John Scofield in solo, solitudine e stile tardo su #Neuguitars #blog #JohnScofield

John Scofield in solo, solitudine e stile tardo su #Neuguitars #blog #JohnScofield

Ammetto che questo non me lo sarei aspettato, ma come? Il chitarrista più gregario di tutti i tempi che decide di far uscire un album in solo, a settant’anni! Questo album, senza titolo, o forse chiamato col suo nome, potrebbe rimanere un caso unico nella sua storia di improvvisatore: solo qui, infatti, lo si può sentire suonare in solo una musica intimista, complessa e delicata. Un pugno di brani, 13 per la precisione, qualche standard, qualche ballata tradizionale, qualche brano personale. Una specie di autobiografia musicale. Scofield è una delle ultime divinità della chitarra jazz. Con una carriera formidabile alle spalle ha suonato tutto e con chiunque, qualunque genere e musica, riuscendo a creare uno stile che lo rende facilmente identificabile e unico.

Se gli improvvisatori sono, di regola, musicalmente gregari, preferendo lavorare con altri musicisti in combinazioni le più svariate, Scofield è l’esempio perfetto di questo desiderio di aggregazione: ha sempre suonato con altre persone, con chiunque, andando dal duo fino alle big band. Credo che ci siano voluti questi anni di Covid-19 per spingerlo verso una direzione così solitaria. Perché questa scelta? Forse voleva sapere se il linguaggio che usava era completo? Se poteva fornirgli tutto quello che voleva? O forse voleva ritornare sui suoi passi, rileggendo e rinvigorendo il suo background musicale? O forse solo il piacere di ripercorrere una così brillante carriera in solo, condensandola in un album così personale e inatteso. Oppure, un esempio di stile tardo? Non sarebbe una cosa così strana, in questo tempo alterato, in cui il presente viene messo in ombra da altre stagioni: il passato che rivive o svanisce, il futuro incommensurabile, il tempo oltre il tempo. Sentire le cose in questo modo significa concepire una persona come un incrocio, il tempo come un corpo, le idee come oggetti grezzi e continuamente migliorabili. In questi momenti si raggiungono, forse, le condizioni necessarie per lo speciale senso di tardività di cui è impregnato questo album. Una tardività fatta non solo di armonia e risoluzione, ma anche di intransigenza, di difficoltà e contraddizioni irrisolte? Per uno strano senso di sospensione l’album di Scofield è dentro al presente, ma ne è separato in modo strano. Quest’album è, in un certo senso, “destabilizzante” perché sostituisce un altro tempo al presente brutale. Un mondo leggero, nella sua libertà dalle pressioni e dalle preoccupazioni quotidiane, e nella sua apparentemente illimitata capacità di auto-indulgenza e divertimento. Il divertimento come una forma di resistenza.

Individuare un tempo retrospettivo significa fondare un progetto (o un esperimento) sempre soggetto a revisione. Inizi di questo genere comportano necessariamente un’intenzione che è soddisfatta, totalmente o in parte, oppure che, magari in un tempo successivo, lascia ancora spazio a margini di desiderio o di fallimento. Si diventa più saggi con l’età? E’ vero che grazie all’età, gli artisti acquisiscono qualità eccezionali di percezione e forma? Quest’album implica una produttività deliberatamente improduttiva, quasi fine a se stessa, un circuito chiuso, in grado di sopravvivere a ciò che è accettabile e normale. Quasi una sorta di auto-esilio dalla normale consuetudine, da ciò che viene dopo di essa. Un musicista esperto come Scofield è sicuramente conscio di questi limiti, del rischio di una ripetizione sclerotizzata di linguaggi già adoperati in passato, dell’uso limitato di un vocabolario personale. La solitudine, invece, diventa una scusa per ricostruire questo vocabolario e per ampliarlo, nel lungo periodo passato senza fare concerti, nel lockdown. Forse ha cercato del materiale che fosse adatto alle sue forme improvvisative e che le potessero anche facilitare. Scofield ha saputo resistere alla facile tentazione di ricorrere a procedure provate e certe, a quello stile ricorsivo, auto-indulgente più gradevole al pubblico. Ecco perché parlo di produttività deliberamente improduttiva: Scofield ha voluto cercare un cambiamento fine a se stesso. Un cambiamento che ha come fine i benefici che il cambiamento stesso può apportare. A settant’anni, vi sembra poco?