Cercherò di essere diplomatico. C’è più talento in una delle rughe che solcano il volto maturo di Kim Gordon, che nei solchi cancellati di tutti cosiddetti attuali talenti lanciati su Spotify. L’anno scorso mi aveva impressionato con l’ottimo The Switch firmato con il duo Body/Head, quest’anno la signora sembra aver deciso di mettere comodamente tutti in riga con questo No Home Record, sempre prodotto da Matador. Perché questo entusiasmo? Vediamo.
I Sonic Youth hanno concluso la loro parabola nel 2011. la fine di un gruppo coincide con la fine di un matrimonio. E Kim non la prese bene. Rimise insieme i cocci e decise di ripartire. Intanto il ritorno in California. Nuova vita. Nuova casa. E poi nuovi progetti.
Per i fans la scoperta di una persona diversa dalla bassista che si piazzava al centro di un palco attorno a cui le chitarre vorticavano in uragani di suono. E’ curioso ma per anni l’ho avvicinata alla bassista dei Talking Heads, Tina Weymouth, due donne forti che reggevano la spina dorsale di due band caratterizzate da un approccio davvero laterale sia alla musica che all’arte. Diversamente dalla Weymouth però, la Gordon ha saputo pianificare e preparare una carriera solistica di ben altro spessore, liberandosi sia del cliché della bassista sia di quella della “girl in a band”. Prima pubblica il libro “Is it my body? Selected Texts” (2014), una raccolta di saggi dedicati a diversi argomenti che spaziano dalla musica all’architettura, al design all’arte concettuale.
L’anno successivo, 2015, pubblica la sua autobiografia “Girl in a Band”, dove, tra l’altro racconta la sue versione dei fatti sulla fine del suo rapporto con Thurston Moore, e non ci va giù leggera. Per la musica il duo sperimentale Body/Head fondato nel 2013 con il chitarrista Bill Nace e poi installazioni, visual art, fashion, cinema. Una visibilità discreta, ma sempre più intensa. Concettuale Kim lo era sempre stata anche nei Sonic Youth, ma negli ultimi anni questa sua tendenza è andata accentuandosi, fino all’uscita di questo No Home Record, il suo primo disco solista.
Il primo, all’età di 66 anni, con una delle più solide reputazioni, maturata e meritata nel corso di quasi quarant’anni di onorata carriera. Narcisista? Si, certo. Ci mancherebbe. Un disco curatissimo, attentamente pianificato e curato nei minimi dettagli, a partire dal suono pazzesco curato dal produttore Justin Raisen, dalle foto di Josephine Pride, ai video di Loretta Fahrenholz promossi su youtube dal canale della Matador, che in questo disco deve aver investito un bel po’ di risorse.
No Home Record è il traguardo finale di un lavoro dedicato e preciso. Il riassunto finale, messo in musica, di una carriera poliedrica dedicata a investigare i diversi campi in cui si muove l’arte nei nostri giorni. Personalmente l’ho trovato un ottimo disco, anche se temo lascerà insoddisfatti i fan storici dei Sonic Youth: le chitarre ci sono ma sono immerse sia nel lavoro di recording di Justin Raisen, sia nei densi link culturali proposti dalla voce di Kim Gordon. Non è un disco rock, è un disco polifonicamente ambiguo, personale, culturale, mediatico. Forse è per questo che è stato intitolato “No Home Record”, un posto preciso non ce l’ha.