#Intervista con Vincenzo Saldarelli (Maggio 2018) su #neuguitars #blog

Foto V.Saldarelli

Intervista con Vincenzo Saldarelli 

Buongiorno Maestro, ci ritroviamo per continuare la nostra conversazione iniziata lo scorso anno. Il 2017 sembra essere stato un anno importante per lei: dischi, pubblicazioni, concerti, masterclass…un anno decisamente molto impegnativo…

Si, in effetti l’anno appena concluso è stato di una certa vivacità, con le varie attività citate nella domanda. Non saprei a cosa dare la precedenza, ma penso che i vari aspetti del fare musica sono collegati tra loro. I concerti sono esperienza da trasmettere nell’insegnamento, sia in scuole che in momenti più mirati quali seminari e masterclass, come alcune che ho tenuto di recente su temi che stiamo affrontando anche qui, vedi la nuova musica e la semiografia contemporanea.

Il collega ed amico Frédéric Zigante, nell’invitarmi nel maggio 2017 per una masterclass al Conservatorio di Alessandria, ha indovinato in pieno il titolo “Amare la musica contemporanea”, quasi avesse colto il mio modo di pensare, praticare e diffondere la nuova musica. L’esito è stato per me molto stimolante, mi auguro anche per i giovani partecipanti, come anche in occasione dei seminari per i Conservatori di Verona, su invito di Giovanni Grano e Renato Samuelli , di Bologna su invito di Piero Bonaguri, Walter Zanetti e Massimo Nalbandian ed in altre sedi.

Ho apprezzato apertura e duttilità dei giovani chitarristi verso nuove esperienze di lettura e di studio nell’affrontare linguaggi innovativi.

I dischi poi sono il documento conclusivo di un lavoro paziente e selettivo ed insieme alle pubblicazioni costituiscono il corollario al modo di analizzare a fondo e interpretare le musiche, quindi anche al modo di comporre e sviluppare quelle tematiche di approfondimento che cerco poi di fissare in scritti.

I concerti rappresentano il momento finale di queste ricerche, rappresentazione tangibile del lavoro svolto, di studio e di analisi fino alle scelte interpretative, coronamento di questo percorso.

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Parliamo di dischi e iniziamo col doppio cd e il volume Appunti di viaggio sulla chitarra del XX° secolo, uscito per GuitArt nel 2013, si tratta di un duplice lavoro, discografico e editoriale, di indubbio spessore, come è nata l’idea?

L’idea di questo lavoro nasce da una mia esigenza di lasciare una testimonianza del percorso iniziato fin dai miei studi di chitarra con Alvaro Company e di composizione con Carlo Prosperi e sperimentato in una moltitudine di concerti, di “prime esecuzioni”, con il corollario di conoscenze e rapporti approfonditi con compositori ed artisti. E’ in altre parole l’essenza stessa della mia attività come concertista, compositore, didatta e divulgatore, attento a proporre, insieme a opere del repertorio storico, le novità spesso a me dedicate.

Intorno al 2012 parlo con gli editori di GuitArt dicendo loro che avrei in mente un lavoro “particolare” sulla musica per chitarra del XX secolo. Mi danno carta bianca ed io comincio a riascoltare ed analizzare molte delle mie registrazioni di nuove musiche, fatte in vari concerti e Festival. Pian piano viene fuori l’ossatura del percorso da affrontare, sia come parte di informazione storica e di analisi sugli autori e sulle composizioni che decido di trattare, che individuando parallelamente i brani da inserire, scelti tra quelli contenuti tra le registrazioni di miei concerti oppure da registrare ex-novo, anche con interpretazione attuale, come nel caso di “Suoni notturni” di Goffredo Petrassi ed altri. Al termine del lavoro avrò realizzato un fascicolo in sette capitoli e un doppio cd con sedici composizioni.

Il percorso dello scritto decido di articolarlo di decennio in decennio a partire dagli anni Venti del XX secolo. Da qui il titolo che scelgo al termine del lavoro: “Appunti di viaggio sulla chitarra del XX secolo”. Forse è un titolo un po’ lunghetto, ma mi piace e questo rimane, perché in parecchi mesi di ricerche, di analisi e poi di scrittura, ho fatto un bel viaggio intorno a musiche che ho davvero studiato e in gran parte suonato e registrato. Quindi non c’è alcunchè di teorico o di artificioso, tipo enciclopedia d’informazione fatta a tavolino, ma tutto quello che scrivo è farina del mio sacco, in quanto tutte le musiche trattate nel testo le ho personalmente sperimentate dal vivo in concerto ed in parte poi documentate con pubblicazioni e registrazioni. Una sorta di viaggio “dalla pagina ai suoni”.

Come breve informazione, per chi non abbia ancora letto o ascoltato il lavoro, la scelta degli autori e delle musiche è una mia precisa volontà di testimoniare ciò che mi è piaciuto nel tempo e che mi ha aiutato a crescere artisticamente, senza intenzione alcuna di voler escludere autori e composizioni. A suo tempo forse proseguirò questo viaggio.

E’ stato in sostanza un lavoro legato alla sintonia verso alcuni autori e composizioni e quelle scelte per i due cd sono tutte scritte per me nell’arco di vari anni, eccetto quelle di Petrassi.

Considero queste pubblicazioni con GuitArt una tappa nuova e significativa del mio viaggio attraverso la musica, con una attenzione speciale alla musica del XX secolo, ma non soltanto, con momenti diversi per una testimonianza personale di esperienze.

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Il 2017 ha visto anche l’uscita del nuovo cd del Trio Chitarristico Italiano, sempre dedicato alla contemporanea, che rappresenta un seguito ideale del vostro LP realizzato nel 1977, 40 anni prima, deve essere stata una grande emozione ritrovarsi per suonare di nuovo assieme…

Non è che ci siamo ritrovati a suonare insieme dopo quarant’anni!

Da tener conto che il Trio ha svolto, come forse noto, un’intensa attività concertistica a livello internazionale con molta regolarità almeno fino ai primi anni del duemila. Poi c’è stata una sospensione di qualche anno per vari motivi ed un ripresa brillante dal 2010, con nuovi concerti, la pubblicazione del DVD per Guitar Media Collection e più di recente la decisione di realizzare, ma senza alcuna fretta, nuove registrazioni su un tema a noi caro, quello delle musiche per tre chitarre del XX secolo, con particolare attenzione a quelle proprio dedicate al Trio, davvero tante e di grande interesse.

Qui si è posto subito un punto interrogativo forte. Avendo moltissimi brani del periodo in repertorio era indispensabile fare una scelta ragionata ed anche piuttosto coraggiosa.

Così abbiamo privilegiato compositori a noi particolarmente cari e che hanno scritto proprio per il Trio, contribuendo a costruire una nuova ed importante letteratura strumentale, quali Reginald Smith Brindle, Carlo Prosperi, Arrigo Benvenuti, Ennio Morricone, il nostro Maestro Alvaro Company, Andrea Talmelli.

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Nel programma abbiamo poi pensato di inserire in apertura alcuni piccoli cammèi con i brani originali per tre chitarre di Rebay e di Hindemith, quasi una specie di saluto al secolo precedente e di augurio per il nuovo.

Comunque è proprio vero che è sempre una grande emozione ritrovarsi a suonare assieme!

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Nel cd del Trio Chitarristico Italiano è presente anche la figura importante di Ennio Morricone, il compositore romano aveva già composto in passato opere interessanti per chitarra, ricordo le registrazioni di Grondona e Cardi, era da molto tempo però che non scriveva per la chitarra classica in maniera così specifica, come è nata la vostra collaborazione?

Qualche episodio a proposito del rapporto con Ennio Morricone. Nei primi anni ’80 conosco Morricone a Modena, in occasione di un seminario sulla musica da film che organizzo tra le attività speciali dell’Istituto Musicale “Orazio Vecchi”, di cui ero Direttore. Tra un impegno ed un altro, in pausa di piacevole conversazione al bar, mi viene l’idea di regalare a Ennio, con il quale avevo preso una certa confidenza, dopo i primi passi istituzionali, i tre LP che il Trio aveva realizzato per la RCA.

Passa un po’ di tempo, il Trio è in campagna per un periodo di studio tranquillo, in vista di prossimi concerti. Siamo in una casa isolata e senza telefono a Vallecchia, piccolo borgo sopra Castelnuovo Magra. Mentre proviamo ci raggiunge la figlia di un vicino dicendoci “ha telefonato un signore, ha detto che richiama tra dieci minuti per parlare con uno di voi”. Vado io e poi riferisco ai colleghi, non poco sorpresi:“Era Ennio Morricone, ha detto che ha ascoltato i nostri dischi, ne è entusiasta e vuole scrivere un pezzo per noi”. Ci si domanda ancora oggi come abbia fatto a trovare quel numero di telefono… deve averci messo tutta la buona volontà, perché noi eravamo volutamente quasi irraggiungibili.

Qualche tempo dopo Ennio ci invia un breve pezzo dal titolo “Canone”, che in seguito sarà anche pubblicato, ma dicendo che avrebbe pensato ad un altro brano. Effettivamente – ma quasi una ventina di anni dopo! – arrivano i manoscritti dei “Tre Studi per tre chitarre”. Queste nuovissime e ardite composizioni avranno la prima esecuzione nel 2002 nell’ambito della Rassegna “900 e oltre”, che avevo ideato e curato sempre a Modena, guarda caso proprio dove questa storia era iniziata, quasi un cerchio che si chiude!

Si tratta di tre brani che guardano la scrittura contemporanea con occhi da attento e curioso esploratore dei nuovi linguaggi. Non dobbiamo dimenticare che Morricone, oltre che allievo di Petrassi, è stato un militante dell’avanguardia e fin dagli anni ’60 tra i membri più attivi di Nuova Consonanza a Roma, insieme a Franco Evangelisti, Egisto Macchi, Domenico Guaccero ed altri. Accanto alla musica da film, che gli ha dato la celebrità, ha sempre conservato gelosamente questo suo secondo aspetto della personalità di artista, quello volto alla ricerca dei nuovi linguaggi, alla contemporaneità. Lui stesso si autodefinisce “Giano bifronte”.

I “Tre studi” li abbiamo quindi inseriti nel DVD del Trio nel 2010 e poi nel CD da poco pubblicato.

Vorrei concludere questa parte di intervista con un evento particolare, la presentazione come interprete dei “Quattro pezzi” per chitarra del 1957, in occasione del concerto tenutosi a Milano al Museo del Novecento il 14 novembre 2017 – quasi un omaggio ai sessanta anni del brano! – e dedicato a musiche di Ennio Morricone, in occasione del conferimento allo stesso della Presidenza Onoraria della SIMC (Società Italiana di Musica Contemporanea). Alcune coincidenze, in merito ad un rinnovato interesse verso i Quattro pezzi, le ho riscontrate in questo periodo con la pubblicazione di un lungo ed approfondito articolo di Andrea Monarda sul numero di gennaio/marzo 2018 de “il Fronimo” e del bell’articolo postato su “neuguitars 11 febbraio 2018” proprio dal mio intervistatore!

Non dimentichiamo anche tutta l’attività editoriale. Negli ultimi anni erano anche uscite le edizioni di “Introduzione e Elegia”, di “Due Affetti a sedici corde” e i “Cinque studi” dedicati alle lezioni americane di Italo Calvino. Nei “Due Affetti a sedici corde” Lei utilizza anche la chitarra a 10 corde, uno strumento che dopo Narciso Yespes sembra aver conosciuto un certo declino, forse per mancanza di qualcuno che sostenesse l’eredità del chitarrista spagnolo…

Ho avuto grande apertura dalle Case Editrici, fin dai primi lavori, sia per le composizioni che per le revisioni di opere di vari autori.

Tra le prime mi piace ricordare “Per la chitarra”, che Bèrben pubblica su invito di Angelo Gilardino, curatore di una collezione di musiche per chitarra. Il brano risulta il miglior classificato al Concorso di Composizione “Viotti” e Gilardino stesso mi chiede di pubblicarlo, avendolo anche ascoltato nella lettura in concorso fatta da Gabriel Esterellas.

Curiosità vuole che la “prima” in pubblico sia eseguita da Roberto Frosali in un suo concerto come solista, ma già componente del Trio.

Per le seconde posso solo ricordare qualche titolo che mi è più caro, dato che si tratta davvero di moltissime edizioni.

In primis il “Metodo” per chitarra che Ricordi pubblica nel 1985, e che rappresenta un lavoro che mi aveva molto appassionato. Poi cito alcune revisioni, tra cui la ormai celebre, ma allora quasi sconosciuta,“Sonatina III op.71” di Mauro Giuliani,“Petit Concerto de Société” in mi minore per chitarra e orchestra di Ferdinando Carulli e la “Suite in sol minore” di Robert De Visée, con Suvini Zerboni.

Bérben mi chiede di realizzare una nuova collana e così vede la luce “il Liuto e la chitarra nei secoli”, con vari titoli, tra cui ricordo in particolare due meravigliose opere di Alessandro Piccinini, “Aria di Saravanda in varie partite” e “ Toccata cromatica XII”.

Poi diverse altre pubblicazioni, ancora per Suvini Zerboni, di opere di autori del repertorio storico per chitarra o per liuto, quelle cameristiche della “Collana di musiche per tre chitarre diretta dal Trio Chitarristico Italiano” e per flauto/violino e chitarra, alcune tra queste con la collaborazione del flautista Roberto Fabbriciani, con il quale parallelamente realizzo due LP di musiche per flauto e chitarra per Ricordi e per Frequenz.

Ma in prima linea nei miei pensieri ci sono moltissime composizioni di autori contemporanei e di cui curo revisione e diteggiature, dopo averne tenuto le “prime esecuzioni assolute”, quali “Alias” per chitarra e clavicembalo di Goffredo Petrassi e per chitarra sola “Quasi una Serenata” di Camillo Togni, (per Suvini Zerboni), “Echi” di Giacomo Manzoni, “Variazioni sulla notte” di Lorenzo Ferrero (per Ricordi) ed inoltre i “Duetti” per flauto e chitarra di Paolo Renosto (Suvini Zerboni). Ricordo poi “Intermezzo” di Francesco Pennisi, “Doppio” di Arrigo Benvenuti, “Serenata” di Luca Mosca, “Fantasmagorie di un’ombra” di Silvio Feliciani, “Dialogo” di Andrea Talmelli, “Enchanted Forest” di Heinrich Unterhofer e le mie “Per la chitarra ancòra” e “…il limpido orizzonte” per decacorde.

Queste ultime otto composizioni, tutte dedicate, le inizio a curare per la Casa Editrice Edipan, che purtroppo per cause di forza maggiore sospende le edizioni già in preparazione, ma è in grado però di registrare e pubblicare – per fortuna e a futura memoria! – un mio CD che le contiene tutte (Edizioni Musicali EDIPAN 1993, PAN 3047 stereo).

Mi sono soffermato su questo aspetto delle edizioni contemporanee perché lo ritengo uno dei più significativi per me e tra i più affascinanti, seppur molto impegnativi, lavori di studio, analisi e pratica diretta che abbia fatto, trasferendo poi il tutto nelle interpretazioni e nelle registrazioni. Piccolo dettaglio è che tutte queste composizioni, salvo soltanto quelle di Petrassi e di Renosto, sono a me dedicate.

Nel 2013 è inoltre pubblicata da Sinfonica la serie di mie composizioni citate nella domanda. Altre stanno bollendo in pentola e sono in fase di cottura!

Venendo alla seconda parte della domanda è vero che nella composizione “Due Affetti a sedici corde” utilizzo una chitarra a 10 corde, da qui il titolo “sedici” corde! E’ il “II Affetto”, dedicato a mia figlia Renata (il “I Affetto” è per la sei corde ed è dedicato a mia moglie Silvia). La composizione ha in partitura anche il pentagramma con la versione a sei corde, per rendere maggiormente leggibile il brano.

In merito all’esperienza di Narciso Yepes ricordiamo che il chitarrista spagnolo suonava normalmente in concerto con una decacorde anche musiche di repertorio ed era questa una particolarità della sua firma. Anche altri hanno suonato questo strumento, ma in modo più episodico, a quanto ricordo, oppure la chitarra a otto corde.

In questi ultimi anni mi risulta invece che stia riemergendo un certo interesse per la decacorde, con giovani chitarristi che si avviano verso esperienze stimolanti anche sollecitando compositori a scrivere per questo strumento e ricordo, tra gli altri, il giovane amico Leonardo De Marchi.

Per concludere mi diverte ricordare un’esperienza personale piuttosto bella, impegnativa e, come leggerete, non poco faticosa! Si tratta di alcuni giri di concerti compiuti anni addietro negli Stati Uniti e nell’Est Europa viaggiando con due chitarre, una a sei corde e una a dieci corde. Il motivo: nei programmi dei concerti suono due Suites di Bach con la decacorde (e quale meraviglioso risultato nella polifonia !) e Paganini con la seicorde, che uso negli stessi giri di concerti anche per i Concerti con orchestra di Giuliani e di Villa Lobos.

Io sono rimasto piacevolmente colpito dai “Cinque Studi”. Le Lezioni americane di Calvino sono tra le pagine più interessanti sulla letteratura italiana e non, come è nata l’idea di tradurle in musica?

E’ una storia che merita qualche parola. Tra i miei allievi è nota la mia passione per la letteratura e per le arti in generale, tanto che durante e a compendio delle lezioni faccio sempre qualche conversazione su scrittori, poeti, artisti, oltre che ascolti insieme, in particolare di interpretazioni di composizioni specifiche e poi con largo spazio ad artisti non chitarristi, quali Benedetti Michelangeli, Larocha, Argerich, Milstein, Kleiber e altri.

Ho sempre accanto a me giovani molto vivaci e curiosi, alcuni ormai da tempo concertisti e docenti di Conservatorio. Un bel gruppo si riforma a partire dal 1999 fino al 2011 e oltre, nel periodo in cui riprendo la cattedra di chitarra presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali “Vecchi-Tonelli” di Modena. Nella cattedra si succedono vari giovani colleghi per il periodo in cui sono incaricato della direzione dell’Istituto, vincendo poi il concorso per titoli ed esami come direttore di ruolo.

E’ un periodo in cui insegno solo in corsi di perfezionamento all’esterno dell’Istituto di Modena, dove ricordo come docenti di chitarra Massimo Nalbandian, Florindo Baldissera per diversi anni e poi variamente altri, fino a che chiedo all’Amministrazione di lasciare la direzione e riprendere la mia ex-cattedra, in effetti vacante. Così avviene e torno felicemente alla docenza e alla pienissima attività musicale, lasciando nelle memorie gioie e tormenti dell’”insostenibile pesantezza del dirigere” (mi scusi Kundera per la quasi citazione).

Quel che dico in apertura del discorso trova un momento particolare quando un allievo in procinto di diplomarsi, Giovanni Panciroli, mi chiede di scrivergli un pezzo. Nell’occasione mi regala “Le lezioni americane” di Calvino, autore da me molto amato. Colgo al volo la coincidenza di eventi e comincio a scrivere, ispirandomi alla lettura delle Lezioni. Quindi prendono forma cinque pezzi di carattere diverso che vogliono rappresentare in musica proprio i significati dei titoli, cioè “Leggerezza”, giocata su polifonie di armonici,“Rapidità” , un pizzicato brillante, e a seguire “Esattezza”, “Visibilità” e “Molteplicità”.

La composizione viene eseguita per la prima volta dal dedicatario Giovanni Panciroli proprio come brano di programma del suo diploma. Io sono invitato, non in commissione, in quanto da poco felicemente pensionato! Poi rivedo il lavoro, lo registro nel doppio CD degli “Appunti di viaggio sulla chitarra del XX secolo” e viene pubblicato nel 2013 da Sinfonica con CD accluso alla partitura. Questo è il racconto.

Visto che è fresco di due notevoli lavori discografici non resisto a chiederle quali possono essere i cinque dischi per lei indispensabili, da avere sempre con se.. i classici cinque dischi per l‘isola deserta….

Bellissima domanda. Dopo qualche riflessione non facile ecco i miei titoli:

1° Concerto in Sol di Ravel con Argerich/Abbado (in particolare l’Adagio, inarrivabile!)

2° I Preludi di Debussy interpretati da Benedetti Michelangeli

3° Vier Letzte Lieder di Richard Strauss, con Gundula Janovitz e Karajan

4° Le Sonate di Scarlatti, con Horowitz

5° Le 7 Canzoni popolari di De Falla, con Teresa Berganza e Narciso Yepes

Quali sono i suoi prossimi progetti? Su cosa sta lavorando?

Non avendo segreti di sorta ecco qualche curiosità in cantiere.

Visto il mio rinnovato desiderio di comporre sto scrivendo in bella copia una serie di miei nuovi pezzi che sono “Valzer (dedicato a Massimo Nalbandian), “Barcarola” (a Flavio Borelli), “Tarantella” (a Adriano Pepe) per chitarra sola, con chiusura di “Tango” per tre chitarre (all’Harumaki Trio). Inoltre sto ultimando la stesura definitiva di “Elegia cromatica a tre”, sempre per tre chitarre, anche questo brano dedicato all’Harumaki Trio di Modena, formato da miei tre eccellenti ex-allievi, Flavio Borelli, Giovanni Panciroli e Adriano Pepe, i quali lo hanno già eseguito varie volte e spero presto lo registreranno in cd.

Infine, al momento almeno, la revisione di un’altra mia composizione per flauto con ottavino e chitarra “Elegia seconda”, dedicata a Roberto Fabbriciani, con il quale presto la registrerò in un progettato cd di musiche per flauto e chitarra del XX secolo, riprendendo dopo un po’ di tempo la ricerca sulle opere originali per flauto e chitarra, come fatto in molti concerti e nei due LP dedicati ad autori del XIX secolo, pubblicati da Ricordi, con musiche di Francesco Molino, Mauro Giuliani, Leonhard De Call e Franz Schubert, e da Frequenz, con musiche di Mauro Giuliani e Anton Diabelli.

Con lo strumento continuo lo studio per concerti con alcuni programmi che attualmente mi piacciono molto, unendo alcuni cammèi di Weiss, Bach e Paganini con altri di area latino americana di Ponce, Torroba, De Falla e Barrios, insieme a mie composizioni e ad alcune da poco dedicatemi.

A marzo 2018 attività in Calabria, con seminario e concerto per l’”Associazione Animula” a Lamezia Terme, dove sarò anche nella giuria del “Primo concorso internazionale chitarristico dell’istmo”. Il 19 Maggio partecipo al Festival fiorentino della Chitarra, promosso dal Centro Studi Musica e Arte, con un seminario sulla semiografia musicale contemporanea e un concerto in duo con l’amico Alfonso Borghese. Sto anche preparando contenuti e programmi per masterclass e concerti dal giugno in avanti.

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Ultima domanda, proviamo a voltare verso la musica le tre domande di J.P.Sartre verso la letteratura: Perché si fa musica? E ancora: qual è il posto di chi fa musica nella società contemporanea? In quale misura la musica può contribuire all’evoluzione di questa società?

Aiuto! Quest’ultima raffica di domande è da far tremar le vene e i polsi, ma vediamo di cominciare da qualche parte. Mi avventuro intorno a questi argomenti da sempre, dato che unisco la passione per la musica a quella per le letture storico-filosofiche. Dopo anni di attività concertistica, di docenza ed altro, decido di prendere anche la laurea in Giurisprudenza, avendo fatto in tempo tutti gli esami previsti.

Ho un bel colloquio con il Prof. Luigi Lombardi Vallauri, docente di Filosofa del Diritto a Firenze per individuare un argomento per me interessante .

E’ bravissimo a trovare il tema che poi sarà quello della mia tesi: “Stato del benessere. Diritto e Musica”. Ma con un taglio rivolto verso gli aspetti filosofici e di tutela della creazioni artistico-musicali. Questo mi consente di rimanere in qualche modo su binari di ricerca estetica, più che di tecnicismo giuridico.

Coerente per me ritrovare qui qualche riflessione esposta in questa tesi, ripercorrendola anche con altre parole, ma cercando risposte personali sui tre quesiti della domanda.

Perché si fa musica?”. Penso che ….”la vera legge che secondo me guida la musica, intesa come vita dello spirito e dell’arte, sia la libertà, perché gli altri elementi che ne costituisco il linguaggio sono mezzi, strumenti di lavoro, certo preziosi, come la filologia e la glottologia – solo per fare un esempio – non sostituiscono la storia della letteratura e della poesia ma forniscono metodi e strumenti per comprendere meglio queste arti.”

Da questa breve citazione ritorno a parole di getto e in sintesi colloquiale.

La libertà è il primo stimolo che avvicina verso la musica, intesa sia come puro ascolto che come pratica diretta. O meglio ancora il senso di libertà che scaturisce nel momento in cui si ascolta musica – di qualunque, genere, epoca, provenienza etnica etc…- oppure praticandola da amatori o da professionisti è fenomeno ormai dimostrato, aggiunto ad un senso che può essere a volte di rilassamento, altre volte di tensione emotiva e via dicendo. Basti pensare agli effetti incontestabili della musicoterapia o all’esempio delle mucche del Wisconsin, celebre battuta circa l’efficienza produttiva di latte delle signore suddette all’ascolto di musica!

Bene, raccogliendo un po’ questi elementi del puzzle eccoci al perché si fa musica, come dire che il gesto astratto dell’ascoltare o il gesto concretizzato del musicista si sublima proprio nel concetto di “fare musica” con libertà.

Quale è il posto di chi fa musica nella società contemporanea?” Penso che il posto, che definirei meglio collocazione, sia pieno di sfaccettature, a seconda dell’osservatorio e della sensibilità di coloro che recepiscono il messaggio del musicista, o dell’artista o uomo di cultura più in generale.

Nel primo caso sto parlando delle Istituzioni e dei sistemi politici che costruiscono quello che poi diventa il motore che legifera ed amministra per conto e per il “bene” dei cittadini.

Da qui deriva che è la sensibilità del ceto politico e di governo ad influire drasticamente nel tessuto sociale a seconda della percentuale di interesse concreto verso la cultura e quindi anche verso la musica. Bene, questo coacervo di realtà non assegna i posti a chi fa musica, ma concretamente, e a volte brutalmente, decide per questi se possano o no avere una chiara e dignitosa collocazione nella società contemporanea, senza limiti di sorta, proprio con le politiche culturali, quelle che disegnano le linee di interventi nei settori dell’educazione, della promozione, della diffusione e quindi della produzione nel campo musicale.

Tema troppo complesso e lungo da affrontare qui ma mi basta questa riflessione per dire che il posto nella società contemporanea per chi fa musica è molto diverso a seconda delle nazioni, del livello della classe politica di queste e della loro storia educativa e quindi delle conseguenti politiche culturali.

Soprassiedo da miei pensieri personali sulla realtà italiana, sotto gli occhi di tutti coloro che siano attenti a tali questioni, essendo stato in prima linea da sempre a confronti su tali tematiche, fin dai tempi del Convegno di Fiesole su Musica e Cultura, quale rappresentante degli studenti del Conservatorio di Firenze e poi via via fino all’esperienza lunga e defatigante di direttore di Conservatorio, tipo Don Chisciotte contro i mulini a vento e qui mi fermo.

Infine la musica potrebbe certamente contribuire all’evoluzione di questa società. Ma con quali mezzi e con quali messaggeri?

La cronaca dei nostri tempi racconta realtà drammatiche, contraddittorie, piene di violenza, di sopraffazione e tanto altro. Per cui la musica, nel senso che esponevo al primo punto, potrebbe sì dare un anelito di libertà interiore e poi fors’anche di coinvolgimento sociale.

E questo in qualche modo avviene, ma con mezzi ed in contesti molto definiti, che siano i luoghi dei concerti rock, questi sì affollati, come i concerti di Vasco, Ligabue e altri, per restare in Italia, oppure luoghi più elitari, quali teatri e simili. Ma sempre e solo di eventi di tratta, grandi o piccoli che siano, non di mezzi che hanno realmente una incidenza profonda e capillare nel tessuto sociale. Ascolti via etere o con altri strumenti contribuiscono ad una ipotetica evoluzione soltanto se il rapporto tra messaggeri e fruitori è costante, di intelligente proposta, di continuità nei palinsesti, di inderogabile qualità, senza distinzioni di generi.

Utopico pensare che la musica possa avere una qualche capacità di far evolvere società, che, oltre a quanto detto prima, è ormai frastornata da messaggi massmediali inarrestabili ma generici, di scarsa qualità culturale, quasi di sopraffazione da parte dei vari social.

Non nego certo che questi abbiano e avranno sempre di più una funzione divulgativa, ma hanno però consentito d’altro canto a tutti un presenzialismo che si manifesta con un uso forse indiscriminato di questi, senza quindi che i messaggeri siano a loro volta i filtri per una progressiva, armoniosa e produttiva evoluzione delle sensibilità sociali verso le creazioni artistiche.

Concludo pensando nel profondo che soltanto dall’intreccio virtuoso degli elementi che ho prima cercato di comunicare, e certamente con molti altri ancora, si potrebbero nel tempo costruire le condizioni per una società migliore che nella cultura – quindi nella letteratura, nelle arti figurative e plastiche, nel teatro, in tutte le manifestazioni di espressione artistica, fino appunto alla nostra musica – riesca finalmente a trovare una dimensione di maggiore umanità e convivenza civile, dove in primo luogo venga portato lievemente per mano il mondo giovanile, fin da subito, verso una educazione alla bellezza.