Intervista con Andrea Massaria (Maggio 2021) su #neuguitars #blog
Ciao Andrea, parlaci un po’ di questo tuo ultimo progetto “New Needs Need New Techniques”, cominciamo dal titolo, quali sono i “Needs” e le “Techniques” a cui fai riferimento?
Il disco e’ ispirato a tre pittori per me molto significativi ed importanti quali Pollock, Rauschenberg e Rothko. Di ognuno di loro ho preso la gestualità e l’intenzione piu’ profonda e le ho portate in musica secondo la mia sensibilità. Di Pollock il gesto ampio, veloce, istintivo. Sua e’ anche la frase che da il titolo al cd, nuovi bisogni hanno bisogno di nuove tecniche ed e’ proprio quello che attuo in questo lavoro, nuove tecniche chitarristiche e musicali che mi fanno andare oltre ai miei abituali schemi. Di Rauschenberg l’immediatezza dell’opera e la sua non replicabilità oltre all’uso di materiali “poveri” e di uso comune che applicava alle sue tele, materiali che uso anch’io nelle tracce dedicate al suo lavoro, una radiolina, un ventilatore, oggetti vari ed improbabili presi dal quotidiano. Di Rothko infine la grande profondità e complessità della sua pittura, apparentemente semplice, uno o al massimo due colori per quadro ma che se visti da vicino iniziano a vibrare ed a modificarsi in mille sfumature proprio come fossero un’orchestra che si svela a poco a poco in tutta la sua ricchezza sonora. Le tracce denominate PO corrispondono ai Pollock, le Ra ai Rauschenberg e le RO ai Rothko. Per quanto riguarda il titolo…quali sono i Needs…rifiuto di ciò’ che e’ ovvio e stabilito in anticipo, ricerca continua di nuove ipotesi, di nuove soluzioni, sottrarsi alle definizioni e non perdere mai la capacita’ di sorprendersi… e le Techniques….un avvicinamento ad una concezione totale della chitarra, lo strumento utilizzato nella sua interezza compreso l’utilizzo affascinante dei pedali proprio come se fossero essi stessi uno strumento, il non dimenticare nessuna delle immense possibilità sonore e timbriche che lo strumento e gli effetti ci possono dare…
Come mai hai aspettato così tanto per far uscire un disco solista? Per un musica free di solito il disco solista è tanto un passaggio obbligato quanto una normale situazione creativa, tu ci sei arrivato dopo un lungo percorso con tante collaborazioni…
Penso che suonare con altri musicisti sia soprattutto un modo di far luce dentro se stessi e di difendere la propria “identità” contro forze che tenderebbero a cancellarla. Se riusciamo a mantenerci fedeli a noi stessi anche in condizioni avverse allora la nostra “identità” uscirà da questa prova più chiara e forte. Ma perché ciò avvenga e’ necessario avere coraggio e convinzione e, soprattutto, la certezza di averla un'”identità”. Incidere in solo, inteso come confronto con se stessi, e’ l’occasione per il far nascere o per confermare (nel caso mio) questa consapevolezza e questa certezza. Se quindi la musica muove da un bisogno di conferma della nostra identità anche grazie agli altri, allora tale “identità” deve formarsi prima nel confronto con gli altri e poi nel confronto con se stessi.
“New Needs Need New Techniques” è un progetto sull’improvvisazione ispirata dai lavori di tre grandi artisti: Pollock, Rauschenberg e Rothko. E’ un obbligo chiedersi quale sia il significato dell’improvvisazione nella tua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc? Te lo chiedo perché tu hai anche studi di chitarra classica alle spalle…
Attualmente la musica improvvisata si evidenzia in almeno una delle grandi correnti artistiche (musicali) nelle quali un improvvisatore può collocarsi, una è quella del jazz tradizionale, che va dal mainstream al bebop all’hard bop e via dicendo, un’altra è quella del free, anche slegato dal movimento degli anni Sessanta ma che lo sviluppa, e la terza è quella seguita da molti improvvisatori che arrivano da scuole diverse, come me, come tanti improvvisatori europei, ma anche come quelli appartenenti ad esempio alla scuola di Chicago. In questa ultima corrente si parla di improvvisazione istantanea, creativa, sostanzialmente slegata dalle altre due, cioè dal pensiero mainstream e da quello free. Questa via, secondo me, è quella che oggi l’improvvisazione sta prendendo per cercare di unire la forza creativa e la carica di libertà degli improvvisatori che arrivano dalle piu’ diverse provenienze ed esperienze, non solo dal jazz storico, ma anche dalla classica, dal rock, dal pop, dal folk, dalle arti visive, dall’elettronica, dalla danza, dalla pittura. Diciamo che si sta cercando di sdoganare la parola “improvvisazione” dalla parola “jazz”… Improvvisare non significa solamente lavorare su schemi accordali, com’erano quelli storici del jazz, ma piuttosto è qualcosa di molto, molto più ampio. E questa è una cosa avvincente. Del resto quando un genere viene codificato, il codice sancisce la fine di ogni creatività, perché per stare dentro al “genere” devi sottostare a delle regole e rinunciare alla tua libertà, che è il presupposto della creatività. Questa terza via all’improvvisazione mescola le modalità espressive e tiene fluido il concetto di improvvisazione, cercando di non codificarlo, e con ciò di non imporre alcuno “schema” a chi improvvisa, che si tratti di musicisti, di videomaker, di pittori e via dicendo. Sono sicuro sia una “strada” vincente e da percorrere fino alla fine, ben venga qualsiasi tipo di collaborazione creativa e stimolante.
Qual’è il ruolo dell’errore nella tua visione musicale?
Il concetto di errore nella mia visione musicale non ha mai trovato posto. L’imprecisione, l’estraneo e l’altrove sono invece concetti per me imprescindibili per una sincera improvvisazione. Essere imprecisi permette di sottrarsi alla definizione ed esiste una poetica ben definita dell’imprecisione (penso al concetto base dell’estetica giapponese, il wabi-sabi) dove l’imprecisione non e’ considerata errore ma rifiuto del buon gusto convenzionale o di un’idea stereotipata…l’altrove e l’estraneo come introduzione di un elemento inatteso nel flusso improvvisativo che rimescola le carte e pone la musica nella condizione di muoversi e di sottrarsi a cio’ che e’…l’errore esiste solamente nella mente di chi lo pensa…
Senti,…abbiamo avuto tutti e due il Covid, come ti senti “dopo”? Cosa è cambiato per te? Qual’è secondo te la funzione di un momento di crisi come questo?
Molti vanno via in ambulanza da soli e non rientrano più, e se ne vanno da soli, senza l’affetto dei loro cari. E’ capitato anche a me di andar via in ambulanza da solo, causa covid, senza sapere se fossi piu’ ritornato. Io ho avuto la fortuna di ritornare a casa dopo quattro giorni di isolamento in una stanza d’ospedale, con la porta chiusa che si apriva solo quando i medici venivano a fare le analisi e gli operatori sanitari venivano a pulire la stanza. E poi basta. L’isolamento mi ha spinto a ripensare molti aspetti della vita privata e lavorativa, la mia percezione del mondo, degli affetti, delle persone, dei valori, delle priorita’, delle amicizie dopo quest’esperienza e’ molto cambiata. Ora che sono guarito, ogni giorno pratico questo rituale che penso non abbia bisogno di troppe spiegazioni… In Tibet c’è l’abitudine di capovolgere la tazza del tè prima di andare a dormire. E’ un gesto che simboleggia la fine della giornata e il termine della propria vita. Al mattino il primo pensiero è sono vivo, posso vedere, sentire, fare esperienza, quindi la tazza viene raddrizzata, la mia nuova vita inizia ora e sono pronto a ricevere…
Ultima domanda.. qualche anno fa ho letto un bel libro di Bill Milkowski intitolato “Rockers, Jazzbos and Visionaries”. Carlos Santana a un certo punto gli ha detto: “Some people have talent, some people have vision. And vision is more important then talent, obviously.”…dopo tutti questi anni passati a suonare, a cercare sempre nuovi confini e ad allargare i precedenti…qual’è ora la tua visione?
Ricerca dell’ignoto partendo da fatti noti, portare un messaggio puro e di ispirazione a chi mi ascolta basato sulla mia personale “verità” ed esperienza umana e musicale, crederci…per fare arte in modo originale non e’ necessario sapere cose che nessuno sa, e’ necessario credere in cose in cui pochi credono…