Può sembrare strano ma sia nell’ambito della musica classica che in quella contemporanea si registra un vuoto per quanto riguarda il repertorio per duo chitarra classica e clarinetto. Un vuoto che è stato parzialmente colmato da tre cd interamente dedicati a questa formazione particolare. Faccio notare con un certo orgoglio che si tratta di tre cd realizzati da interpreti italiani, in particolare dai chitarristi/e Alessandra Novaga, Gabriele Zanetti e Leonardo De Marchi. Mi sono permesso di usare le note contenuti nei loro cd per creare questo articolo nella speranza di riuscire a fornire maggiori informazioni utili a chi volesse impegnarsi nei confronti di questo repertorio. Sono quindi grato a questi interpreti per la loro cortesia e disponibilità.
Ma cominciamo dall’inizio. Il clarinetto e la chitarra divennero strumenti à la mode negli ultimi decenni del Settecento, praticati soprattutto nell’ambito del salotto borghese, dove si diffusero tra dilettanti e amateurs, generando una pletora di pagine di modesto contenuto tecnico dove la letteratura si indirizzò nei decenni successivi verso la brillantezza e il virtuosismo esecutivo, anche grazie a un’editoria (il marketing è sempre in agguato) che colse prontamente il potenziale di una rapida capacità di adattamento ai gusti più recenti. La nuova Hausmusik richiedeva, infatti, pagine di immediata godibilità e ostacoli tecnico-esecutivi agevolmente superabili: innumerevoli trascrizioni strumentali, legate soprattutto al successo goduto in tutta Europa della musica operistica, finirono per diventare parte integrante del repertorio di qualsiasi amateur, accostate a brani originali di buona fattura stilistica e formale. La letteratura per clarinetto e chitarra godette di una certa popolarità nei primi decenni dell’Ottocento, dove risalgono alcuni lavori di autori tutt’altro che minori, come un Duello di Ferdinando Carulli (1770-1841), di cui si è pervenuta solamente la parte manoscritta del clarinetto, tre Duo di Filippo Gragnani (1767-1820), che furono pubblicati da Gilardi a Livorno nel 1820, la Senerata di Joseph Kuffner (1776-1856) o i Notturni di Matteo Barbi (1798- ?). Secondo la prassi in voga nei primi decenni dell’Ottocento, la parte solistica era spesso scritta per clarinetto in Do, come nel caso dei Notturni di Barbi. Questi brani erano solitamente composti per il divertimento di qualche ricco dilettante e spesso non erano altro che mere trascrizioni, come nel caso del primo Duo di Gragnani, riproposizione di una pagina originale per mandolino e chitarra. Nel corso del XX secolo numerosi autori hanno dedicato la propria attenzione al duo clarinetto e chitarra, producendo lavori di assoluto valore.
Cominciamo con Métissage, cd realizzato nel 2013 ad opera del Spring in Duo, Alessandra Novaga alla chitarra classica e Maria Teresa Battistessa al clarinetto e corno di bassetto. Già il titolo del cd, Metissage, ci da qualche indizio sulla narrazione adottata all’interno di questo disco: Métissage in francese significa contaminazione, un termine, un concetto utilizzato per enfatizzare la varietà e la diversità delle composizioni presenti su questo album. Métissage fa anche riferimento diretto al brano, Metiss, di Laurent Boutros, compositore francese con origini armene molto riconoscibile nella sua musica, generosamente dedicato al duo.
Metiss significa la contaminazione tra due universi opposti, in questo caso i Caraibi con la clave, un modello ritmico usato come strumento per l’organizzazione temporale nella musica afro-cubana, e una melodia caucasica mediorientale. Laurent Boutros è presente anche un altro dei suoi pezzi, Amasia, altra testimonianza di due mondi che coesistono con un terzo elemento riconoscibile in una sorta di Milonga argentina.
Le prime tracce del disco sono Otto Pezzi di Paolo Fontana, compositore romano, autore di otto affreschi corti, ma deliziosi ognuno con un titolo molto caratteristico, quasi descrittivo della musica stessa. Molto interessante il brano di Giancarlo Facchinetti, noto e prolifico compositore bresciano. Si chiama Tre Pezzi e fu scritto nel 1979 per Oscar Ghiglia e Giuseppe Garbarino ma non fu mai eseguito, si tratta di un rigoroso manoscritto di dodici toni, ma non privo di lirismo e ariosità. Facchinetti ha anche composto per il duo Fantasia Breve per bassetto e chitarra, dove il compositore si allontana dalla dodecafonia per usare invece uno stile politonale. L’uso del corno di bassetto invece del clarinetto si trova in Fantasia sul tema di Fandango, in Berceuse, di Antonio Eros Negri, compositore con base a Milano. Il compositore stesso ha usato queste parole per descrivere il brano:“Although on first listening to the track you are immediately presented with an evocative and distinct language, a closer analysis brings to the forefront some compositional characteristics which are quite surprisingly close to being sequential: the first part is centred around eight of the twelve pitches on the chromatic scale, whereas the second part is built solely upon the four remaining pitches. Another point in common with the distant new avant-garde world frorn the end of the last century is the radical use of the weaving of the instruments.” . La diversità degli stili presenti nell’album viene ulteriormente incrementata da “Bagliori di altri cieli”, scritto da Alessandro Cerino, stimolante jazzman, autore di questa traccia mozzafiato in cui le belle melodie e le armonie sembrano inseguirsi e si intrecciano in un dialogo quasi senza fiato.
Il secondo cd, “Aulodia” di Stefano Gamba e di Gabriele Zanetti, mostra un repertorio più trasversale. Il brano brano “Aulodia per Lothar” del compositore italiano Bruno Maderna, originariamente per oboe d’amore e chitarra e composta nel 1965 per il grande oboista tedesco Lothar Faber, Aulodia per Lothar costituisce un esempio di alto lirismo, di musica cosmica, anticipatrice di una fusione timbrica inedita tra i due strumenti.
Ricercar di Dusan Bogdanovic rappresenta un esempio del linguaggio polimorfo e composito di questo autore da sempre legato alla musica popolare balcanica, già crogiolo di ritmi e stili diversi, che qui ammicca già dal titolo alla polifonia fiamminga. Windows del 1966 è frutto dell’ingenio del compositore, educatore musicale e parodista statunitense Peter Schickele.
Schickele è noto per il suo pseudonimo “P. D. Q. Bach” con il quale ha composto una gran quantità di brani parodistici. Si tratta di un lavoro in tre tempi che esprime una serie di stili diversi, rinascimentale, folk e africani. Mist over lake di Jan Freidlin è stato composto nel 1985 come parte della Forest Pictures per violino e pianoforte. La Sonate di Ferdinand Rebay è stata scritta alla fine degli anni Venti del ‘900,vi appaiono elementi operistici e folkloristici ben diversi dagli stili contemporanei che si stavno svilupando nella Vinenna dello stesso periodo. La chitarra è assente in New York Counterpoint di Steve Reich, opera minimalista per eccellenza dove i tempi del processo e della ripetizione si incontrano felicemente in un pezzo ipnotico e leggero. La Vienna contemporanea e dodecafonica ritorna nei Drei Leider Op. 18 di Anton Webern e chiude questo ottimo lavoro, attento alla ricerca di una letteratura omnicomprensiva di stili diversi tra loro.
Il terzo cd, opera di Leonardo De Marchi alla chitarra e Sauro Berti al clarinetto, si intitola “Enantiosemie. L’Enciclopedia Trecani ci dice che indica “In linguistica, la condizione semantica di un vocabolo che nel suo svolgimento storico ha assunto un significato opposto a quello etimologico; per es., l’aggettivo feriale che, derivato del latino feriae «giorni di riposo», significava in origine «festivo» mentre oggi vuol dire «lavorativo». “
Questo concetto viene utilizzato per mostrare come il clarinetto e la chitarra siano stati in grado di interpretare stili e modalità di ricerca spesso diametralmente opposte tra di loro, ma anche come ogni interprete possa interpretare lo stesso spartito in modi completamente diversi. Queste apparenti contraddizioni sono ben evidenti nel brano che apre il cd: “Primo discorso eretico sulla leggerezza dei chiodi” (2000) di Nadir Vassena (1970), un brano scritto per Mats Scheidegger (1963) e Harry Sparnaay (1944-2017) che deve il suo carattere drammatico alle pause improvvise e alla brusca contrapposizione di diversi materiali sonori. Il titolo presenta un ossimoro, riferendosi in modo provocatorio alla crocifissione di Gesù Cristo, e anticipa suoni aspri e irregolari, oscillando tra leggerezza eterea e durezza pungente, grazie a una scrittura musicale dove il clarinetto basso e la chitarra analizzano le dimensioni materiali del suono fino alle sue componenti più elementari. Per contrasto, i cinque movimenti di “Sand sculptures” (2011) di Scott Lygate (nato nel 1989) creano un affresco sonoro ironico come una canzone popolare, ispirato da alcune sculture nella sabbia che aveva visto e ammirato in Portogallo, sculture alle quali sono intitolati i movimenti della suite e dove Lygate dà una dimostrazione della sua conoscenza approfondita delle tecniche più estese su entrambi gli strumenti. Il risultato è particolarmente evocativo. L’atmosfera di “Il respiro del silenzio” (2017) del compositore romano Patrizio Esposito (nato nel 1960) è decisamente più cupa e oscura. È evidente fin dall’inizio che la partitura ritrae una notte inquieta e tenebrosa. Esposito riesce perfettamente a unire la tessitura del clarinetto basso basso con il puntilismo della chitarra, infatti la ricerca sottile e meticolosa su sfumature di timbro e dinamica è il punto di forza della scrittura. Il compositore olandese Maurice Verheul (nato nel 1964) ha dedicato molte opere da solista e da camera al clarinettista basso Harry Sparnaay. In “Obtuser air” (2016), la sua prima opera per duo con chitarra, gli strumenti entrano in dialogo tra loro su territori assoluti e uguali, in un gioco ininterrotto di temi e motivi che passano da uno strumento all’altro, Il materiale del pezzo deriva da una singola cellula ritmica, un tresillo, che caratterizza la gran parte della musica latino-americana. Qui Verheul mette in atto un continuo processo di deformazione: il risultato è un carattere alienante e contemplativo; a volte grottesco.
La tendenza ironica del compositore emerge anche nel titolo “Obtuser air”, che è nientemeno che un anagramma di Sauro Beni, a cui l’opera è dedicata. “La favola di Apollo e Marsia” [“The myth of Apollo and Marsyas “] (2017) di Antonio Bellandi (nato nel 1974), è un pezzo in cui l’azione del dramma aderisce fedelmente al mito di Apollo e Marsia, come riportato dallo scrittore latino Iginus. Le possibilità uniche offerte dalla chitarra a dieci corde, permettono al compositore di descrivere esplicitamente i punti salienti della storia: in particolare egli sfrutta appieno i cluster in espansione nel registro basso e le aure create dalle risonanze, usando armoniche e percussioni sul corpo dello strumento. Ballade “di Hugo Pfister (l914-1969), l’unico pezzo di questo CD appartenente al repertorio classico per clarinetto e chitarra, è degno di nota a causa della sua atmosfera severa e cupa. Probabilmente fu composto nel 1959, al termine degli studi del compositore svizzero con Nadia Boulanger. Questo oscurità viene alleggerita dal conciso “Invitation”, tributo a Harry Sparnaay del compositore francese Colette Mourey (nato nel 1954, che in seguito dedicherà al duo Berti-De Marchi il pezzo “Blues sonata”). Questo tributo è basato, come il precedente, su sezioni alternate di natura contrastante. Il clarinetto basso è spesso spinto al suo registro più alto usando un idioma che richiama la lezione dei dodici studi di Hector Vìlla-Lobos. Da notare che i due interpreti sono presenti nel ruolo di compositori con un brano a testa. “Pagina d’album” di Leonardo De Marchi è una sorta di intermezzo in forma ternaria e la sua atmosfera lirica funge da intermezzo fugace tra le opere più pesanti di Bellandi e Pfisrer. “Enantiosernie” di Sauro Berti d’altra parte sembra suggerirci, con l’uso simultaneo di quattro metronomi che gli interpreti devono seguire, che la percezione lineare, ordinata e rigorosa del tempo può paradossalmente portare a un risultato contrario al tempo stesso. Il CD si chiude con il “Trio n.l (Musique d’automne)” (1942) per flauto, clarinetto in A e chitarra del compositore rumeno (successivamente naturalizzato svizzero) Andor Kovach (1915-2005). Dove la chitarra, che nei primi pezzi era una protagonista, ora lascia parzialmente il posto ai due strumenti a fiato, accontentandosi di fornire l’armonia e il ritmo con cui flauto e clarinetto sviluppano le rispettive linee melodiche.
Si tratta di tre cd particolari, ciscuno dei quali propone un repertorio diverso e interessante, presentando brani dalle caratteristiche uniche e particolari. A completamento di questo articolo indico anche come il libretto del cd di Stefano Gamba e di Gabriele Zanetti suggerisca anche questi brani: Trilogia di Franco Cavallone, Ommegang di Wolfram Furstenau, Ballade di Claude Gagnon, Girlish ears di Nicola Jappelli, Schirokko di Hansjoaclum Kaps, Six aphorisms di Daniel Kessner, Sérénades di Takashi Ogawa, Continuo di Stefano Procaccioli, Drei Vortragsstucke di Ferdinand Rebay.