The Messthetics, desiderio, estetica, energia, consapevolezza del “fu” power trio su #neuguitars #blog

The Messthetics, desiderio, estetica, energia, consapevolezza del “fu” power trio su #neuguitars #blog

I Messthetics sono, probabilmente, l’ultimo fenomeno interessante del rock. L’ultima spontanea evoluzione della formula del power trio. La sublimazione di una estetica musicale che ha dato il meglio di sé nei bei tempi che furono. L’ultima espressione di un desiderio di energia che ormai langue da troppo tempo sotto alle ceneri. Gli ultimi? O forse sono la cerniera definitiva. L’atto consapevole di una mutazione ormai irreversibile e onestamente accettata in quanto tale? Ma chi sono i Messthetics? Sono gli autori di due dei più sinceramente interessanti ed avventurosi dischi degli ultimi tre anni, a partire dal 2018 quando l’eccellente omonimo “The Messthetics”, uscito per la storica Dischord, li ha messi ben in vista sotto i riflettori dell’indie rock. Sono un vero e proprio power trio sorretto dalla sezione ritmica di Joe Lally e Brendan Canty, ovvero basso e batteria dei Fugazi, gruppo che più di ogni altro ha contribuito a (ri)definire l’estetica, il suono e l’eredità degli anni ’90, e il talentatissimo Anthony Pirog, chitarrista caratterizzato da un timbro inconfondibile e da una vena avantjazz capace di lasciare un segno anche negli ascolti più distratti.

Finora hanno prodotto solo due dischi: “The Messthetics” (2018) e “Anthropocosmic Nest” (2019). Due schegge: durate brevi, 33 e 37 minuti, cose di altri tempi. Cose ad alta densità di informazioni, di stili, cosa che ha spinto molta critica a vederci l’ennesimo prodotto del postmodernismo, mai realmente tramontato. Ma è davvero così? I Messthetics sono davvero solo l’ultima costola, l’ultimo prodotto di un filiera culturale che da molto tempo sembra aver esaurito il suo spirito propulsivo, persa in una miriade di ibridazioni fallite, di occasioni mancate, di vicoli ciechi comunicativi, di potenzialità sprecate? Di desideri bruciati? Non credo.

 

Non nego certo che questo trio sia una perfetta rappresentazione di un ambiente sorprendente, frutto di filiazioni, evoluzioni ed ibridazioni di generi, stili e linguaggi. Ma c’è qualcos’altro. I Messthetics sono gli attori consapevoli di una forma narrativa concettuale, nobile, articolata, che ha saputo ormai lasciarsi alle spalle quelle forme rock e indie legati a un’epoca (a una retromania, direbbe Simon Reynolds) adottando un linguaggio per intenditori, una narrazione complessa e articolata in grado di sedurre la mente, accoppiandola a una energia potente e disciplinata, capace di far muove il corpo, combinando l’apollineo e il dionisiaco.

 

Se quello che scrivo è vero, allora c’è dell’altro. Allora i Messthetics rappresentano sì un esempio di trans-genesi musicale ma anche la resa finale, l’accettazione consapevole e finale che il rock, inteso come forma di mass culture è finita, che le masse sono scomparse, che la mass culture si è definitivamente frammentata in una galassia composta di miriadi di unità logiche artistiche in collisione perenne tra loro, dove il pop ha ammainato ogni bandiera di contaminazione e sperimentalismo, sancendo una definitiva cesura tra un intrattenimento fine a se stesso e una forma di piacere in grado di stimolare tanto il corpo che la mente.

Io ho un difetto, gravissimo. Non sono mai sul pezzo delle novità. Ho comprato questi due cd, solo un paio di mesi fa, con un ritardo di oltre un anno. Praticamente un’era geologica. Da “Anthropocosmic Nest” il mondo si è ribaltato, da solo e non in meglio. Un cosino così piccolo e insignificante ha ribaltato tutti i nostri paradigmi vitali e chi diavolo sa quando potremo tornare a una nuova forma. Forse lo stesso cosino ha interrotto il percorso dei Messthetics, mentre riascolto ancora i primi due capitoli mi sento come un lettore di un romanzo popolare ad uscita mensile che ha esaurito le uscite precedenti e non vede l’ora di continuare la narrazione. Due cd non bastano.

Non adesso. Ho bisogno di sapere non come va a finre, ma come la narrazione dei Messthetics continua. Datemi un segno, un segnale. Dovete continuare. Non potete lasciarmi lì in attesa dopo due dischi così. Mi appello al vostro professionismo e alla vostra integrità artistica. Mi sono perso il vostro esordio, sono arrivato a voi in un periodo di stasi, dove non mi resta che riascoltare, accumulare, meditare e immaginare. Forse anche questo è il ruolo implicito dei periodi di crisi: l’accumulazione di energia cinetica creativa per un nuovo balzo in attesa di tempi migliori, dove potremo tornare a vedervi e sentirvi in concerto. Nel frattempo grazie, ascoltarvi mi da energia e speranza. Anthony Pirog, sei un chitarrista fantastico.