L’Officina dei Fratelli Seravalle è un luogo curioso. Fondamentalmente è uno di quei luoghi dove le memorie si accumulano in pile ordinate lungo le pareti, vicino agli attrezzi di lavoro, e dove vengono ritrovate, rilette, interrogate e riproposte in modi nuovi e curiosi. Facendo questo L’Officina assolve anche a un altro compito: non solo mette ordine ma anche ripara, rimedia ai guasti procurati dall’incuria e dalla cattiva manutenzione delle memorie dando loro una nuova vita, magari sotto altre forme. Come in ogni Officina che si rispetti si lavora sodo, ci si sporca le mani. A differenza di quello che normalmente si pensa, le memorie non sono cose eteree, linde e pulite. Col tempo si corrompono, arrugginiscono, cambiano colore. Raramente rimangono intatte e consumano molto spazio. Una delle qualità dell’Officina è la loro continua, ossessiva attenzione per un accurato design delle memorie. L’attenzione nei confronti dei particolari è totale e ossessiva: ogni memoria può nascondere dei dettagli che se esaltati e messi in buona luce possono cambiare il quadro totale dell’insieme.
In questo i Fratelli Seravalle sono molto esperti, merito di anni di lavoro onesto, di laboriosa e quieta attività, Alessandro si occupa di chitarre e tastiere, Gianpietro di suoni digitali, ritmiche, piano, synth, basso, generatore di frequenza. Nel 2019, che sembra già lontano anni luce, hanno presentato questo nuovo progetto di musica sperimentale che ondeggia fra la psichedelia e l’elettronica, ma che sotto queste superfici opache nasconde qualcosa di molto più interessante. La musica sembra essere una scusa per i Fratelli Seravalle, una scusa, un modo articolato per orientare il loro lavoro di design e recupero delle memorie da loro custodite.
Il risultato è un disco che ha fatto della perturbazione, della citazione e della sospensione le sue caratteristiche stilistiche. Nell’Officina la musica filtra le memorie, le modifica dalla condizione di quiete instabile in cui erano archiviate creando una nuova condizione di normalità, di ordine, variandone le grandezze, modificandone l’evoluzione del comportamento considerato regolare o non perturbato. Per fare questo ricorrono a un uso sistematico, intensivo, accelerato della citazione: menzioni, allegazioni, riferimenti, rimandi vengono utilizzati con lo scopo usuale di confermare o di esemplificare un concetto o un’idea, ma di creare uno stato di sospensione, di timore costante, generato dalla precarietà di una situazione che non lascia punti di riferimento stabili e che continua a cambiare in continuazione.
L’esempio perfetto del loro design culturale e acusmatico è il brano “Vuoto politico”, contenente la voce di Bettino Craxi, famoso politico italiano a processo per “Tangentopoli” avanti al procuratore Antonio Di Pietro, una pagina davvero torbida della storia italiana. Non credo fosse voluto, ma questo brano arriva proprio in un momento in cui l’Italia sta (ri)provando a dare una nuova lettura, storicizzata, ai fatti di Tangentopoli degli anni ’90. Il risultato realizzato dall’Officina va in una direzione completamente opposta. Non c’è una rilettura politica o sociale, non si formulano nuovi giudizi, Craxi non viene “riabilitato”. La sua voce, che risuona in un riverberato cinismo, viene inserita in un contesto di loop e suoni elettronici che alterano lo spazio e sospendono il tempo. Non è più Craxi, è il suo fantasma, la sua echo semiotica, una silhouette sbiadita che cerca di fare pace con se stesso, il suo ricordo e la sua storia. E non ci riesce.
Tajs! è un cd che va oltre il suo “semplice” essere un oggetto musicale. Un ascolto prolungato e paziente vi rivelerà strati di concetti e memorie in continuo movimento, vi sembrerà di afferrarne qualcuno al volo, ma altrettanto rapidamente scomparirà, tornando nel flusso da cui altri aspetti emergeranno. I Fratelli Seravalle giocano con le nostre memorie impedendoci di riafferrarle, ne sono i nostri custodi.