Jon Lipscomb and Teis Semey…libere ibridazioni dal Nord su #neuguitars #blog
Music | Jon Lipscomb (bandcamp.com)
The Invisible Party – Shumankind – Chant Records
Mean Mean Machine | Teis Semey
Music | Teis Semey (bandcamp.com)
Vorrei riflettere con voi su due aspetti: primo, come il free jazz continui ad essere uno dei generi più suscettibili di contini innovazioni e cambiamenti, secondo, come gran parte delle musiche più interessanti ci continui ad arrivare dal Nord Europa. Partiamo dal Free Jazz. Se l’improvvisazione è un gioco in cui la mente gioca con se stessa, in cui un’idea può entrare in gioco per essere utilizzata per brevi piacevoli momenti prima di essere sostituita da un’altra idea e in cui un riflesso involontario, un errore, una nota sbagliata, il momentaneo affiorare di un impulso inconscio, normalmente tenuto nascosto, tutto, tutto questo può diventare fonte di ispirazione, allora credo diventi impossibile definire i limiti estetici di questo genere.
Negli anni Sessanta, nei circoli radicali del movimento “free jazz”, la libertà era un concetto etico e politico, oltre che estetico. La musica “free” non era semplicemente una moda dei tempi, e non solo una forma di intrattenimento. Si sentiva anche connesso con molti movimenti politici che a quel tempo si proponevano di cambiare il mondo, in questo caso, a liberare il mondo dalla tirannia di forme tradizionali, considerate come superate. La libera improvvisazione era vista come la possibile base per una nuova forma di comunicazione universale, attraverso la comunicazione non verbale, in grado di collegare musicisti improvvisatori di diverse tradizioni. In questo la musica “free” ha avuto un indiscutibile successo, uscendo dai confini afro-americani e diventando un modello per musicisti provenienti da altre culture e tradizioni, ibridandosi con queste e, come un virus benigno, impollinando e creando nuove forme laterali, mutando in continuazione, evitando una letale cristallizzazione estetica. Ne volete qualche esempio? Parliamo allora di Jon Lipscomb e Teis Semey. Jon Lipscomb è un chitarrista, improvvisatore e tecnico del suono, con sede a Malmö, in Svezia. Lavora prevalentemente negli ambiti della free improvisation, rock e noise. Si è esibito negli Stati Uniti e in Europa e ha collaborato e improvvisato con Brandon Lopez, Jarrett Gilgore, Anders Lindsjö, Wendel Patrick, Ole Mofjell, Jaimie Branch, Ian McColm, Amirtha Kidambi, Dave Treut, Anais Blondet, Jason Nazary, Sam Weinberg, Andrew Smiley, Luke Stewart, Zach Rowden, Lea Kurt Kotheimer, Sam Ospovat, Chris Pistiokios, Nick Jozwiak, Ola Rubin e Anders Uddeskog. I progetti includono Loplop, The Invisible Party, Pantagruelian Quintet, Swedish Fix, Lipscomb Quartet, Whoarfrost, Reina Terror, Windhorse, Start Again Ensemble.
Parliamo di “Shuman Kind” (2017), disco di debutto di The Invisible Party, trio di improvvisatori ad alto impatto sonoro, composto con Kurt Kotheimer (Bass) e Dave Treut (Drums). Si tratta di un trio che gioca solo in attacco, un attacco a tre punte basato su schizzi di spontaneità, frasi fuori luogo, energia free e gioia scomposta. I The Invisible Party sono bravi, hanno uno splendido interplay e di pongono su quel confine labile tra il rock, l’improvvisazione e una musicalità che sa dimenticare , al momento opportuno, la tecnica, a favore di una grande energia e desiderio.
Lipscomb mantiene queste caratteristiche anche quando suona in solo, come si può ascoltare in “Solo Guitar Improvisations Vol. 1” (2016), dove l’energia si fonde in un amalgama fatto di distorsione, tensione e logica schizofrenia.
Elementi che ritroviamo anche in “Soup For My Family” (2020), con un equilibrio perfetto tra intensità, potenza e suono puro. Tra il gotico e il barocco.
Teis Semey è cresciuto nella campagna danese e nella città industriale di Malm̈o. Dopo aver superato una giovinezza difficile grazie alla musica, ha deciso, saggiamente, di dedicare ad essa la sua vita, con risultati più che onorevoli. Dopo aver studiato a Malm̈o, Stoccolma, Amsterdam e Los Angeles, ora vive ad Amsterdam e nel 2021 ha pubblicato il suo terzo album, “Mean Mean Machine”, come band leader del Teis Semey Quintet.
Se Lipscomb è più sperimentale e radicale, Semey esplora di tutto, dal punk, al free, al indie rock. Musica difficile da posizionare, ma non per questo meno eccitante. Il quintetto mostra grande interplay e affiatamento, esprimendo alla grande il proprio potenziale e scatenandosi su melodie e ritmi non ortodossi.
Credo che sia Lipscomb che Semey siano l’espressione attuale di una nuova cultura audio, emersa alla fine del XX secolo, una cultura di musicisti, compositori, improvvisatori, artisti del suono, studiosi e ascoltatori attenti alla sostanza sonora, all’ascolto e alle possibilità creative della registrazione, riproduzione e trasmissione del suono. Le loro musiche sono il risultato di una costellazione di fenomeni distinti ma interconnessi, di un nuovo tipo di alfabetizzazione sonora post-moderna, di storia e di gestione della memoria. Allo stesso tempo rappresentano il dramma delle utopie: come si può cambiare il mondo se questo cambia in continuazione? Se ogni regola di mutamento non riesce a passare una severa revisione? Le combinazioni, come Lipscomb e Semey dimostrano, sono una miriade e le fertilizzazioni incrociate sono tuttora in corso. Li tengo d’occhio.