La complessità concettuale di Brian Ferneyhough. Uno specchio dei nostri tempi su #neuguitars #blog

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Negli ultimi due o tre decenni, la musica di Brian Ferneyhough (1943) ha assunto una qualità quasi feticistica. Pur non essendo uno dei compositori viventi più rappresentati al mondo, è comunque uno dei punti di riferimento più frequentemente citati tra i compositori contemporanei, sia per essere stato il creatore di uno stile e di un’estetica che ha entusiasmato molti compositori più giovani o come un aderente anacronistico al modernismo di vecchia scuola. Lo status di Ferneyhough arriva anche in gran parte perché il suo stile, come quello di altre icone prima di lui, come Cage, Ligeti o Reich, può essere condensato in una singola parola, di solito inutile. Cage è “possibilità”, o forse “silenzio”, per Ligeti, è “atmosfere”, per Reich, è “minimalismo” o “processo”, senza dubbio, la parola per Ferneyhough è “complessità”.

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Sebbene Ferneyhough avesse composto opere che avrebbero potuto essere descritte in questo modo per due decenni, il termine si attaccò saldamente alla sua musica nel 1988 con la pubblicazione dell’articolo “Four Facets of the New Complexity” del musicologo australiano Richard Toop. In realtà il focus dell’articolo di Toop non era tanto Ferneyhough, ma il quartetto composto dai compositori Finnissy, Barrett, Chris Dench e James Dillon, ma l’influenza di Ferneyhough aleggiava su tutto lo scritto. Il termine “complessità” come descrizione, come caratterizzazione non solo di uno stile musicale, ma anche in termini più generali è stato nel tempo cosi tanto contaminato da stereotipi e disinformazione che è quasi impossibile da esplorare in un campo emotivamente neutrale.

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La complessità non dovrebbe essere ridotta, tuttavia, alla “difficoltà” o alla “complicazione”. Il gioco della dama può essere difficile o complicato da giocare, ma gli scacchi e il Go sono giochi complessi. La musica di Ferneyhough è, senza dubbio, difficile da suonare. Tuttavia, la complessità in questo contesto, così come negli scacchi e nel Go, si riferisce alla costruzione della musica attraverso molteplici strati di informazioni, a volte contrastanti, alla sua polivalenza e al suo caos strutturato. Questa non è semplicemente una questione di densità di informazioni, sebbene ciò sia anche una caratteristica della sua musica, ma delle molteplici linee di forza che devono essere negoziate ed equilibrate in un dato momento. Nel suo ottimo libro “Music after the Fall” il musicologo Tim Rutherford-Johnson fa giustamente notare come anche la musica di Paganini sia difficile da eseguire perché aggiunge una densa figurazione e molti ornamenti a una singola traiettoria musicale (una melodia o una progressione armonica), usando molte note per battuta. La musica di Ferneyhough, invece, è complessa perché descrive e utilizza più framework tra loro intersecanti e in conflitto contemporaneamente, nel medesimo tempo e ambiente. La complessità di Ferneyhough è una questione di forma. Tim Rutherford-Johnson sottolinea giustamente come la musica di Ferneyhough inizia dalla premessa che un determinato pezzo di materiale, un blocco di costruzione musicale, porti con sé una serie di implicazioni logiche e funzionali. Suggerisce alcuni modi in cui vorrebbe svolgersi, ad esempio determinati archi narrativi. Contiene anche una certa densità di informazioni, che suggerisce un ulteriore arco temporale ideale in cui può presentarsi ed essere compreso da un ascoltatore. Accettando che ciò avvenga, l’estetica di Ferneyhough deriva dal contrastare o sfidare queste implicazioni, creando situazioni in cui il materiale è costretto a superare i suoi limiti impliciti. Uno degli aspetti che più mi affascina è la sua concezione e gestione dell’imperfetta capacità della memoria: il modo in cui comprendiamo un brano musicale, che cosa significa una determinata melodia o suono, come percepiamo la struttura delle opere, come percepiamo quanto siamo lontani o vicini alla fine in un determinato punto, tutto ciò è determinato dalla nostra memoria d’ascolto a breve termine. In una canzone, per esempio, riconosciamo un ritornello per la prima volta da come si collega al verso che abbiamo appena ascoltato e per la seconda volta dal fatto che viene ripetuto. Entrambi i pensieri dipendono dalla capacità della nostra memoria di tenere a mente pezzi di musica e fare rapidi confronti tra di loro. La musica di Ferneyhough interrompe questi percorsi di memoria, sovraccaricandoli, contrastandoli o reindirizzandoli.

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Tutto questo può essere facilmente rintracciato e compreso in questo eccellente cd, prodotto nel 2010 dalla casa discografica indipendente Kairos Music Production, un’ottima raccolta di brani composti da Ferneyhough ed eseguiti dagli australiani ELISION Ensemble, un disco che non deve mancare nella discoteca di un appassionato di musica per chitarra contemporanea. La memoria qui viene attivata, per poi essere ripulita con la forza. Questo principio è particolarmente evidente nei due brani dove la chitarra è presente: “no time (at all)” e “ Les froissements d’ailes de Gabriel”.

“no time (at all)” è il pezzo più breve dell’intero cd. Si tratta di un set di cinque brani brevi di Ferneyhough per due chitarre (una accordata di un quarto di tono sotto l’altra), ma il titolo presenta delle più ampie implicazioni. Questo brano riflette l’interesse di Ferneyhough nei confronti del significato di “tempo musicale”, un interesse diventato particolare significativo nel corso della sua opera Shadowtime, dalla quale questo brano è derivato. Più specificamente, i suoi materiali sono in gran parte quelli delle due parti di chitarra in “Les Froissements d’Ailes de Gabriel”, l’ultimo lavoro su questo disco, sebbene presentato in una sequenza completamente diversa. I cinque pezzi costituiscono una sorta di forma ad arco, con il geniale glissandi strisciante del terzo movimento che fornisce un enigmatico “centro morbido”. Il primo e l’ultimo movimento hanno la stessa struttura temporale rigorosamente delineata, ma sono caratterizzati da contenuti abbastanza diversi. Al contrario, il secondo e il quarto movimento hanno esattamente lo stesso materiale, ma le due parti di chitarra vengono scambiate, in modo che qualunque cosa fosse precedentemente eseguita “un quarto di tono sopra” ora si ritrova essere un quarto di tono sotto: un semplice ma sconcertante cambio di prospettiva.

Sempre estratto dall’opera di Ferneyhough Shadowtime (1999- 2004), sulla vita e il pensiero di Walter Benjamin, Les froissements è un’evocazione delle ali fruscianti dell’Angelo Gabriele, risonanti attraverso la musica compressa, le trame svolazzanti. Più profondamente, tuttavia, è una meditazione benjaminiana sulla natura del tempo. Si suppone che gli angeli non siano in grado di percepire il tempo in alcun senso umano, e il modo in cui Ferneyhough sovrappone deliberatamente la sua musica con le informazioni, avviandola e riavviandola ogni pochi secondi per creare un sovraccarico percettivo, ostacola la capacità della memoria di creare una struttura significativa. Ogni evento è troppo denso per essere completamente assorbito nel tempo dato, quindi quando arriva il prossimo stiamo già correndo solo per tenere il passo. (In questo modo Angel Gabriel di Ferneyhough ricorda l’Angelo della Storia di Benjamin, le cui ali sono continuamente schiacciate dai detriti della storia che si accumulano sopra di esse.)

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Processi come quelli sopra descritti, così come l’uso di ritmi non metrici e di relazioni fugaci, sono progettati per violare e disturbare schemi e aspettative convenzionali e quindi inevitabilmente attraggono molta resistenza da parte del pubblico e della critica. La parola stessa “Complessità” sembra essere diventata un termine dispregiativo. Tuttavia, ciò che Ferneyhough ha creato non si limita ai regni della filosofia astratta. In effetti, i processi disorientanti, destabilizzanti e differenti della sua musica condividono molto con gli aspetti quotidiani delle nostre vite del ventunesimo secolo. Attraverso questa innata complessità musicale , la musica di Ferneyhough attraversa una soglia in un regno più metafisico. Proprio come la forma della sonata dice qualcosa sul diciottesimo secolo, così la complessità di Ferneyhough si riferisce alla realtà del ventunesimo. Tim Rutherford-Johnson fa notare come la sua rappresentazione del reale avvenga sì in uno spazio esclusivamente musicale, ma sia formalmente simile ai modelli finanziari moderni, ai sistemi di pagamento dei trasporti pubblici e alle strutture di archiviazione dei media, in cui le transazioni quotidiane non si svolgono più tra le persone e oggetti ma in uno spazio remoto e fragile-digitale di database e cloud computing. Questa sua empatia con i tempi che viviamo (anche se non coincide necessariamente con i desideri immediati del suo pubblico potenziale) ha contribuito a rendere la musica di Ferneyhough un potente fattore di attrazione.