Come opera la chitarra all’interno della Sound Art? “Lava” di Luigi Archetti su #neuguitars #blog

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Luigi Archetti, art & music-news

Lava | Luigi Archetti (bandcamp.com)

Più che un movimento o un genere artistico, con il termine Sound art o arte sonora si intende quella varietà di espressioni e forme artistiche che hanno al centro del loro interesse il suono e l’ascolto. Si tratta di un fenomeno artistico complesso, ramificato e senza confini definiti, la cui straordinaria vitalità risiede nel continuo sconfinamento tra i mondi dell’arte visiva e della pratica musicale.

Utilizzato per la prima volta nel 1983 in occasione della mostra Sound/Art allo Sculpture Center di New York, S. a. è un termine ancora oggi controverso. Per il teorico inglese Christopher Cox è «impossibile da definire univocamente» (Introduzione ad “Audio culture. Readings in modern music”, 2004); per altri ancora è «ambiguo» (C. Kelly, Introduzione a “Sound. Documents of contemporary art”, 2011) perché comprende sia opere d’arte situate in gallerie e musei sia pratiche musicali contemporanee: performance, sculture e installazioni, interventi di arte pubblica, video e film d’artista, ma anche tutte le forme performative dell’arte e della musica elettronica.

Non è tutto oro quello che luccica. La sua accresciuta visibilità dà luogo spesso a equivoci e a manifestazioni di dubbia fattura in cui lo scambio tra visivo/plastico e suono appare didascalico, illustrativo e strumentale. Il fraintendimento è che basti affiancare un suono a una presenza visiva per creare un’installazione “di tendenza”, aggiungendo un elemento esotico all’interno delle arti visive, o un aspetto visivo nella composizione musicale, conducendo a forzature spesso spiacevoli, con il pericolo di scivoloni creativi dovuti all’ignoranza reciproca tra le parti. Non basta citare o sincronizzare tra loro i mezzi e le forme del suono e dell’immagine per rientrare nell’ambito della Sound Art.

L’ultimo doppio cd di Luigi Archetti, “Lava” sembra muoversi in direzioni ben diverse da quelle sopra indicate, suggerendo molteplici approcci interpretativi. Luigi Archetti, nato in Italia (1955) ma cresciuto in Svizzera (dal 1965), è un artista specializzato in musica di confine che rasenta l’ambient, il droning e il microtonale. Questo suo ultimo lavoro è composto da 25 tracce, 25 frammenti audio ottenuti dalla manipolazione del suono di diverse chitarre. Ho sempre trovato molto interessante il ruolo dei frammenti. Come schegge fotografiche ci indicano un modo per afferrare una totalità, una visione più completa e complessa che rimane nascosta nei frammenti stessi e negli spazi che li circondano e li collegano. In questo caso diventa necessario parlare di stile utilizzando delle metafore, utilizzando i frammenti come metafore stesse. Archetti ne fa un uso molto intelligente e subdolo, perché l’ascolto di un frammento presuppone un bagaglio di conoscenze ed esperienze, non note all’autore, che permettono all’ascoltatore di crearsi una propria visione, sottili ammiccamenti subliminali che indirizzano verso percorsi e direzioni difficilmente prevedibili. Un atteggiamento decadente nel senso che tutto ciò che si ha alle spalle permette di procedere per allusioni e commenti, senza dover essere espliciti.

In modo altrettanto decadente e subdolo anch’io ci sono cascato, anch’io ho deciso, implicitamente di stare al gioco. Mi è bastato intuire che forse quei suoni potevano essere stati generati da una chitarra e ho continuato ad ascoltare, a collegare, a moltiplicare. Questo perché la prima separazione del suono dalla musica, operata dalla sound art, può portare qualcuno a cadere sotto l’incantesimo del suono di una corda di chitarra suonata a vuoto, lasciandolo completamente soddisfatto. Altri potrebbero sentire il bisogno di restituire quella corda a uno strumento e inserirlo in una sorta di costellazione che organizza i suoni nello spazio. Se quella corda, se quell’accordo, sono adeguatamente attraenti, a una mente esercitata può suggerire che il suono sia sposato con quello strumento e che cosa questo significhi in un senso sociale più ampio. È del tutto possibile che l’assenza dello strumento chitarra o più precisamente il suono della chitarra, porti a fantasticare sul fatto che i suoni abbiano una vita propria e se si perdano l’un l’altro quando se ne vanno. Questo di solito porta a cercare un suono che non è un suono, che nella sua mancanza di solidità implica tutti i suoni; l’universo di Borges da dove tutti siamo partiti. Dipende tutto dal suo creatore, dalla sua abilità semantica e da noi ascoltatori, dalla nostra capacità di metterci in gioco, perché quando guardi il suono, potresti chiederti se è suono o è arte, tornando sempre esattamente al punto di partenza.

Forse aveva ragione Morton Feldman: “Ora che le cose sono tanto semplici, c’è tanto da fare.”