“Rime”. Il coraggio e l’integrità artistica di Maurizio Grandinetti su #neuguitars #blog

“Rime”. Il coraggio e l’integrità artistica di Maurizio Grandinetti su #neuguitars #blog

http://en.dux.pl/grandinetti-rime-radziejewska-ensemble-cord-ola.html

Ho sempre di più la sensazione di vivere in un paese che ha paura del futuro, si lamenta del presente e idolatra un passato che non sarà altro che il presente di oggi e il futuro di domani, in una ciclica lamentazione biblica capace di sfinire e annichilire anche le menti più brillanti. Perché scrivo questo? Perché sto ascoltando il cd “Rime Baroque music recomposed by Maurizio Grandinetti” e mentre esso gira nel mio player mi sembra già di sentire il coro di critiche a senso unico che accompagna ogni singolo brano. Ma come? Come si può eseguire musica barocca utilizzando una chitarra elettrica? No, dico. Scherziamo? Ma chi pensa di essere questo Grandinetti? Un chitarrista progressive?

Ma vediamo di andare per gradi. Maurizio Grandinetti è un chitarrista devoto alla musica contemporanea, una persona caratterizzata da una granitica coerenza tra le proprie idee e quello che fa. La sua produzione discografica purtroppo non è molto abbondante, anzi. Solo due i dischi a suo nome: “Equivoci” (2003) e “Seek” (2016), due ottimi lavori che si accompagnano alla sua interpretazione (sempre per chitarra elettrica) di “BeBop Baghdad” nel disco di Paul Dolden “Histoires d’histoire” (2017).

Davvero un po’ poco per un interprete di questo livello. Nel 2019, però, è uscito per l’etichetta indipendente polacca Dux questo “Rime” dove Grandinetti assieme all’Ensemble Cordaeola esegue musiche barocche di Antonio Vivaldi, Tarquinio Merula, Alessandro Stradella, Giovanni Pierluigi da Pellestrina, Sigmundo D’India e Alessandro Scarlatti. Le esegue con la sua chitarra elettrica, pedali, effetti e tutta l’elettronica che si può ad essa collegare. Uno sgarbo nei confronti della ortodossia filologica? Forse, ma se di sgarbo si tratta, qui si può parlare di un progetto maturato e calcolato. Non un colpo di follia. Non l’espressione di un moto irrazionale.

 

https://neuguitars.com/2018/11/15/recensione-di-equivoci-di-maurizio-grandinetti-manifesto-2004/

Non tutti coloro che leggono il mio blog sono avvezzi alla filologia musicale, alla musica barocca e alle idee contemporanee: permettetemi quindi di spiegare meglio l’oggetto del contendere.

Per prassi esecutive possiamo considerare tutte quelle convenzioni, caratteristiche di ogni momento storico, che suggeriscono come un brano musicale debba essere interpretato, ossia: tempo, fraseggio, accentuazione, dinamica, articolazione, ornamenti, agogica, pronuncia del testo e dei suoni. Dal XIX secolo questi elementi sono largamente segnalati nella scrittura musicale grazie a un raffinato sistema di notazione che consente al compositore di inserire in partitura una ricca messe di informazioni e rappresenta il punto di arrivo di un percorso secolare alla ricerca di un’esauriente rappresentazione grafica per l’idea sonora. Più si risale indietro nel tempo, però, più gli ausili grafici di questo tipo si riducono sino a scomparire del tutto. Grandinetti scrive, nel libretto che accompagna il cd, come “Today we find Renaissance and pre-Baroque music attractive mostly because of what authors did not put in scores, the part assigned to improvisation and arrangments.” e aggiunge ”From the beginning of the 1800s, the habit of corresponding each composition to only one interpretation was assumed: the one faithfull to the original. Nothing was left to arbitrary personal choice.”

Una dichiarazione di intenti che presuppone l’esistenza di più narrazioni all’interno della stessa musica. Il desiderio di leggere l’Urtext in un modo più articolato, ricco e non più mono-direzionale. Un modo diverso di sfruttare a vantaggio di una nuova interpretazione l’essenzialità delle informazioni contenute nella notazione antica, una essenzialità assolutamente coerente con la concezione, propria di tutto il pensiero musicale preromantico, che il testo scritto fosse una sorta di canovaccio da completare secondo un sistema di regole stilistiche apprese con l’esperienza e attraverso trattati e compendi dettagliati. La cosa non è nuova. L’intenso lavoro di recupero e restauro delle partiture originali, unito allo studio e all’applicazione di tecniche vocali e strumentali coeve e all’uso di copie di strumenti del periodo, ha portato a quelle che sono state definite esecuzioni filologiche, generando un rapporto controverso tra musicisti e filologi: i musicisti, accusati da filologi e musicologi di pressappochismo scientifico e di dilettantismo nell’approccio alle fonti, controbatterono attaccando quello che definivano un distaccato lavoro di catalogazione e di congelamento dell’esperienza musicale. A questo proposito Grandinetti, nel corso di una chat, mi ha detto una cosa molto interessante: “Per fare questo disco mi sono interessato molto delle tecniche del restauro dell’opera d’arte e ho scoperto che le scuole filosofiche in questo ramo sono antichissime e molto sviluppate (molto di più che in musica). Tutto ciò mi affascina moltissimo. Il problema non è come restaurare un edificio, un quadro ma che senso dare al restauro: recupero di un manufatto/oggetto oppure di un significato creativo/opera d’arte. E come puoi recuperare un significato creativo di un’altra epoca senza perdere la sua potenzialità? (nel libretto cito Raffaello/restauratore delle antichità).” Sono d’accordo con Maurizio. Il problema della filologia musicale, a differenza dell’analoga disciplina letteraria, infatti, consiste nell’impossibilità di fruizione diretta del materiale prodotto. Tra la versione conforme all’originale di un brano e la sua trasformazione in evento sonoro serve un mediatore, un interprete. Inoltre la validazione di un antico testo musicale, che si presenti in una forma oggi intelligibile, sottende anche all’intraducibilità del massiccio intervento soggettivo di improvvisazione e integrazione richiesto agli interpreti per molti secoli. Intervento che risente inevitabilmente del gusto, delle idee, della concezione musicale presente all’interno delle società che si sono susseguite nel tempo.

https://neuguitars.com/2017/03/29/recensione-di-seek-di-maurizio-grandinetti-united-phoenix-records-32-2016-su-neuguitars-blog/

C’è un altro aspetto che mi preme sottolineare: concordo al 100% con Maurizio Grandinetti quando dopo ha aggiunto “Un punto cruciale è che io sono convinto che un interprete non possa essere un filologo allo stesso momento.“ Quando ho letto questa sua frase sono andato a prendere il libro “Odio Sentirmi una vittima” di Susan Sontag, autrice di un eccellente saggio sulla fotografia dove analizza nei dettagli una notevole serie di relazioni strutturali. A pagina 71 (edizione italiana) si legge questa frase “Nessun fotografo avrebbe mai potuto scrivere un libro come “Sulla fotografia”, ma credo che tutti i fotografi sappiano gran parte delle cose di cui parlo nel libro. Non le hanno formulate, o ritengono che parlarne non sia nel loro interesse….soltanto qualcuno che non fosse un fotografo e non avesse un interesse professionale in quell’attività avrebbe potuto scrivere questo libro.”

Credo che la Sontag e Grandinetti stiano cercando di dirci la stessa cosa. All’artista spetta il compito, l’atto creativo, poco importa se sia un musicista o un fotografo. Questo anche se molti artisti, forse più per necessità che per desiderio, si sono rivelati degli ottimi teorici. Al critico, al filologo spetta il compito di cercare nell’opera dell’artista relazioni funzionali che possano fornire punti di vista diversi e fornire nuovi spunti creativi e di dibattito. Fornire dei giudizi e limitare il campo di attività di un’artista sulla base di presupposti filologici e estetici, facilmente confutabili e ribaltabili alla luce di nuove opere o di un cambiamento culturale, non credo siano più attività interessanti in un’epoca che vive una molteplicità di narrazioni sull’arte e che ha visto da decenni tramontare l’era dei manifesti culturali, artistici, politici.

Credo che quella che Grandinetti difende sia un punto di vista non più basato sulla ricerca di una verità definitiva su come si debba riprodurre un’opera del passato, ma sulla ricostruzione di un mondo sonoro più credibile, in linea con quello che può offrire la società attuale. Non la semplice rappresentazione delle prassi esecutive in voga, ma l’espressione delle loro motivazioni. La storia, la società, la cultura avanzano, si generano nuovi strumenti, nuovi punti di vista, si registra una maggiore pluralità di espressione. Una forma di espressione che ben lontano dall’immagine stereotipata del chitarrista elettrico: “Tengo moltissimo al fatto che questo cd non venga percepito come una ennesima operazione crossover di rilettura moderna del barocco. Ho fatto il massimo negli anni (da chitarrista) per studiare e capire l’opera barocca e me ne sono innamorato profondamente. Il mio tentativo è di mantenere i significati creativi intatti qualora vengano cambiati i contenuti dell’oggetto (armonia, strumentazione, forma).”

Se vi aspettate quindi di ascoltare Maurizio mentre scimmiotta a una velocità incredibile uno shredding virtuosistico rimarrete delusi. Qui siamo lontani anni luce dall’epopea progressive o dallo stile dei Rondò Veneziano. La chitarra elettrica qui è funzionale a un progetto che la vede integrata in un ensemble, con una visione musicale ben diversa dai giochi di Emerson, Lake & Palmer. Non vorrei, infatti, avervi traviato concentrandomi solo sulla chitarra e elettrica e su Maurizio.

Se Maurizio è il ‘deus ex machina’ del progetto con le sue interpretazioni, esso non si sarebbe potuto portare a termine senza la bella voce della mezzo-soprano Anna Radziejewska, artista a suo agio nel repertorio barocco che contemporaneo, grande interprete delle opere di Salvatore Sciarrino, e senza gli altri membri dell’Ensemble Cordaeola. Avrete ormai capito che questa, più che una recensione, è stata una lunga chiacchierata, un flusso di pensieri e di idee originate dall’ascolto di un cd che nel mio caso ha funzionato come un catalizzatore di esperienze.

Mi sembra quindi doveroso presentarvi chi ha fattivamente contribuito a questo progetto davvero fuori dai canoni. Sono tutti membri dell’Ensemble Phoenix Basel, uno dei migliori per la musica contemporanea,tutti musicisti dotati di una sensibilità e di un impegno eccezionale: Christoph Bösch, al flauto, Toshiko Sakakibara, al clarinetto, e Consuelo Giulianelli, all’arpa.

Scriveva Schoenberg nel suo libro “Analisi e pratica musicale”: “L’immobilità è l’ostacolo più grande alla cultura: una situazione stagnante favorisce solo l’immortalità dei parassiti.”

L’Ensemble Cordaola non è rimasto immobile.

Anna Radziejewska & Ensemble Cordaeola: Rime

CD 2019, DUX 1527

  1. Prelude to “Sonno”

  2. Sonno, se pur sei sonno from Tito Manlio, RV 738

  3. Canzonetta spirituale sopra alla nanna “Hor ch’e tempo di dormire” from Curtio precipitato et altri Capricii Composti in diversi modi vaghi e leggiadri a voce sola Libro secondo op. 13

  4. Chi viva godendo from La Forza delle Stelle ovvero il Damone

  5. Prelude to “Rime“

  6. Rime, da i sospir miei nati from Il primo libro de’ madrigali a quattro voci 

  7. Sento in seno from Tieteberga, RV 737

  8. Prelude to “Io per me”

  9. Io per me non cangerei from San Giovanni Battista

10. Col mio sangue comprarei from Moro per amore

11. Ma ché? Squallido e oscuro from Primo libro di musiche da cantar solo

12. Su coronatemi from San Giovanni Battista

13. Prelude to “Caldo sangue”

14. Caldo Sangue from Il Sedecia, re di Gerusalemme

Musicisti:

Anna Radziejewska – mezzosopran

Enseble Cordaeola:

Christoph Bösch – flet

Toshiko Sakakibara – klarnet    

Consuelo Giulianelli – harfa

Maurizio Grandinetti – gitara, elektronika