http://www.longsongrecords.com/artists/jim-mcauley/
Mi sono accostato alla musica di Jim McAuley indirettamente. Tutto è cominciato con l’acquisto di “Vignes” dell’Acoustic Guitar Trio, uscito sull’italianissima Long Song Records nel lontano 2009. Lo ammetto: ero attirato da Nils Cline e questo disco mi era sembrata una buona occasione per ascoltarlo al di fuori dei Wilco e feci bene a comprarlo. Non c’era solo Cline nell’ Acoustic Guitar Trio ma anche Rod Poole e Jim McAuley e purtroppo questa registrazione resta l’ultima possibilità per ascoltare questi tre musicisti suonare / creare / giocare assieme: Rod Poole è stato assassinato nel 2007. Questo Vignes era la registrazione del concerto tenutosi a Los Angeles presso la Downtown Playhouse il 26 luglio del 2003 e il retro del cd citava orgogliosamente “This Music Is Improvised”. Tutti e tre i musicisti arrischiavano avventurandosi in quel universo microtonale che il chitarrista britannico Rod Poole aveva esplorato ossessivamente, suonando su un strumento accordato in open tune e tramite l’archetto di violino.
Tutti e tre i musicisti non facevano parte di una tradizione musicale consolidata, avendo da tempo accantonato concetti come “genere musicale”. Beh sì, Cline era ed è noto per la sua appartenenza ai Wilco, ma parlare di musica rock sarebbe un modo molto limitativo per descrivere il suo lavoro. McAuley presentava un suono con una matrice più folk, ma anche a lui questa categoria stava abbondantemente stretta. E Poole apparentemente viveva in un mondo tutto suo. “Vignes 1”, la prima lunga improvvisazione, cominciava in modo calmo, in un modo piuttosto convenzionale, ma poi si trasformava in un pezzo ipnotico e strano, oscuro e luminoso dove struttura e ritmo venivano progressivamente abbandonate a favore dell’esplorazione nel suono puro, anche se non sempre riconoscibile, della chitarra. “Vignes 2” ritornava a una improvvisazione atonale, ma allo stesso tempo ritmica con sequenze incalzanti e ondivaghe. “Vignes 3” riportava l’Acoustic Guitar Trio su sentieri avventurosi, con Poole che suonava l’arco sulle sue corde. Non suonava come Jimmy Page, o Raoul Björkenheim, ma aveva una qualità di suono stridente a volte quasi dolorosa, a volte bella che non lascia certamente indifferente.
Per Rod Poole ero arrivato troppo tardi, ho proseguito con Cline e McAuley che ho ritrovato qualche anno più tardi, 2012, sempre grazie alla Long Song Records, era uscito un suo disco solita “Gongfarmer 36”.
Un disco davvero eccellente, non ho paura di parlarne in termini sinceramente entusiastici, che confermava le sensazioni precedenti. Jim McAuley appartiene a quella curiosa categoria di musicisti a cui non basta muoversi all’interno delle coordinate note del loro strumento. No, McAuley si pone a cavallo tra altri improvvisatori radicali come Derek Bailey, Fred Frith, Joe Morris e Renè Lussier e chitarristi acustici scuola Takoma come John Fahey e Robbie Basho, le sue musiche, le sue improvvisazioni si caratterizzano per uno stile unico e estremamente personale che però non è mai didascalico: sempre intenso, sempre lirico. McAuley non copia mai da nessuno, neanche da se stesso.
Questo nuovo cd, seguito ideale del suo primo album da solista (“Gongfarmer 18″), è una ricca collezione di registrazioni da solista tratta da spettacoli live, registrazioni in studio e casalinghe e ben testimonia l’ampio spettro creativo e poetico di questo chitarrista. Siamo lontani anni luce da qualunque forma di protagonismo musicale mascherato da virtuosismi esasperati, ma se cercate tecniche non ortodosse, accordature aperte, una commistione continua di elementi jazz, blues, folk, elementi classici e contemporanei, questo disco fa per voi. Molto bella la sua versione del “Saltarello” di Vincenzo Galilei. Uno dei dischi migliori del 2012. E poi? Poi Jim McAuley sparisce. Niente. Niente dischi. Bisogna aver pazienza. Gli ascolti vanno centellinati. Bisogna aspettare il 2018. Bisogna sempre aspettare la Long Song Records.
Jim McAuley torna in duo, in compagnia di Mary MacQueen, MC’N’MAC, il risultato di una interazione costruita nell’arco di un decennio, un risultato che si chiama “Beautie On The Water”. “Beautie On The Water” suona ancora diverso, sempre intimo, ma diverso: “Beautie On The Water” è un disco quasi rinascimentale, l’incontro tra la musica del mondo pre war folk dei monti Apallachi e la musica colta europea del XV secolo. Niente di forzato. Semplice. Pulito e lirico. Lontano dalle sperimentazioni di “Vignes” ma allo stesso vicino in una forma originale e sincera. Restiamo in attesa. Jim McAuley tornerà.