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La vita , come la musica, è una cosa curiosa. Fai un incontro, te ne dimentichi. Dopo qualche anno rivedi quella persona e non te ne ricordi. Coincidenze. Casualità. Ma quando i sentieri si incrociano per una terza, quarta, quinta volta….il caso non c’entra, o era premeditato o era destino. Scegliete voi.
Ho “incontrato” Raoul Björkenheim la prima volta alla fine degli anni 90′ grazie alla compilation “Ambient 4: Isolationism”, uscita per la Virgin nel 1994, un doppio cd che suona ancora oggi fresco e ricco di idee innovative. Il suo brano, “Strangers”, era interessante e foriero di nuove idee, ma si perdeva all’interno di una compilation ricchissima di spunti tuttora innovativi.
Nel 2010 comprai un’altra compilation “I Never Meta Guitar” della casa discografica indipendente Clean Feed. Qui Björkenheim aveva presentato un altro brano, “I Told You So”, dove ,uscendo dal lato oscuro dell’ambient, si metteva in mostra grazie all’interessante linguaggio ritmico e schizofrenico.
E’ sempre del 2001 l’eccellente “Revelator” in duo con il bravissimo Nicky Skopelitis (chitarrista innovativo da riscoprire al più presto), un disco di ambient sovralimentata, prodotto da sua maestà Bill Laswell, caratterizzato da suoni terzo mondisti e texture serene e rilassate.
E a quel punto comincio a capirci poco. Sì perchè Björkenheim, nel giro di pochi anni, piazza tre diversi esempi di stili musicali, tutti molto interessanti e personali, ma completamente diversi tra di loro. Sinceramente ad un ascolto al buio non sarei stato capace di ricondurre le tre musiche allo stesso autore. Non è la prima volta che incontro chitarristi dotati di doti camaleontiche, ma, di solito, questo tipo di persone non ricopre il ruolo di leader, anzi è più facile trovarli nel ruolo di turnisti o session man di lusso, dove mettono generosamente la loro arte a disposizione di progetti di altre persone. Björkenheim è diverso, è un leader. La sua musica e la sua chitarra esprimono uno stile definito, marcato, estremamente personale ma allo stesso tempo sfuggente, metamorfico. A ogni disco è come se si reinventasse da capo, mantenendo un’attenzione totale nei confronti del suono.
A rafforzare questi dubbi nel 2017 esce “Doors of Perception”, terzo disco realizzato con la Cuneiform Records e il quarto con la formazione eCsTaSy, dove Bjorkenheim viene accompagnato da tre compagni di viaggio: il talentuoso batterista Markku Ounaskari, da diverso tempo partner di Björkenheim, il giovane e virtuoso bassista Jori Huhtala and il validissimo sassofonista Pauli Lyytinen. Dieci i brani contenuti in questo cd, che già dal titolo rimanda alle visioni di Aldus Huxley, che compongono un disco dalle forti visioni. Un disco che colpisce per l’intensità e l’interplay raggiunto tra i diversi componenti, per la loro abilità nello scambiarsi ruoli, dialoghi e messaggi musicali che alla fine generano un mix coerente e dai diversi colori.
A questo punto diventa chiaro come Björkenheim sia un musicista estremamente sensibile e abile nelle collaborazioni. Questa sua adattabilità stilistica lo rende una persona capace di creare un profondo e proficuo interplay con i musicisti con cui colabora sia nelle vesti di band leader che di gregario. Non ne siete convinti?
Provate ad ascoltarlo nell’eccellente “From The Roots To The Sky” (2018, Long Song Records) dove suona nella The J. & F. Band, un ensemble rock blues costruito su modello della Allman Brothers Band, con Joe Fonda e Jaimoe come leader. Gregg Allman se ne è andato nel 2017. A Björkenheim viene affidato l’arduo compito di seguirne le gloriose gesta. Cosa che gli riesce benissimo riuscendo ad aprirsi un varco nel muro di fiati della Band.
Siamo nel 2020 e la Long Song Records fa uscire quello che è già candidato come uno dei miei dischi dell’anno: Solar Winds, dove Björkenheim suona in quartetto assieme al ritrovato Tiziano Tononi alla batteria, Silvia Bolognesi al contrabbasso e Emanuelle Parrini al violino.
Cosa aspettarsi da un trasformista di classe come lui? La risposta più ovvia è: un altro salto stilistico e Björkenheim non ci delude ispirandosi al grande John Coltrane.
Non è la prima volta che succede, Coltrane ha avuto un’influenza enorme nel mondo della musica, un ‘influenza che ha superato i confini del jazz e che ha ammaliato molti chitarristi. Quel suo stile torrenziale, quella energia, quella profondità di linguaggio non possono non colpire, ispirare, spingere a nuovi traguardi. Coltrane è stato un gigante e come tale era scritto nel suo destino postumo che altri sarebbe saliti sulle sue spalle per guardare e andare lontano.
Björkenheim è un innovatore di stile e linguaggio e con “Solar Winds” ha scelto di esplorare il repertorio coltraniano e ha scelto di farlo in quartetto dove al posto del pianoforte troviamo la scelta insolita e coraggiosa del violino di Emanuele Parrini.
E’ il Coltrane della Impulse! Records, il mistico che viaggiava sulle autostrade interstellari a ispirare Björkenheim e soci, un’ispirazione potente, precisa e concettuale che crea una musica piena di energia, di vita e anche di speranza. L’interplay è perfetto. Nessuna sbavatura o incertezza. Nessun calo di attenzione o di energia. Un unico flusso di musica nel quale Raoul Björkenheim più che il ruolo di leader sembra cercare quello di primus inter pares. Ancora una volta un salto stilistico. L’ennesima variazione linguistica creativa.
Alla fine, però, mi è rimasto un dubbio: e se Raoul Björkenheim fosse un perfetto esempio di chitarrismo post-moderno? Da qualche parte, forse nelle vicinanze degli anelli di Saturno, John Coltrane sorride.