E se i fantasmi ci portassero il futuro? “Phantasma-goria” by The Eivind Aarset 4-tet su #neuguitars #blog
Avete paura dei fantasmi? Io, un po’. Non che ne abbia mai incontrato qualcuno, ma mi inquietano. Sanno di morte, di cose passate, di esistenze concluse. Nulla di confortevole. Quando penso alla parola “haunting” (infestazione), penso immediatamente a quelle grandi e vecchie case spaventose che si trovano in qualche città abbandonata e sconosciuta, e a quella strana sensazione che a volte si può provare quando si pensa di essere soli, ma si intuisce di non esserlo completamente. La nostra società è stata costruita sull’idea che il tempo sia una progressione lineare, che siamo in continua evoluzione e che sviluppiamo i nostri modi di vivere e creare in una forma progressiva. Il concetto di “Hauntology”, invece, abbina le parole “ontology” e “haunting”, suggerendo un’alternativa inquietante: che, forse, il tempo è qualcosa di meno unidimensionale di quanto crediamo e che passato, presente e futuro possano convivere attraverso gli atti di riciclo e ripetizione. Hauntology suggerisce l’idea che il passato, in tutte le sue forme, ci perseguiti come uno spettro inquietante che vive attraverso il presente e il futuro della nostra cultura. Vediamo molto di questo nelle nostre sfere politiche e culturali, con questioni simili, sollevate secolo dopo secolo con risposte e figure al potere altrettanto simili. Mark Fisher ha esplorato questi ambiti passando attraverso a una profonda relazione tra esperienza culturale ed esperienza personale, attingendo alle sue lotte contro la depressione e collegando magnificamente i due aspetti analizzando il desiderio collettivo della nostra società per il passato. Sono sicuro che la frase “si stava meglio quando si stava peggio” siaè entrata nelle nostre menti e nei nostri discorsi sia per quanto riguarda le nostre esperienze personali, sia per quel desiderio per ciò che una volta era e che continua a perseguitarci, in particolare con il progresso della tecnologia.
Nel mondo sonoro tutto ciò si esprime con il riemergere di vinili e nastri, cosa che Fisher descrive come “un desiderio per il passato… siamo costantemente in lutto per qualcosa che non esiste e stiamo tentando un futuro che non esiste neanche…” ( 2012). I musicisti associati alla Hauntology erano permeati da una travolgente malinconia e si preoccupavano per il modo in cui la tecnologia materializzava la memoria – da qui il fascino per la televisione, il vinile, l’audiocassetta e per i suoni di legate a queste tecnologie in abbandono. Se prendiamo questa spiegazione e la applichiamo all’epoca in cui ci troviamo, un’epoca in cui possiamo scambiare tonnellate di musica digitale in una manciata di secondi, possiamo vedere come l’aumento vertiginoso delle vendite per le copie fisiche e per gli LP dimostri la veridicità di queste idee. Chi si è occupato di Hauntology considerava questo intreccio di passato, presente e futuro come uno “spettro” o un “fantasma”. E questi fantasmi non erano poi così tanto amichevoli. Eivind Aarset gioca elegantemente con queste semantiche, intitolando il suo ultimo album col titolo di “Phantasma-goria”. Ci gioca perché attinge non solo alla hauntology, ma anche a una vecchia forma di tecnologia e di rappresentazione: la fantasmagoria era una forma di teatro che usava una versione modificata della lanterna magica per proiettare immagini spaventose come scheletri, demoni e fantasmi su muri, fumo o schermi semi-trasparenti, spesso da dietro lo schermo. La maneggevolezza rendeva possibili effetti come l’ingrandimento e il rimpicciolimento dei personaggi e, usando più dispositivi, si poteva passare anche da un’immagine ad un’altra molto velocemente, creando un effetto “montaggio” in tempo reale. Una tecnica, una tecnologia del passato che viene ripresa nel presente dove “Phantasma-goria” diventa un collage panstilistico, una musica globale ad alto impatto emotivo, un nastro composto di tanti frammenti di stili diversi che, modificati elettronicamente, si autofagocitano tra loro. Una sonata immaginaria di musica impossibile, di musica portata dal futuro dai fantasmi.
“Panthasma-goria” inganna le orecchie con i suoi flussi concentrati di informazioni, mentre i suoni rifuggono i loro corpi acustici e mutano sembianze per assumere la stessa densità delle immagini proiettate dalla fantasmagoria su superfici fatte di fumo. Anche lo spazio coagula e si ripiega , alterando la propria densità, alterando le prospettive in modo che i suoni arrivino frammentati e liquidi. La musica è architettura, le costruzioni vanno verso l’alto, in strutture verticali, stratificate. Eivind Aarset è da sempre indicato come un maestro nell’uso dei pedali e degli effetti per la sua chitarra. In “Panthasma-goria” gli effetti dissolvono le gerarchie connettendo gli strumenti gli uni agli altri in un circuito camaleontico, che genera nuove trame sofisticate. Gli effetti trasformano gli strumenti in protesi acustiche, estensioni audio, ibridi innestati, una ecologia elettronica dove l’input di uno strumento è l’output di un altro. La distinzione tra ‘musica reale’ e effetti sonori collassa in un flusso di suoni, in una corrente che cambia forma e direzione in continuazione. Il suono è separato dalla sua sorgente e i fantasmi ne sono i portatori. “Panthasma-goria” suggerisce, quindi, anche un uso della tecnologia che persegue scopi diversi per i quali gli effetti e i pedali erano stati creati: da semplici generatori di nuove sonorità gli effetti inaugurano un’era alchemica, una scienza di sintesi non lineare, dove chi controlla gli effetti controlla i mezzi di trasmutazione del suono. Un uso alternativo, semiotico della tecnologia che, credo, piacerebbe a William Gibson. Questi suoni sembrano rispondere e soddisfare quella parte di me che ha sempre respinto l’angoscia e la depressione impliciti nella “hauntology”. La musica di “Panthasma-goria” non è né angosciante né oppressiva, semmai confortevole. I fantasmi che viaggiano sugli strumenti del The Eivind Aarset 4-tet sono portatori di un messaggio positivo e stimolante, ti spingono verso una musica ‘immersiva’ che non ha altro desiderio se non di accogliere. Dategli una possibilità. Accoglieteli.
“That’s what I think art is about, when it’s not boring, it’s the allowing of ghosts to come back.” – Jaques Derrida, 1993
The Eivind Aarset 4-tet:
Wetle Holte — Drums / Percussion / Metallophone. Drum Programming / Mellotron on Outbound (or) Stubb1 / Organ on Manta Ray (or) Soft Spot.
Erland Dahlen — Drums / Percussion / Logdrum /Vibraphone. Drum Programming on
Soft Grey Ghosts (or)Twilight Chamber.
Audun Erlien — Bass. Casio Synth on Intoxication.
Eivind Aarset — Guitar / Electronics / Edits.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Guests —
Arve Henriksen — Trumpets on Manta Ray (or) Soft Spot.
Jan Bang — Samples on Manta Ray (or) Soft Spot, Didn’t See This One Coming & Soft
Grey Ghosts (or) Twilight Chamber.
John Derek Bishop — Field Recordings & Treatments on Manta Ray (or) Soft Spot & Light on Sanzu River (or) Dreaming of a Boat.
