Mark Wingfield: Tales From The Dreaming City, The Stone House e Lighthouse
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https://markwingfield-moonjune.bandcamp.com/album/lighthouse-hd
https://markwingfield-moonjune.bandcamp.com/album/the-stone-house-hd
Il chitarrista britannico Mark Wingfield sembra essere una perfetta sintesi di ciò che si può intendere per un chitarrista rock contemporaneo. La sua musica, la sua stessa visione musicale sono il frutto di un percorso di formazione che si muove tra il rock, il jazz e gli insegnamenti accademici classici. Il risultato è una musica altamente strutturata, caratterizzata da un evidente abilità virtuosistica non solo a livello tecnico ma anche a livello stilistico, ma dove l’improvvisazione, legata a un altissimo livello di interplay tra i musicisti impegnati, diventa parte di un processo compositivo istantaneo dove l’attimo viene fissato per sempre.
Quando un chitarrista, un musicista, esprime una realtà così complessa diventa difficile tracciarne un percorso artistico. Meglio lasciare la parola ai suoi dischi e alla sua musica. Alla fine,la musica è sempre il meglio.
Wingfield Reuter Stavi Sirkis, The Stone House, MoonJune Records, 2017
Le note all’interno del cd sono chiare, semplici e lapidarie: “Recorded live in the studio with no overdubs. The music on this album was completely improvised with no music written down ord rehearsed.”
Il risultato sono sei brani, dalla durata decisamente interessante che si sviluppano nello spazio di circa sessanta minuti. Improvvisazione pura o composizione istantanea? Difficile definire con precisione. Forse sarebbe meglio parlare di un’ipotesi di musica totalmente improvvisata, dove ciascun musicista contribuisce con il proprio bagaglio di esperienza e con la propria sensibilità. I riferimenti stilistici sono molteplici e articolati: le lezioni ambient della Frippertronics di Robert Fripp e delle musiche generative di Brian Eno, il rock evoluto e sofisticato dei King Crimson e delle sue mille reincarnazioni, le atmosfere jazz-rock che rimandano ai gruppi capitanati da Allan Holdsworth.
Un disco basato quindi sulla capacità di interplay dei suoi protagonisti, sulla loro combinata capacità di ascolto, sull’uso di strutture jazz e prog meno convenzionali, sul ruolo paritario delle singole voci strumentali. Il risultato è un vero e proprio mosaico cromatico dove la chitarra di Markus Reuter genera delle liquide tessiture che vanno innestarsi nella pulsazione non-pulsazione della batteria poliritmica di Asaf Sirkis, nel basso nervoso e possente di Yaron Stavi e che trovano il suo opposto nel fraseggio articolato e nervoso di Mark Wingfield. Un disco che esprime una “free form” che di solito si ritiene essere appannaggio di altri stili e generi. Il tutto registrato in una sola giornata, il 19 Febbraio 2016.
Wingfield Reuter Sirkis, Lighthouse, MoonJune Records, 2017
“And then they were three”. Il quartetto si riduce, perde il sostegno ritmico e melodico del basso di Yaron Stavi. A dire il vero sarebbe meglio dire che lo acquisirà dopo dato che le registrazioni di “Lighthouse” sono antecedenti, di un giorno, a quelle di “The Stone House”.
L’approccio estetico dei due lavori è sostanzialmente analogo: totale libertà creativa e dominio della composizione istantanea. Rispetto al precedente “gemello” “Lighthouse mostra un maggiore carattere sperimentale e delle strutture sonore più astratte. E’ palese l’assenza del basso elettrico di Yaron Stavi, le strutture si dilatano, il ruolo di conduttore elettrico viene affidato alla sola chitarra di Mark Wingfield, Asaf Sirkis è libero di estendere il proprio supporto ritmico e Markus Reuter può creare arazzi ambient e tessiture cromatiche ampi come aurore boreali. Nonostante questi presupposti il disco mi sembra caratterizzato da un suono ancora più saturo del precedente, forse la maggiore libertà armonica ha spinto i musicisti a ampliare le proprie abilità e possibilità occupando tutti gli spazi possibili trasformando “Lighthouse” in un disco di atmosfere intense e sperimentali.
Mark Wingfield, Tales From The Dreaming City, MoonJune Records, 2018
“And then they were three”. Parte seconda. Questa volta manca Markus Reuter e l’ex quartetto si riduce nella forma classica del rock trio, con l’aggiunta dell’ospite il tastierista belga Dominic Vantomme. L’assenza di Reuter lascia maggiore campo libero alla chitarra di Wingfield e a una impostazione più prog e jazz-rock, Stavi e Sirkis si confermano un duo ritmico potente, espressivo e assolutamente efficace, manca quell’aspetto più sperimentale che mi aveva catturato nel precedente “Lighthouse”, ma allo stesso tempo avverto una struttura più coesa e dei brani maggiormente costruiti. Qualche volta questa maggiore coesione sfocia in strutture tipiche della jazz fusion degli anni che furono, rendendo il disco meno cromatico e bilanciato, ma l’abilità strumentale e la creatività dei protagonisti riesce abilmente a compensare qualche impasse creativa. Forse è mancato un po’ di coraggio. Questo disco non mancherà, però di deliziare chi ama il prog.