
Le olimpiadi di John Zorn, i “game pieces” alla massima potenza su #neuguitars #blog #JohnZorn
“I never specifically told anyone anything. I set up rules where they could tell each other when to play. It’s a pretty democratic process. I really don’t have any control over how long the piece is, or what happens in it.” John Zorn in Talking Music, William Duckworth, Da Capo Press, 1999, pag. 462
Facciamo un passo indietro, siamo nel 2015, praticamente un’altra era geologica, e la Tzadik fa uscire un cd dal titolo interessante “John Zorn’s Olympiad volume 1 Dither plays Zorn”, dove il quartetto di chitarre elettriche Dither (di cui ho già parlato diverse volte nel blog) interpreta alcuni game pieces di Zorn, composti prima del suo pezzo più famoso “Cobra”, nella prima metà degli anni 70. Ma cosa sono i “game pieces” Tra il 1974 e il 1992 Zorn diede vita a una trentina di composizioni del tutto particolari note anche come game pieces, che rappresentarono la sua personale risposta al principale problema sottostante alle tecniche improvvisative: come dare un’organizzazione all’improvvisazione più radicale e informale, una macro struttura che fosse sufficientemente flessibile da non ingabbiare la creatività, fornendole al contempo quella blanda ma definita architettura di ruoli che consente di coordinare efficacemente un gruppo di improvvisatori.
Traendo spunto dalla musica sperimentale, dalle teorie dei giochi computazionali e in definitiva da come vanno le cose tra gli uomini, Zorn concepì queste composizioni non in termini di metrica, linguaggio, strumentazione o notazione, bensì semplicemente con regole che predisponevano uno scenario di gioco per un gruppo di improvvisatori, la cui inventiva e le cui capacità venivano messe sotto pressione, sfidate dalle limitazioni definite dalla composizione, che, anzi, costituivano la composizione stessa. Il compositore si limitava cioè a fornire una serie di norme di comportamento cui i musicisti dovevano attenersi durante l’improvvisazione, lasciandoli poi del tutto liberi di seguire la propria ispirazione.
“[The game pieces] are like a sport – it’s an exciting thing to see, it’s very visual when all the musicians are making signs at each other, trying to get each other’s attention. With this system, you can give a downbeat and have no idea what’s going to happen…” John Zorn
Oggetto di ispirazione, in gran parte, gli sport, le cui regole di base vengono tradotte in istruzioni scritte su come gli improvvisatori possono interagire tra di loro. Nel 2015 il volume 1 mi aveva fatto ben sperare che una nuova generazione di musicisti, dalla formazione culturale estesa, volesse riprendere queste “composizioni per improvvisatori” dando loro nuova linfa e nuova vita. I Dither avevano fatto un lavoro eccezionale e mi auguravo che altri raccogliessero questa sfida. Così scriveva lo stesso Zorn nel libretto che accompagnava il cd:
“Now, almost 40 years later, a new generation of musicians has appeared who are perfectly suited to execute these challenging and artful composition schooled in improvisation composition and realizing both written music and open forms – musicians who deeply understand the group dinamic of working togheter as a team, which is so crucial in performing these largely community-based compositions.” John Zorn, 2014
I Dither furono il primo team di questa nuova generazione a cui venne affidato il difficile compito di “giocare” ancora queste “composizioni estemporanee”. Interpretarono tre brani: Curling, Hockey e Fencing per otto tracce complessive. A dimostrazione infatti delle possibilità offerte da queste strutture aperte, tutti i brani sono stati registrati due o tre volte; una prova tangibile dell’ampio ambito di opzioni e di scelte disponibili. “John Zorn’s Olympiad volume 1 Dither plays Zorn”
è musica sì impegnativa, ma allo stesso tempo non triste, cupa o …”dry”. C’è un senso di divertimento che aleggia su tutte le musiche e vi prometto che vi divertirete voi stessi a cercare tutte le citazioni e le digressioni musicali che esso contiene. I Dither sono bravissimi e non fanno certo rimpiangere la prima generazione di musicisti che aveva interpretato questi brani quasi 40 anni fa e che potrete ritrovare nell’ottimo cofanetto di cd pubblicato dalla Tzadik nel 1997 e intitolato “The Parachute Years 1977-1980”. Il suo prezzo è quasi triplicato nel corso degli ultimi 10 anni, ma si trova piuttosto facilmente.

Per trovare il seguito al volume 1, ho però dovuto aspettare ben sette anni. Avevo quasi perso le speranze, quando finalmente sul sito web della Tzadik è apparso l’annuncio della pubblicazione per luglio 2022 del cd “John Zorn’s Olympiad – vol. 2 Fencing 1978 “. Visto e comprato, con una leggera delusione. Il secondo volume, infatti, non segue le orme del precedente e vede la pubblicazione di due diverse versioni di “Fencing”, una con Eugene Chadbourne, Duck Baker e Randy Hutton, registrato sabato 29 luglio 1978 al The Theatre Of Musical Optics e l’altra con Chadbourne, Polly Bradfield e lo stesso Zorn, eseguito sabato 5 agosto 1978 al Center For Creative Education, Bard College, Kingston, NY da David Licht, negli anni di formazione del ciclo di studi per chitarra The Book of Heads”, agli albori della scena downtown. Lo sport scelto come riferimento, la scherma. John Brackett, autore del fondamentale John Zorn: Tradition and Transgression, osserva come Fencing giustapponga e sovrapponga generi musicali contrastanti e identificabili, spingendo i giocatori/musicisti a combinare tra loro generi musicali riconoscibili e contrastanti, creando un collage musicale-stilistico.
“Eventually in the game pieces I created sets of rules, like the rules for baseball or football, and the players would interact using those rules. If they followed the rules properly, they could create certain structures and tactics, do whatever they wanted at any time. “You don ‘t want to play? You don’t have to play. If you want to play, here’s the way you go. You want to play with this person? You can do this:’ Some pieces are meant to be ten or fifteen minutes long; some can last a full evening or go on forever. There’s no set beginning, middle, or end, but there are ending cues-you can call them at any time. Some pieces can be for any number of players, some are for three players, some are for any instrumentation, some for a specific instrumentation. Each game piece is like a series of toggle switches-on and off, on and off-with a very complex series of rules that make it challenging. I’ll never be one of those composers who says, “OK, everybody, let’s do a little piece that says ‘Water.”’ 1
Il problema che Zorn deve affrontare in Fencing, come in tutti i suoi game pieces, sembra essere quello che da sempre accompagna chi suona musica improvvisata: per reggere una durata superiore a pochi minuti e per funzionare con un gruppo, una forma che si basa sull’improvvisazione deve contenere una sequenza semplicemente miracolosa di invenzioni estemporanee, che non possono essere preparate a tavolino, o una struttura compositiva che però non sia allo stesso tempo avvertibile nè che possa appesantirla. Allo stesso tempo il compositore deve fare un passo indietro, cedere il ‘monopolio’ della creazione e condividere la struttura aperta da lui creata con altri creativi, al fine di creare, ogni volta, qualcosa di nuovo, condiviso, unico e ripetibile in una nuova forma. Un processo di interazione, esplorazione e elaborazione collettiva, piuttosto che un isolato lampo di ispirazione e di genio.
“The form of Fencing is interesting and worth investigating. Ten short one minute pieces each beginning with the same composed “head” are interrupted by three longer passages of an improvising style called “Fencing” —a layering of opposing ideas on top of one another, not unlike the Ivesian con-cept of three bands playing simultaneously. In the short pieces there is less time for thought and the improvisers react more on instinct—in the longer “Fencing” sections the players are instructed to take more time in making musical choices before playing. The piece is both fun and vexing for the musicians and au-dience alike, and blends the surprise and intensity of improvisation with a unique and flexible game-like structural integrity.” From the cd booklet
Per i chitarristi interessati all’improvvisazione, questo cd è una miniera di idee e di informazioni musicali sul Guitar Trio, una delle rare occasioni in cui poter ascoltare assieme tre outsider come Eugene Chadbourne, Duck Baker e Randy Hutton. Si tratta di musiche molto distanti dalla attuale produzione zorniana, ma non meno interessanti. Un altro aspetto della multiforme creatività dispiegata negli anni da questo improvisatore-compositore, che ancora non smette di stupirci.
1Ann McCutchan The Muse that Sings: Composers Speak about the Creative Process