Nuvole, zoologia, riverberi e strutture trasparenti: Cirrus di Manuel Mota, Headlights, 2021 su #neuguitars #blog #ManuelMota
Cirrus | Manuel Mota (bandcamp.com)
HEADLIGHTS: MANUEL MOTA “CIRRUS” CDH35 (headlightsrecordings.blogspot.com)
“Improvisation enjoys the curious distinction of being both the most widely practised of all musical activities and the least acknowledged and understood. While it is today present in almost every area of music, there is an almost total absence of information about it. Perhaps this is inevitable, even appropriate. Improvisation is always changing and adjusting, never fixed, too elusive for analysis and precise description; essentially non-academic. And, more than that, any attempt to describe improvisation must be, in some respects, a misrepresentation, for there is something central to the spirit of voluntary improvisation which is opposed to the aims and contradicts the idea of documentation.”
Derek Bailey, Improvisation Its Nature and Practice in Music, Da Capo Press, 1993, pag. ix
Manuel Mota (1970) è un chitarrista portoghese, noto per il vocabolario personale che ha sviluppato attorno alla sua chitarra. Brillante improvvisatore e scrupoloso sperimentatore, la sua musica è caratterizzata dall’assenza di ogni confine tra creazione-composizione ed esecuzione strumentale, traendo ispirazione da una moltitudine di riferimenti vagamente postmoderni, che danno alla sua poetica un curioso senso atemporale. Poco conosciuto al di fuori di una stretta ricerca di appassionati, sembra non voler fare molto per uscire da una sorta di semi-clandestinità, che alla fine sembra essere un elemento caratterizzante del suo lavoro, assieme a una semplicità disadorna , la povertà dei supporti di registrazione e la scrupolosa attenzione con cui cura, in ogni dettaglio, ogni sua uscita discografica.

Il 14 dicembre 2021 è uscito questo nuovo cd, “Cirrus”, per la sua casa discografica indipendente Headlights, con un’edizione limitata di sole 100 copie. Questo è il suo ottavo album che compro; Ammiro la tenacia e la poetica di Manuel Mota, non esito a definirmi un suo fan e aspetto sempre con impazienza ogni nuova uscita. Negli anni Mota è riuscita a costruire un rigoroso percorso di sviluppo e crescita personale; la musica, per lui, non sembra essere una carriera professionale quanto il necessario complemento della sua vita, una sorta di percorso filosofico, di sviluppo creativo personale. Quest’ultimo album, “Cirrus”, non fa eccezione. Il titolo si riferisce sia a fattori meteorologici che zoologici. L’enciclpopedia Treccani definisce il cirro in questi due modi:
1) …Nube bianca, di struttura fibrosa, trasparente, di varia forma. I c. precedono spesso il fronte di una zona ciclonica e sono costituiti di sottili aghi di ghiaccio; sono nubi alte (quota media 9000 m) e le loro forme ritorte e arricciate sono dovute ai forti venti dell’alta troposfera.
2) …Organi di movimento localizzati sulla faccia ventrale dei Ciliati Ipotrichi; grossi e appuntiti, costituiti da pennelli di ciglia agglutinate, si muovono come vere zampette. Corte appendici tentacolari inserite sui parapodi degli Anellidi, che possono funzionare come organi tattili o essere trasformate in branchie arborescenti o assumere, come accade nelle specie natanti, la forma di membrane foliacee o, come in quelle reptanti, di scaglie dorsali...

La musica di “Cirrus” ha una natura impalpabile, microscopica ed eterea, caratterizzata da un uso marcato, quasi artificiale del riverbero. Ho spesso e volentieri accostato la figura musicale di Mota a quella di designer o architetto, professione che credo svolga nella sua quotidianità. Ho la sensazione che crei la sua musica come un designer può creare le sue immagini, disegnando tratti veloci, leggeri e veloci con una matita morbida, un segno qui, uno là… non si capisce cosa sta emergendo dal foglio… un altro segno… un’altra nota, un altro suono… lo spazio bianco del foglio, come il silenzio, si riempie di forme, strutture fino alla forma finale, dove il segno resta il protagonista indiscusso. I suoi album mi ricordano i giardini giapponesi, dove ti rendi conto che il lavoro dell’uomo esiste, ma dove l’ideale dell’artista è ricreare la natura con delicatezza e semplicità, senza essere visto o ricordato. Nella musica di Mota non ci sono linee rette, né geometrie; o sì, c’è una geometria intima, non euclidea e sottile, che arriva prima all’anima e poi alla mente. Come in un giardino giapponese, tutto sembra irregolare, disposto a caso, ma entrando in “Cirrus” si nota un’armonia d’insieme che ti colpisce profondamente. “Cirrus è un mondo fatto di segni. Mota è così. Note sparse su uno sfondo di silenzio, qualcosa di molto minimale e persino intimo, una conversazione lunga, lenta, non verbale con l’ascoltatore. La sua musica richiede attenzione e concentrazione, iniziamo ad aspettare la prossima nota, la prossima frase musicale. Hai quasi paura di perderlo, con quel riverbero quasi rudimentale e artificiale che dilata e comprime lo spazio. Minimale, ma anche molto severo. Una struttura per lo più assente e che si scopre poco a poco, ma solo con grande attenzione; niente è dato, niente è esplicito. Sicuramente Mota sa quello che fa e lo fa benissimo, qui nulla è lasciato al caso e questo tipo di improvvisazione è sintomo di un’ottima preparazione e studio, un lavoro in cui l’intenzione è appena percepita. “Cirrus” è un’opera umile, raffinata, civile, lontana dal frastuono, dalla folla, dall’odore del pubblico.