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Recensione di Tilt di The Great Harry Hillman, Cuneiform Records, 2017

Dopo il post-rock è forse arrivato il tempo del post-jazz? Questo disco del quartetto svizzero The Great Harry Hillman me lo fa pensare. La loro musica è un incrocio, davvero allettante, che ricorda tanto gli esordi dei Tortoise quanto le visioni del jazz atmosferico europeo degli anni 70 e 80. La loro è una musica che alterna atmosfere sognati e fumose a momenti più contemplativi e calmi, a cui seguono però anche folate di chitarre distorte e ritmiche più aggressive.
Dal punto di vista tecnico sono un ottimo quartetto,molto affiatato e con un ottimo interplay che sa gestire non solo le musiche ma anche i momenti di pausa, che rappresentano nell’economia generale di questo Tilt non solo dei momenti di riflessione ma degli attimi in cui la stessa musica sembra riorganizzasi per poi ripartire.
Non me ne vogliano gli altri componenti del gruppo (Nils Fischer: saxophone, bass clarinet; Samuel Huwyler: bass; Dominik Mahnig: drums) se cito la bravura del chitarrista David Koch, anche lui svizzero, la cui carriera musicale era iniziata come flautista e successivamente, dopo aver frequentato generi musicali diversi tra loro, è arrivata alla chitarra.
Il disco è davvero interessante e si ascolta piacevolmente, non ci sono forzature, la musica scorre piacevole senza però sfociare in un banale easy listening. Si tratta di musiche dalla struttura non convenzionale la cui forma non è immediatamente iscrivibile a un genere specifico e per questo, forse, ancora più piacevoli da ascoltare. Direi che questo Tilt è un ottimo lavoro, che spero possa contribuire a far conoscere meglio questo ottimo quartetto.