Intervista con Enrico Merlin e Valerio Scrignoli
Valerio… Enrico lo conosco già, ti dispiace se rivolgo un paio di domande direttamente a te? Come è nato il tuo interesse per la chitarra? Con che chitarre suoni e hai suonato? Qual’è il tuo background musicale? (ok, sono tre in realtà)
Valerio: Un amico di mia sorella suonava la chitarra, io avevo circa 10 anni e da li è partita la passione che dura ancora oggi.
In genere uso Fender, Telecaster e Stratocaster a volte una Jaguar. Ho anche chitarre artigianali che uso quando suono jazz.
Ho iniziato prestissimo ad ascoltare musica in casa, all’inizio musica leggera italiana, Beatles e Rolling Stones. Mi ricordo ancora di essere andato (portato per mano da mio padre) a sentire i concerti al Parco Lambro… devo dire che da allora ho sempre ascoltato tantissima musica, di tutti i generi. Vivendo a Milano ho potuto assistere a centinaia di concerti live dei più importanti jazzisti e gruppi rock internazionali. Ancora oggi che faccio il musicista di professione, quando posso, vado più che volentieri ai concerti dei colleghi.
Come è nata quest’idea di… reinterpretare gli Area? Uso il termine “reinterpretare” perchè penso che parlare di “cover” con voi due sia assolutamente fuori luogo…
Valerio: A stimolare questo progetto è stata la mia compagna, Viviana Bucci che è stata amica di Gianni Sassi (discografico e autore di alcuni dei testi degli Area). Eravamo da poco andati ad ascoltare un concerto di Enrico Merlin a Milano. Non conoscevamo Enrico ma dopo quel concerto a lui abbiamo proposto di formare questo duo. Una delle esperienze più stimolanti della mia carriera di musicista.
Con Enrico abbiamo subito stabilito un feeling pazzesco, condiviso una comune creatività che ci ha permesso di addentrarci nelle note degli Area con libertà e, oserei dire, leggerezza. Praticamente da sempre considero gli Area come il miglior gruppo italiano di sempre, è il mio preferito in assoluto. Non mi stanco mai di riascoltarli e anche adesso, mentre penso e scrivo queste domande, sto ascoltando il doppio cd “Concerto Teatro Umano”.
Enrico: Sì è così, e io ne sono stato molto onorato, anche se all’inizio ero un po’ preoccupato all’idea di affrontare musica tanto complicata e a cui ero legato sin dai miei ascolti adolescenziali.
Il primo disco loro che ho ascoltato è stato proprio “Maledetti”. Mi travolse. Potente, sovversivo, ironico, non incasellabile in un genere definito. A quell’epoca ero principalmente attratto dal Jazz, ma arrivavo dal Progressive, quindi gli Area riassumevano il mio ideale del “fare musica”.
Secondo voi qual’è stato il loro apporto alla musica italiana?
Valerio: In una parola: rivoluzionario. Perché sono stati i primi a unire generi che erano (e purtroppo lo sono ancora) ghettizzati nelle loro definizioni. Li hanno saputi fondere con una spinta creativa e una originalità uniche. Una rivoluzione colta e densa di significati, sono andati oltre la musica.
Enrico: Non c’è dubbio che gli Area siano stati la band italiana più importante nel panorama internazionale, come anche sostenuto nel mio volume 1000 dischi per un secolo (ed. Il Saggiatore), una deflagrazione sonora imprevedibile! Ispirata dal Jazz Rock anglo-americano, pagando il tributo alla musica del Miles Davis elettrico, l’approccio degli Area ne ha rideclinato le forme esplorando territori musicali nuovi, dando vita panorami sonori inediti ed efficaci.
Ritenete che la loro “lezione” musicale, la loro professionalità, la loro disciplina e integralità abbiano lasciato dei segni e … degli eredi?
Valerio: sicuramente hanno lasciato segni e anche importanti. Eredi… non saprei. Del resto neanche io e Enrico ci possiamo considerare tali. Maledetti è un disco che vuole aprire uno spiraglio musicale in quella che abbiamo definito “Area Music”.
Enrico: Questa è una domanda difficile a cui rispondere, non tanto sui segni, quanto sull’eredità. A monte ci dovrebbe essere una domanda ancora più scomoda in campo artistico: cosa significa “eredità”? Personalmente ho sempre odiato le repliche, il coverismo, l’atteggiamento di sudditanza assoluta verso un modello. L’arte, in tutte le sue forme, si alimenta di stimoli, a volte anche solo di pretesti. Per omaggiare i grande innovatori non si può (anzi non si deve) riproporne la loro musica e basta. Bisogna entrare in intimità con il loro linguaggio e scrivere nuove poesie, nuovi racconti, nuovi romanzi… Altrimenti è solo un’altra forma di interpretazione di un testo dato. Se quindi “eredità” significa mettersi in continuità concettuale, prima ancora che stilistica, allora devo dire che sta al fruitore dell’opera d’arte rintracciarne eventuali rivoli, affluenti e sviluppi, sulla base della propria sensibilità. In termini di quantità di epigoni purtroppo invece in Italia siamo degli specialisti. Fortunatamente la musica degli Area, in quel senso, è stata saccheggiata meno di altre (a parte per qualcuno che scimmiotta Stratos, magari senza nemmeno aver mai ascoltato Leon Thomas o Blind Willie Johnson), forse anche a causa della sua complessità strutturale ed esecutiva.
Come avete “gestito” le vostre due chitarre all’interno del progetto? Di solito uno recita la parte di accompagnamento e l’altro quello di solista, scambiandosi, ma nel vostro caso mi sembra che siete stati capaci di “inventarvi” dei ruoli più complessi, in certi punti del disco sfiorate quasi il contrappunto…
Valerio: Sì, il bello di suonare con Enrico è che abbiamo una perfetta complementarità. Non ci interessa “chi fa il solo”… ci lasciamo andare, ci lanciamo stimoli. Quello che ci interessa è il risultato. E poi, in ogni esecuzione ci divertiamo moltissimo.
Enrico: Valerio è un partner straordinario! Nessuna fatica. È il mio alter ego sonoro. Siamo come Yin e Yang; ognuno è complementare all’altro, ma contiene una parte dell’altro. Già al primo concerto ogni tanto scoppiavamo a ridere per ciò che accadeva imprevedibilmente.
Reinterpretare i loro brani è stata più una questione di improvvisazione o di composizione? Cerco di spiegarmi meglio… li avete reinterpretati basandovi di più su un lavoro improvvisativo o su una ricostruzione/decostruzione di tipo compositivo?
Valerio: Abbiamo lavorato su cellule melodiche e ritmiche ma nello stesso tempo c’è grande spazio per l’improvvisazione.
Enrico: Dunque, la parte preparatoria è consistita nell’identificare i brani che volevamo inserire in repertorio. A quel punto ci siamo trovati per due giorni interi consecutivi con le chitarre e tutto l’armamentario sonoro. Nel tardo pomeriggio del secondo giorno ci siamo guardati nello stesso momento esclamando: “ce l’abbiamo!” Ora dopo una dozzina di concerti ci siamo resi conto che l’approccio scelto – cioè come dice Valerio quello di aver identificato i micromateriali caratteristici di ogni composizione per poterli esplodere nell’atto performativo – ci ha portato, e continua a portarci, in territori inesplorati. Potrei dire che ormai Maledetti – Area Music è un organismo sonoro autonomo che si auto alimenta tramite esperienza e sensibilità. Noi siamo solo il tramite attraverso cui si manifesta. In ottica cageana, più ci togliamo di mezzo e meglio funziona.
Chi ha disegnato la copertina di Maledetti? E come mai avete scelto proprio quell’immagine?
Valerio: Il disco Maledetti è prodotto da Musicamorfosi Associazione che è una importante realtà del milanese che produce artisti e festival. Da qualche anno ha al suo attivo anche una piccola produzione discografica. Sono molto attenti all’immagine e alla comunicazione. Viviana, la mia compagna, collabora con loro ed è stato suo il suggerimento di utilizzare le bellissime illustrazioni di Andrea Pedrazzini, già collaboratore di Gianni Sassi a cui il progetto è dedicato.
Enrico: Esatto! Andrea Pedrazzini è un genio! Posso dire solo questo. Io lo conoscevo precedentemente per il suo De Bestiarium Naturis, un’opera al di là del bene e del male. Quando Viviana mi ha proposto l’idea, mi sono eccitato. E ricordo di averle chiesto: ma tu pensi davvero che lui possa essere interessato e accettare? Il risultato lo avete tra le mani.
Alla fine… chi è il più Maledetto di voi due?
Valerio: questa si che è una gara!
Enrico: Yin e Yang, Yin e Yang!