona, suonano nello stesso disco assieme ma non in quartetto. Ciascuno di essi prende una Suite di Bach e la interpreta a modo suo. Gli interpreti sono tutti giovanissimi ma dimostrano una maturità sorprendente e mi piace l’idea che suonino assieme individualmente, è una buona occasione per capire qual’è stata la portata degli insegnamenti del loro Maestro e come essi li hanno recepiti.
E’ vero le Suite di Bach sono un terreno già percorso ma è altrettanto vero che rappresentano un passaggio praticamente obbligato per ogni chitarrista, un’ esperienza sulla quale tornare anche più volte nel corso della propria vita artistica, una sorta di pietra filosofale (chiedo scusa per la licenza mistica) su cui confrontarsi ripetutamente. Leggo la scelta di queste quattro Suite come la scelta sia di un terreno comune su cui musicalmente e intellettualmente confrontarsi, sia come una sorta di attestato della raggiunta maturità artistica di questi quattro chitarristi, che sono giovani (Victor Valisena ha classe 1996, Giacomo Susani 1995, Michele Tedesco 1992, Giacomo Copiello 1991) ma che dimostrano un livello artistico sorprendente. Qualche tempo fa discutevo con un amico, ex chitarrista, che si lamentava (difetto tipico italiano, purtroppo) di come dopo Bream, Williams e Yepes non ci fossero più validi interpreti in grado di portare avanti le loro idee, credo che lo obbligherò a comprarsi questo disco: primo perché caratterialmente non sopporto chi si lamenta, secondo perché poche cose mi danno così fastidio come l’ignoranza assunta come partito preso. Non è vero niente: la chitarra in questi ultimi vent’anni ha fatto passi da gigante e lo dimostra queste leve di giovani musicisti che cominciano ad affacciarsi sul mercato, sì dico proprio il mercato. Penso che questo lo dobbiamo al grande lavoro di didattica che è stato fatto, è vero i Conservatori italiani hanno grandi difetti, ma guarda caso sono gli stessi difetti di chi ci insegna e studia: dove c’è un grande Maestro ci saranno sempre grandi allievi prima e grandi musicisti dopo. Poi è compito nostro cercare questa qualità e saperla proporre.
Come vi dicevo.. questa recensione suonerà di parte… forse.