#Intervista con Marco De Biasi (Ottobre 2009) su #neuguitars #blog

DSCF8959

Intervista con Marco De Biasi (Ottobre 2009)

La prima domanda è sempre quella classica: come è nato il suo amore e interesse per la chitarra e con quali strumenti suona o ha suonato?

Posso dire che il desiderio di suonare la chitarra è stato, per me, un qualcosa di congenito. Fin da quando avevo tre anni ho desiderato suonare questo strumento e non ho ricordi di aver cominciato a sentire questa spinta in un momento preciso della mia vita. È come se mi chiedessero a che età ho cominciato a sapere di avere le mani. Le ho sempre avute e non mi sono mai posto il problema. Attualmente suono su due strumenti: una chitarra del liutaio G. Wagner del 1997 e una chitarra del liutaio L. Waldner del 2009. Due bellissimi strumenti.

Nel suo sito internet ci sono diverse foto di lei assieme altri chitarristi e compositori come David Russel, Manuel Barrueco, Marco Socias, Zoran Dukic, Oscar Ghiglia e Leo Brouwer, che ricordi e che esperienze ha avuto con questi musicisti?

Eccetto David Russel, con tutti gli altri ho avuto delle esperienze che si sono limitate ad un solo incontro. Dal punto di vista sia umano che musicale ho dei bei ricordi e ho sicuramente imparato qualcosa, come del resto succede quando si incontrano persone che hanno qualcosa di importante da dire. Tuttavia devo affermare che il lavoro che porta a diventare dei buoni musicisti si fa a lezione con il proprio insegnante e a casa con il proprio strumento. A buon intenditor poche parole.
Come è nato il suo interesse verso il repertorio contemporaneo e quali sono le correnti stilistiche nella quale lei si riconosce maggiormente?
Mi sono avvicinato alla musica contemporanea attraverso la sonata op. 47 di A. Ginastera. Anche qui è difficile isolare un punto all’interno del flusso temporale. Posso sicuramente dire che la passione e l’interesse per la musica del 900 si è sviluppata un po’alla volta e in modo autonomo. A conti fatti è davvero un peccato che la musica del periodo in cui viviamo ci appartenga così poco, dal momento che si tratta di un patrimonio culturale ed emozionale così vasto e importante. Sicuramente, come per tutte le epoche, è necessario fare opera di selezione e di certo non mancano gli eccessi, ma a volte mi domando se veramente è il pubblico a non voler ascoltare questo tipo di musica, o l’interprete a non voler confrontarsi con il suo presente. Di fatto i “morti” creano molti meno problemi dei vivi, che non danno nessuna garanzia di successo. L’interprete, poi, per sua natura, non è un proprio quello che si può definire una persona che porta delle innovazioni. Certo può portare un nuovo modo di interpretare la musica ma non nuova musica. La cultura musicale odierna ha creato e osannato la figura dell’interprete come padrone della scena musicale a discapito della figura del compositore, facendo in modo che le sale si riempiano di musica sentita e risentita. Nessuno mette in dubbio che la musica dei grandi compositori giunta fino a noi sia e resti immortale (la musica è di per sé immortale), ma dare il dovuto spazio alla musica contemporanea è doveroso. Il genio creatore va sfruttato finchè è vivo, e a lui va chiesto di scrivere opere che vengano suonate. Solo così tra 200 anni potremo usufruire di un repertorio del XXI secolo qualitativamente valido. L’artista crea per una necessità interiore ma il committente stimola la creatività, poiché non c’è soddisfazione più grande per un artista di essere considerato e richiesto per ciò che di meglio sa fare.
Rispondendo poi alla seconda parte della domanda dirò che ogni corrente stilistica ha degli elementi di interesse al proprio interno dai quali attingo a seconda dell’evento musicale che mi trovo a plasmare e a realizzare. Faccio fatica a catalogare il mio modo di sentire la musica all’interno di una corrente musicale. L’uomo del mondo contemporaneo sta perdendo, attraverso un processo che è in atto da diversi decenni, l’appartenenza ad una vera e propria corrente di pensiero, ad una vera e propria corrente politica, ad una vera e propria corrente artistica. L’individualismo sta diventando l’unica corrente che ognuno di noi sembra in grado di percorrere. E ogni artista, poiché in quanto tale non può far altro che assorbire e trasformare ciò che il mondo gli presenta, non può che procedere in questa direzione: assorbire e trasformare in modo autonomo e individuale ciò che globalmente, sia in senso spaziale che in senso temporale, percepisce. Quando parlo di spazio intendo la pluralità dei luoghi e delle culture con cui un individuo può venire in contatto, quando parlo di tempo mi riferisco a più di 700 anni di musica a cui ognuno di noi può attingere per elaborare le proprie idee musicali. Dalla sintesi che ognuno di noi fa degli stimoli che di giorno in giorno ci vengono offerti, nasce un diverso modo di scrivere musica. Credo non ci sia domanda più difficile di quella che ci chiede dove va l’arte contemporanea.

DSCF8979

Un evento importante nella sua vita è stata la distonia focale, con la quale ha cominciato l’attività di compositore e di pittore, ce ne vuole parlare?

Nel corso della mia carriera di musicista, sono stato colpito, nel settembre del 2000, da una malattia neurologica chiamata “distonia focale”, unita ad una forte epicondilite sia al braccio destro che al braccio sinistro, vedendomi così costretto al ritiro dall’attività concertistica. Non so ancora se questa sia stata una disgrazia o una fortuna. Probabilmente, per restare con quanto diceva Hegel, “il senso del processo storico si vede solamente alla fine del processo stesso”. Tale processo non si è ancora concluso, ma se guardo i risultati che ho ottenuti dall’inizio della malattia a oggi, non è forse prematuro affermare che le cose positive pesano più di quelle negative.
Tutto è cominciato con qualche lieve fastidio al dito indice, che nel giro di un mese si è trasformato nell’impossibilità di utilizzarlo per qualsiasi tipo di movimento sulla chitarra. Il dito rimaneva chiuso all’interno della mano e qualsiasi tentativo di muoverlo comportava sforzi enormi e risultati nulli. Resomi immediatamente conto che evidentemente c’era qualcosa che non funzionava, ho cominciato a rivolgermi ai più diversi tipi di dottori e non (fisioterapisti, fisiatri, omeopatici, medici olistici, pranoterapeuti) i quali davano ognuno delle diagnosi diverse, senza mai capire quale fosse il vero problema. Il risultato fu una serie inconcludente di visite e un sacco di soldi spesi per niente. Per capire che si trattava di distonia e per avere una diagnosi concreta sono trascorsi circa due anni, Il peggio è che quando ho trovato chi mi ha diagnosticato la distonia (l’allora primario del reparto di neurologia dell’ospedale di Rovigo) sono stato invitato dal medesimo, con aria di assoluta sufficienza, a lasciar perdere e a cambiare mestiere. Non capisco come si possa dimenticare che il paziente, prima di essere malato, è uomo, e che la malattia, non si cura solo con i farmaci, ma anche e soprattutto agendo sulla persona dal punto di vista emotivo e spirituale. (Centinaia di pubblicazioni, scientifiche e non, parlano di questo aspetto nella cura delle malattie). Ad ogni modo, conclusa l’esperienza di questa visita, me ne sono tornato a casa, con la promessa di essere ricontattato per una cura a base di tossina botulinica. Tuttavia, non ho mai ricevuto alcuna telefonata e sono rimasto solamente con la profetica sentenza della fine della mia carriera.
La cosa strana fu che, dopo questa doccia fredda, arrivai a casa con la convinzione che sicuramente non sarei rimasto a guardare. Ne andava di mezzo la mia possibilità di esprimermi e la mia capacità di realizzare il mio essere attraverso il suono. Per prima cosa decisi, il giorno stesso, di telefonare al mio insegnante di armonia (il maestro Renato Gava) per prendere immediatamente delle lezioni di composizione. La mia voglia di scrivere musica si era infatti già manifestata all’età di 12 anni, ma non era stata sufficientemente alimentata ed era così svanita in breve tempo. Questo sembrava il momento buono per ricominciare, dato che appariva come unico sistema per tenermi in contatto con la musica viva. La seconda cosa che mi misi a fare è stata di cercare un sistema per guarire. La composizione si rivelò, infatti, ben presto insufficiente a colmare il mio desiderio di poter fare musica. È stato così che dopo molte richieste di aiuto, attraverso il musicista spagnolo Juan Francisco Padilla, sono entrato in contatto con L’Istituto di Medicina e dell’Arte di Barcellona. Qui ho trovato dei professionisti che mi hanno saputo dare la giusta dose di coraggio e di speranza per affrontare la malattia. Sono stato trattato prima come essere umano al quale era venuto a mancare una parte fondamentale della propria esistenza e, solo successivamente, come paziente.
Inutile spiegare l’iter della cura (anche perché è passato un bel po’di tempo e i ricordi cominciano a non essere chiari), che non è stato per nulla semplice, ma ricco di problemi secondari non dovuti alla distonia. Basti dire che per 14 mesi, tutti i giorni, (lavoro e impegni a parte) ho fatto 4 ore di esercizi che consentissero al mio cervello di creare nuovamente un programma motore in grado di riprendere a suonare. Sveglia alle sette, esercizi fino a mezzogiorno e poi la vita che tutti i musicisti conoscono. Con costanza, tenacia e rigoroso rispetto di ciò che mi veniva detto di fare, giunto alla fine della cura, ero in grado di suonare di nuovo. È stato poi necessario circa un altro anno di lavoro per poter dire di suonare nuovamente un repertorio di tutto rispetto e, ancor oggi, riscontro piccoli miglioramenti.
Un grazie sincero va a tutto lo staff medico della clinica di Terrasa, ma, sicuramente, non avrei potuto farcela senza l’aiuto della mia famiglia e di tutti coloro che solamente hanno creduto in me. Di fondamentale importanza è stata poi, in primo luogo, la completa accettazione della mia condizione, presa come dato di fatto e come un punto di partenza dal quale non si poteva far altro che progredire. Qualsiasi risultato ottenuto avrebbe infatti portato a condizioni migliori di quelle in cui mi trovavo. In seconda istanza, si è rivelata necessaria la consapevolezza, costruita negli anni, del mio esistere quale essere unico e irripetibile, frutto del proprio vissuto e cosciente delle proprie capacità. Grande è stata l’autodeterminazione dimostrata ed enorme il feroce desiderio di possedere nuovamente la capacità di suonare. Quando la fame è più grande del dolore che ti divora, o muori o la tua volontà si trasforma in atto, e si concretizza a tal punto che riesci a risolvere totalmente i tuoi problemi.
Il concorso più grande della mia vita l’ho vinto contro me stesso, contro la mia malattia e contro il mio cervello e le sue regole, dimostrando come la volontà possa afferrare l’istante e, attraverso questo, condizionare il corso degli eventi. Sono stato il giudice di me stesso e ho deciso che la guarigione sarebbe stata totale. E così è stato.
Attualmente sono nuovamente in grado di tenere concerti con programmi assolutamente uguali a quelli che proponevo prima dell’insorgere della malattia.

La sua pittura in particolare attinge alle idee stilistiche di Kandisky ma mi sembra che lei adotti delle soluzioni molto più essenziali e matematiche .. si nota una certa affinità coi frattali ad esempio…. Riesce a tradurre le sue idee pittoriche in idee musicali?

I miei quadri si riferiscono all’aspetto concettuale dell’opera, ossia a come questa viene percepita dallo spirito. La parte razionale dell’individuo coglie il concetto. Questo, una volta filtrato dallo spirito, viene tradotto in forma e fissato in maniera immutabile sulla tavola. Niente di più si trova in essa che la geometrizzazione di un concetto accolto nello spirito e da questo tradotto in pittura.
In un secondo momento, tale concetto viene ascoltato ed elaborato nell’anima. Questa, per sua natura, reagisce attraverso delle emozioni. L’energia impiegata al fine di catalizzare e sintetizzare la duplice azione del concetto e del sentimento danno origine all’opera musicale.
L’opera musicale, generatasi dalla formalizzazione di un concetto, aggiunge a quest’ultimo la capacità di riprodurre l’emozione che lo stesso genera. L’opera musicale apre le porte del cuore e guida l’ascoltatore alla conoscenza di sentimenti ultrasensibili che il comune linguaggio, creato dall’uomo per descrivere il mondo terreno, non può spiegare.
L’opera pittorica indica all’ascoltatore i binari attraverso i quali il sentimento si deve dirigere. La forma guida il sentimento alla scoperta dell’archetipo dal quale l’artista ha tratto ispirazione.
Partendo dal concetto (Tesi) e facendo seguire a questo il sentimento (Antitesi), l’artista riesce a creare un’opera tale che consenta all’uomo di progredire nella conoscenza di ciò che il linguaggio comune non può ancora rivelargli.
L’opera così creata, data dall’unione di musica e colore, sarà dunque il veicolo necessario per il ritorno all’archetipo dal quale è stata generata.

Berlioz disse che comporre per chitarra classica era difficile perché per farlo bisognava essere innanzitutto chitarristi, questa frase è stata spesso usata come una giustificazione per l’esiguità del repertorio di chitarra classica rispetto ad altri strumenti come il pianoforte e il violino. Allo stesso tempo è stata sempre più “messa in crisi” dal crescente interesse che la chitarra (vuoi classica, acustica, elettrica, midi) riscuote nella musica contemporanea. Lei come chitarrista e compositore quanto ritiene che ci sia di veritiero ancora nella frase di Berlioz?

La frase di Berlioz mi suona molto come una scusa! È vero che per scrivere sulla chitarra è necessario conoscere lo strumento e adottare alcuni accorgimenti ma vorrei rispondere a questa affermazione con altre due domande: 1-Quale compositore scriverebbe un accordo di 4 note in un pezzo per tromba? 2-Forse che i compositori non chitarristi del 900 hanno scoperto la formula magica per scrivere un pezzo per chitarra senza aver mai studiato direttamente sullo strumento?

DSCF8893

Berio nel suo saggio “Un ricordo al futuro” ha scritto: “.. Un pianista che si dichiara specialista del repertorio classico e romantico, e suona Beethoven e Chopin senza conoscere la musica del Novecento, è altrettanto spento di un pianista che si dichiara specialista di musica contemporanea e la suona con mani e mente che non sono stati mai attraversati in profondità da Beethoven e Chopin.” Lei suona sia un repertorio tradizionalmente classico che il repertorio contemporaneo … si riconosce in queste parole?

Io suono quello che mi piace e ancora non mi sono specializzato in nessun tipo di repertorio e forse non lo farò mai. Mi piace la musica in quanto tale e non una tal musica di un tal periodo. Trovo questo modo di pensare come una limitazione dei sentimenti e delle emozioni.
Un processo deduttivo sicuramente aiuta ad arrivare al particolare con cognizione di causa, ma non credo che a questo metodo sia da attribuire anche la capacita di accendere in chi ascolta quel fuoco magico che avvolge esecutore e ascoltatore in un unico evento sonoro. Quel fuoco viene da dentro e non da fuori! Quel fuoco si genera in modo induttivo! È una particolare capacità dell’essere che si estende alla totalità dell’evento musicale creato.

Parliamo di marketing. Quanto pensa che sia importante per un musicista moderno? Intendo dire: quanto è determinante essere dei buoni promotori di se stessi e del proprio lavoro nel mondo della musica di oggi?

Importantissimo!!! Al punto che, talvolta e non di rado, troviamo sul palco degli ottimi organizzatori della propria (e anche altrui) attività musicale, ma dei mediocri musicisti. Do ut des. Per fortuna non è sempre così.

scansione0007

Vuole parlarci del suo cd “Fonocromie”?

Questo cd raccoglie una selezione di opere scritte tra il 2004 e il 2007. Il tema conduttore che lega le varie opere è la stretta relazione tra la vibrazione sonora e quella cromatica.
Questi brani sono il frutto di una ricerca interiore cominciata nel 2003 in seguito al mio entrare in contatto diretto con le opere del grande artista russo Vassily kandinsky. I suoi quadri e i suoi scritti hanno tracciato il percorso, fino ad allora latente, che conduce l’artista a fondere colore e suono, poiché le due vibrazioni hanno origine comune e realmente si compenetrano in un’unica realtà dimensionale.
Ogni colore e ogni forma, relazionati in vario modo tra loro, creano movimento ed emozione e generano energia. La musica ha il compito di amplificare il suono interiore di questi elementi, la cui essenza è strettamente legata alla vibrazione sonora.
Sia nel caso in cui il quadro preceda la musica, sia che questa presieda alla creazione del quadro, è necessario operare un processo di ricodificazione del messaggio originario. Per poter far questo bisogna entrare in relazione con la vibrazione che si vuole tradurre in un nuovo linguaggio. Il colore va ascoltato nel suo suono interiore, mentre la musica va vista nelle sue relazioni intrinseche e in base alle forme che assume nello spazio.
Questo cd, dal titolo FONOCROMIE, rappresenta dunque un primo punto della situazione di tale ricerca.

Quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?

L’improvvisazione, in qualsiasi ambito la si consideri, è un modo di scrivere talmente immediato che non lascia il tempo di prendere in mano la penna e lascia nell’etere ciò che in quel momento si sta già suonando; con l’aggravante che poi, dopo aver finito di suonare, raramente si è in grado di ricordare e quindi di trascrivere, ciò che si ha appena suonato. Il fatto che poi si improvvisi in stili diversi, questo dipende solamente dalla predisposizione del musicista o dal contesto in cui chi si trova a suonare è coinvolto. La struttura che si riesce a dare a un brano improvvisato dipende dalla forma mentis dell’improvvisatore. Gli organisti hanno una grande tradizione alle spalle e per fortuna non l’hanno dimenticata. Il problema è che difficilmente ci improvvisa improvvisatori; anche per far questo è necessario uno studio costante per ottenere buoni risultati.
Per me l’improvvisazione riveste un ruolo marginale, talvolta mi consente di ricavare dei temi che sviluppo in momenti successivi come tradizionalmente si usa fare in un processo compositivo. C’è una cosa però da dire: spesso l’ispirazione mette davanti agli occhi a alle orecchie dell’immaginazione il brano o il quadro concluso in un solo istante.
L’immagine è talmente nitida che basta solamente “copiare” o “tradurre” ciò che si è “visto o sentito”. Non so se sia possibile che le cose accadano più improvvisamente di così.

Sembra essersi creata una piccola scena musicale di chitarristi classici dediti a un repertorio innovativo e contemporaneo, mi vengono in mente i nomi di Marco Cappelli e David Tanenbaum, David Starobin, Elena Casoli, Arturo Tallini, … si può parlare di una scena musicale?

Non so se si possa parlare di una scena musicale ma sicuramente ci sono delle persone che seguono molto da vicino gli eventi nel momento in cui accadono, si assumono il rischio della novità e spianano la strada a coloro che tra cinquanta o cent’anni decideranno che effettivamente quella musica era bella e valeva la pena di suonarla prima.
Lei è presente con diversi video su youtube che la riprendono in situazioni di esecuzione di pezzi dal vivo e con alcuni video particolari sul suo sito internet, come mai queste scelte e lei pensa che come già avviene in altri ambiti musicali anche la musica classica possa essere adottata per un uso innovativo del mezzo video-multimediale, così come è avvenuto per la trilogia “quatsi” di Godfrey Reggio per le musiche di Philip Glass?
L’unione delle arti è un progetto che prende il via dal momento in cui l’uomo ha cominciato a unire la musica con la danza, con il teatro, con il rito e la magia. Kandinsky e coloro che gravitavano attorno alla realizzazione de “Il Cavaliere Azzurro” ne erano veramente convinti e ritenevano l’unione delle arti la via maestra da seguire. La multimedialità fa parte della nostra era e sembra un percorso inevitabile. La musica classica si adatta benissimo a questo genere di opere data la sua struttura e la particolarità di messaggi che riesce a trasmettere, amplificando e completando il messaggio visivo.

DSCF8863

Ho, a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?

Forse questo vale per le persone distratte. Credo invece che sia in atto un percorso di riscoperta filologica del modo di suonare delle diverse epoche, per quanto, di veramente folologico, nel nostro tempo ci può essere solamente la musica contemporanea. Il musicista attento e meticoloso non è mai un musicista globalizzato. Per tornare alla domanda di prima segue un percorso deduttivo nella fase di ricerca, e deduttivo nella fase dell’esecuzione. Parte cioè da una macro-struttura nel momento di analisi del brano per arrivare alla sottolineatura di tutti quei particolari che, nel momento dell’esecuzione diventeranno, uno per uno simbolo di un intero universo musicale.

Luciano Berio ha scritto “la conservazione del passato ha un senso anche negativo, quando diventa un modo di dimenticare la musica. L’ascoltatore ne ricava un’illusione di continuità che gli permette di selezionare quanto pare confermare quella stessa continuità e di censurare tutto quanto pare disturbarla”, che ruolo possono assumere la musica e i compositori contemporanei in questo contesto?

Nella musica classica c’è stato un forte momento di rottura nel 900, legato a Schönberg e al percorso da lui innescato, ma credo che la continuità con il passato sia praticata da moltissimi compositori, i quali già hanno lavorato e lavorano in questa direzione. I primi a non conoscere la musica contemporanea sono i musicisti. Al secondo posto c’è il pubblico che va a sentire i concerti suonati da chi non conosce o non propone la musica contemporanea. Ogni periodo della storia della musica è contrassegnato da rotture, solamente che queste, dopo centinaia d’anni, sono state digerite e diventate patrimonio comune. Il problema è che fino a cent’anni fa si suonava solo la musica contemporanea, oggi si suona solo la musica che ha almeno cent’anni. (Non è sempre così ma poco ci manca). Quindi io direi che la domanda la si potrebbe benissimo girare agli interpreti e al pubblico. Che ruolo può assumere l’interprete e il pubblico per far sì che il patrimonio culturale della cultura moderna e contemporanea non vada perduto in virtù dei troppo osannati Vasco Rossi e Michael Jackson? Ricordo che le televisioni hanno parlato per giorni della morte di Jackson e neanche un minuto, a suo tempo, per la morte di Luciano Berio e di Goffredo Petrassi.

Con chi le piacerebbe suonare e chi le piacerebbe suonare? Che musiche ascolta di solito?

Mi piacerebbe suonare in duo con un amico (Mauro Zanatta) per fare delle trascrizioni di Bach e Scarlatti e sicuramente almeno un pezzo mio.
Ascolto un po’ di tutto e soprattutto sono molto curioso di conoscere musica nuova. Spesso tuttavia mi rifugio nella musica per pianoforte e ascolto molto Keith Jarrett.

Quali sono i suoi prossimi progetti? Su cosa sta lavorando?

Ho appena finito di scrivere una Suite per chitarra sola che mi è stata commissionata da un chitarrista messicano. Il mio prossimo progetto è il mio nuovo quadro, che ho in testa da un anno e ancora non mi sono deciso a dipingerlo.