Quattro pezzi per chitarra di Ennio Morricone
Siamo nel 1957 e Morricone compone questi Quattro pezzi per chitarra, un opera direttamente collegata con il serialismo e con le musiche che in quegli anni Darmstadt stava cominciando a proporre al mondo. Per chi è legato alle musiche per i film di Sergio Leone o alle eleganti soluzioni ideate dal Maestro italiano per le centinaia di colonne sonore da lui composte nel corso di una decennale brillante carriera, questi Pezzi possono rappresentare un cocente delusione: il Morricone delle colonne sonore di Sergio Leone, da loro desiderato e amato non abita qui. Mi sono mosso alla ricerca di loro interpretazioni e ne ho trovate soltanto cinque, cinque dischi soltanto.
Il primo disco del 1985 è un doppio disco di vinile, titolo “Ennio Morricone Musiche da Camera”, prodotto da RCA Red Seal, in Italia, alla chitarra il Maestro Bruno Battisti D’Amario. Questa prima edizione è davvero splendida, un doppio LP perfettamente curato nella grafica e nelle note, con due splendidi saggi, in italiano e inglese, di Sergio Miceli, musicologo e grande esperto di Morricone e delle musiche da film.
Il secondo disco è del 1988 si intitola “Ennio Morricone Chamber Music”, uscito nel 1988 e i cui interpreti sono sconosciuti, non essendo indicati nelle note né del disco in vinile né del cd, prodotto dalla Virgin Records.
La terza edizione è opera invece di uno dei giganti della chitarra classica italiana, il Maestro Stefano Grondona, grandissimo interprete e concertista che inserisce le musiche di Morricone nell’ambito più generale di altri capolavori delle letteratura chitarristica del Novecento come la Sonata di Antonio José, la Suite di Ernst Krenek, la Cavatina di Tansman, i Quatre pieces breves di Frank Martin, nel suo disco uscito nel 1995 “Novecento”.
La quarta opera è del chitarrista italiano Stefano Cardi presente nel cd del 1997 “Ennio Morricone percorsi 2” uscito per la Editrice New Sounds e allegato alla rivista “New Age Music & New Sounds”.
L’ultima interpretazione di cui ho trovato traccia appartiene al chitarrista italiano Albert Mesirca e si trova nel suo cd “Free Guitar on Earth Contemporary Italian Music for Guitar”, uscito nel 2020 per Da Vinci Classic. Poi più nulla, questi pezzi così complessi e affascinanti non sembrano davvero interessare i musicisti di estrazione classica, per cui erano stati composti.
Questi Quattro pezzi per chitarra rappresentano con forte evidenza uno degli aspetti più complessi della musica del ‘900: il rapporto tra il compositore, il pubblico e il suono. Il compositore del ‘900 non si limita a scrivere per lo strumento, egli plasma la sua musica intorno ad alcune potenzialità sonore ch’egli ha intuito e che cerca di far emergere. La musica per chitarra del ‘900, ben al di là dei linguaggi e degli stili di superficie. è animata dalla continua esplorazione delle potenzialità plastiche del suo suono.
Certa musica a volte non vuole significare, non vuole «dire» qualcosa né «raccontare», almeno non nel senso della nostra tradizione occidentale. Rimane un linguaggio in quanto codice creato dal compositore, poiché con i nostri sensi percepiamo unità codificate che siamo spinti a decodificare per via delle nostre abitudini, ma è un linguaggio ogni volta diverso, che cambia da compositore a compositore, e quindi condiviso con pochi. Eppure questo aspetto così importante e radicale, anche da punto di vista storico, solo di rado emerge durante l’esecuzione: il più delle volte il chitarrista è assorbito nello sforzo di mettere in rilievo i tratti stilistici principali, di ricomporre i moduli linguistici, di rendere la tonalità emotiva del brano. Tutto questo lavoro non serve ad altro che a riconfermare quanto già sapevamo di quel pezzo.
Penso che invece un’interpretazione veramente autentica debba saper sfondare queste sovrastrutture, per andare dritto al nucleo generatore del pezzo, per ritrovare l’intuizione che il compositore ha avuto della fisicità del suono e il modo in cui egli ha voluto tradurre quest’esperienza in linguaggio musicale. Un approccio di questo tipo ci permette di vedere l’opera che credevamo di conoscere in una luce completamente nuova e di mettere in luce nuove relazioni con altri brani e all’interno della storia di quel periodo. Dicevamo che i Quattro pezzi per chitarra sono stati composti nel 1957 e dimostrano la volontà del Maestro Morricone di andare oltre ai messaggi e agli insegnamenti di Darmstadt. Esprimono il bisogno del musicista di superare il linguaggio neoclassico, di riscoprire la tradizione baroccca, di superare gli archetipi compositivi dello strumento.
Scrive Sergio Miceli nel saggio che accompagna la prima edizione discografica dei Quattro Studi: “In altre parole, Morricone intende qui «riscoprire- la tradizione – essenzialmente nei suoi principi costruttivi – e «scoprire» il mezzo scelto per la realizzazione di quei principi. Per questo la chitarra risulta a tratti come restituita alla sua origine più arcaica, «depurata» di buona parte dei suoi tradizionali «automatismi» – portamenti, trilli, arpeggi . . . – con i quali la composizione rischierebbe d’essere attratta suo malgrado nell’ambito dell’esotismo più stereotipo. Eppure questa sorvegliata rinuncia nei confronti di tutto quanto possa apparire facilmente databile, questo diniego verso formule espressive fortemente dotate di potere referente – quindi già «possedute» da altri, non più visibili e godibili – non conducono ad un risultato d’astrazione impersonale e di estraneità. Che si tratti di un «discorso» interiorizzato (come nel III pezzo), oppure che l’impegno del comunicare si traduca di conseguenza in una scrittura che richiederà all’interprete notevoli doti virtuosistiche (il virtuosismo come mezzo, non come fine – è il caso del Il pezzo in particolare), questi Quattro pezzi sanno trasmettere all’ascoltatore ben definite visioni poetiche. In esse i contrasti dinamici, le note ribattute o le successioni di suoni isolati, distanti l’uno dall’altro (in una distanza interiorizzata, nutrita non solo d’intervalli e pause – si ascolti il IV pezzo) costituiscono le pietre miliari di un nitido itinerario. Un itinerario capace di condurre in una dimensione in cui suono «mentale» -l’idealizzazione del pensiero compositivo – e vibrazioni fisiche – il concretizzarsi della scrittura – sembrano in grado, per un attimo di compiere il raro miracolo della identificazione.”
Ennio Morricone se ne è andato il 6 giugno 2020 e, nel frattempo, è iniziata sia la corsa alla beatificazione mediatica che alla sua “riscoperta” da parte dei musicisti classici che, spesso e volentieri, si sono gettati sulle trascrizioni per chitarra delle sue colonne sonore più famose. Bene. Questi cinque dischi mettono in luce un aspetto spesso volutamente dimenticato di Ennio Morricone e spesso ignorato da questi chitarristi più inclini, per motivi di soddisfazione del pubblico, a orientarsi verso i percorsi della carriera filmica di Morricone. Spero che i Quattro Pezzi per Chitarra vengano presto riscoperti e inclusi nei recital e nei percorsi della chitarra contemporanea.