Intervista con Marco Minà per #neuguitars #blog (Dicembre 2022)
Non avrei mai pensato che la storia della Royal Winter Music fosse così complessa e articolata, leggendo il tuo lungo articolo, ne emerge quasi la sceneggiatura di un “giallo” artistico, una storia che finora era rimasta in ombra e che sembra, allo stesso tempo, perfetta per sintetizzare lo spirito del Novecento: due grandi personalità, una musica incredibile, un compositore e un interprete di altissimo livello, una società completamente diversa da quella attuale, altre questioni economiche. Sarebbe possibile oggi creare una simile narrazione per un nuovo brano per chitarra classica?
Tutto è possibile sempre e comunque. Diciamo innanzitutto che oggi forse non è così semplice avere, fra interprete e compositore, un rapporto così strutturato e complesso come quello intercorso fra Henze e Bream, che avevano in comune amicizie molto significative e condividevano ambienti musicali e culturali. Poi i tempi sono molto cambiati, i rapporti, i comportamenti interpersonali sono profondamente diversi. Infine il miracolo di un grande interprete che chiede a un grande compositore un grande pezzo non è facilmente riproducibile.
Il tuo dettagliato lavoro sulla Royal Winter Music mi ricorda una frase di Umberto Eco a proposito di Luigi Pareyon, che diceva come “ciascuno di noi nasce con una sola idea in testa e per tutta la vita non fa che girarvi attorno”. A prima vista questa sembrerebbe un’idea reazionaria, come se ad approfondire una sola idea non ci fosse sviluppo, cambiamento, mentre invece, nel tempo, non è così. Il tuo lavoro, così dettagliato e appassionato, sembra andare in una direzione ben precisa, svelando non solo nuove possibilità, ma anche un nuovo mondo dietro queste musiche…e pensare che tutto è iniziato con una tesi di laurea, prolungandosi poi nel tempo…
In realtà non è infrequente coltivare una “magnifica ossessione” nella propria vita, sia che si tratti di vita musicale che di altro tipo di esistenza. In effetti provengo da una formazione in cui questo approccio di studio è stato un po’ la caratteristica dominante ma comunque hai ragione, questo lavoro su Henze parte da lontano, da una intuizione. Già ai tempi della laurea all’Università “La Sapienza” la mia ipotesi sulla Royal Winter Music era tutta lì. Avevo avuto modo di studiare e suonare la musica di Henze e di avere tra le mani diverse sue partiture per o con chitarra e le due sonate Royal Winter Music mi lasciavano a tratti perplesso. C’erano effettivamente diverse cose che non mi quadravano sia dal punto di vista analitico-formale che armonico. La scrittura di Henze in questo senso è molto chiara e non lascia scampo. C’è voluto un po’ di tempo ma alla fine è stato possibile fare chiarezza. Diciamo infine che, tutto sommato, ho fatto quello che molti interpreti fanno e cioè entrare nel merito di una partitura andando in profondità. Una operazione che eticamente dobbiamo al compositore, di qualsiasi epoca sia, lasciando poi a nostra volta a chi verrà dopo di noi quelle “nuove possibilità” interpretative di cui parli e frutto del nostro lavoro.
Come è stato frequentare Henze? Nel suo libro “A life on the road”, lo stesso Bream lo definiva come “Above all, Hans is immensely professional, and knows precisely what he’s doing and what the world is doing in relationship to him. He certainly has his finger on the pulse.” La sua capacità di crearsi uno spazio creativo tra la dottrina di Darmstadt e il neoclassicimo conservatore, definendo una terza via per la musica contemporanea sembra già di per sé un fattore di indagine interessante, per la sua musica e la sua personalità.
Conoscere e frequentare Henze è stata indubbiamente una gran fortuna e un gran privilegio. Bream ha perfettamente ragione. Henze era una persona estremamente gentile, curiosa e interessata agli altri. Affatto autocelebrativo, molto autoironico, aveva un reale interesse per le persone, le loro vite, il contesto di appartenenza. Amava molto la convivialità, lo scherzo, il gioco, anche di parole. Pensa che aveva una curiosità per le lingue che lo portava non solo a conoscerne perfettamente diverse, ma addirittura a giocarci. La sua generosità e attenzione verso gli altri si esprimeva anche mettendo in relazione le persone e creando situazioni professionali interessanti, soprattutto per i giovani. Come si dice anche nel documentario “H. W. Henze a Villa La Leprara” che ho girato insieme a Michael Kerstan (che è stato accanto ad Henze dagli anni ’80 e attualmente direttore della Fondazione Henze) che uscirà breve in DVD insieme al CD con la Royal Winter Music, è proprio la sua “umanità” che trapela dalle sue opere, una umanità che ha origine nel suo carattere e nel suo interesse per gli altri come dicevo e per le sorti del mondo. In questo senso anche l’approccio politico di Henze va sottolineato nel quadro della vita del compositore, una caratteristica molto netta del suo carattere e della sua intera esistenza. Nella sua carriera musicale poi, effettivamente sfolgorante, con un catalogo di opere pressoché sterminato, ha attraversato molte fasi sia positive che negative e le sue scelte, non ultimo anche quelle musicali e legate alla autonomia del suo linguaggio, ma anche politiche come dicevamo, sono stata fonte di amarezza e dissidio interiore. Complessivamente però a mio avviso Henze ha saputo navigare nella dimensione del suo tempo con grande equilibrio e saggezza.
Nel tuo articolo scrivi “Dal punto di vista del chitarrista Julian Bream un intervento così significativo poteva risultare più comprensibile: un musicista all’apice della sua carriera, punto di riferimento per i compositori più importanti di quegli anni, figlio di una epoca che, in qualche modo, consentiva e legittimava interventi anche radicali sul testo musicale di cui abbiamo prova nelle revisioni sia di Bream che di altri importanti chitarristi del secolo scorso, in linea con questo approccio storico.” L’atteggiamento di Bream non stupisce quindi. Secondo te è possibile che, attraverso altre ricerche dettagliate come la tua, possano emergere altre versioni e revisioni di altri celebri partiture per chitarra?
In generale pensando ai vari repertori musicali non possiamo certamente escluderlo. D’altra parte nei secoli sono sempre emerse qui e lì partiture nuove, versioni differenti dello stesso brano o copie non del tutto conformi all’originale, e molto altro fortunatamente. Per quanto riguarda nello specifico il repertorio chitarristico è molto probabile. La storia della Royal Winter Music è un esempio a mio avviso lampante. Nei cassetti di molti musicisti credo e spero ci siano opere ancora da scoprire o che nascondono piccoli o grandi segreti e tesori. Anche nel mio cassetto ci sono nuove opere estremamente interessanti pronte per essere pubblicate e eseguite, in questo caso non nascoste ma semplicemente in attesa, quindi immagino che sia così per molti altri musicisti. Questa è una gran fortuna e risorsa, a patto che poi i cassetti si aprano a favore di tutti i musicisti. Indubbiamente è una idea molto stimolante quella di indagare meglio il nostro repertorio, per molti aspetti ce ne sarebbe bisogno e avrebbe l’effetto anche di animare il dibattito musicale di settore.
Alla fine potremmo pensare che il dissidio e la rottura dei rapporti tra Henze e Bream, possa essere dovuto a un diverso modo di contestualizzare il proprio ruolo? Con Bream ancorato a una rappresentazione alla “Segovia” del proprio ruolo di interprete, mentre Henze si vedeva in un contesto già più moderno e cosmopolita? A una diversa visione del ruolo dell’interprete?
In effetti Henze si posizionava di fatto in un altro contesto musicale, certamente più ampio e articolato, non c’è dubbio. Comunque per grandi linee credo le tue ipotesi siano verosimili. Poi, come sempre, le cose sono anche più complesse e talvolta imperscrutabili di quanto non immaginiamo. Il sodalizio fra questi due artisti è stato sicuramente molto intenso. Henze, che aveva un vero e profondo amore per la chitarra, vedeva in Bream l’interprete ideale, capace di coniugare doti strumentali, musicali e culturali in modo affine al proprio. Bream dal canto suo, da quello che emerge dalla sua storia e dalla sua biografia, aveva un istinto imprenditoriale infallibile e una grande capacità di tradurlo in fatti concreti, quindi conoscenze giuste e legami professionali adeguati. Come dicevi prima, questa storia ha anche i tratti del genere letterario del “giallo”, e in effetti durante questo lungo lavoro di studio ho avuto modo occasionalmente di collezionare ricordi e testimonianze, legati a persone che avevano conosciuto e frequentato in quegli anni i due artisti o che avevano seguito professionalmente il rapporto fra Henze e Bream nel periodo della composizione della Royal Winter Music. Da questi ricordi trapela in particolare un tratto della personalità di Bream (peraltro presente anche fra le righe della sua biografia) solitario, talvolta schivo, attento a tutelare sé e la propria attività, considerato in qualche caso un uomo misterioso. Naturalmente parliamo di considerazioni del tutto personali che nulla hanno a che fare poi con il lavoro di studio documentario, ma denotano un aspetto interessante del carattere di Bream, sicuramente in contrasto con la sua immagine pubblica più diffusa, importante però per comprendere meglio ciò che dicevo all’inizio circa la imperscrutabilità degli eventi, delle persone e dei rapporti interpersonali.
La tua revisione della prima sonata e l’incisione del cd con entrambe le sonate sembra aver dato una nuova forma alla Royal Winter Music, una forma quasi di “opera aperta”, in cui l’interprete ora, può muoversi all’interno delle possibilità offerte dalle diverse revisioni disponibili. L’interprete sembra avere ora nuove strade e un campo d’azione più ampio.
Henze apprezzava moltissimo gli interpreti che attraverso la sua musica, ma non solo, cercassero di dire qualcosa di nuovo e stimolante. La possibilità quindi di aprire nuove strade credo proprio rispecchi in pieno la visione henzeana e, d’altra parte, come dicevamo prima, la sua stessa carriera musicale, artistica e la sua storia personale sembrano proprio rigettare qualsiasi ortodossia, soprattutto se imposta dall’esterno. Nella mia revisione in realtà non ho fatto altro che riversare il pensiero originale di Henze attinto dal manoscritto, è tutto lì, pronto per essere compreso ed eseguito. Il mio intervento di revisore è circoscritto a pochissimi punti in cui è stato necessario, ma sono veramente pochi. In altri punti si è trattato di trovare le soluzioni strumentali più adeguate insieme ad una diteggiatura attenta e quanto più possibile utile. L’essenziale è, secondo me, che il musicista abbia di fronte tutto il materiale necessario a consentirgli di formare la propria autonoma e personale interpretazione. Se una nuova edizione di un brano può avere una funzione di questo tipo ed essere al contempo anti-dogmatica a mio avviso è la benvenuta.
La tua decisione di rispettare la volontà di Henze di eseguire il Ritornello sette volte, dall’inizio del pezzo e poi fra ogni singolo movimento, crea nuove dinamiche e un senso di sospensione all’interno della prima sonata, aggiungendo una tensione quasi teatrale, che Henze non poteva aver sottovalutato, quali possono essere i motivi che hanno invece spinto Bream a toglierlo?
Possiamo fare delle supposizioni in questo senso e immaginare che Bream non reputasse il Ritornello interessante come pezzo, oppure che non ne comprendesse o condividesse l’aspetto drammaturgico. Da quanto è emerso dai documenti il chitarrista inglese ha avuto in effetti un approccio molto soggettivo a questa opera. Comunque sia stato hai ragione tu, il Ritornello crea delle dinamiche interne del tutto nuove e teatrali, proprio nel senso che intendeva Henze stesso. In effetti nella mia incisione ho voluto portare avanti questa stessa funzione del Ritornello anche nella seconda sonata in quanto, come sappiamo, il progetto delle due sonate era unitario. In effetti l’aspetto drammaturgico sia teatrale che musicale di questa opera è stato il punto di partenza per la mia interpretazione sin dalle prime esecuzioni. Ho avuto poi la fortuna di suonare la Royal Winter Music diverse volte in presenza di Henze stesso e di discutere in più occasioni con lui i vari aspetti interpretativi che più mi stavano a cuore (in queste occasioni peraltro cercavo di carpire qualcosa in più anche sulla storia di cui oggi possiamo parlare). Ho capito da subito con lui che dovevo lavorare sull’aspetto “dialogico” di questa opera e rifuggire qualsiasi tentazione puramente strumentale o virtuosistica fine a se stessa, mettendo invece “sul palco” questi personaggi. Ho cercato di riversare tutto ciò in questa incisione della Royal Winter Music di cui sono abbastanza contento anche se già mi rendo conto eseguendola in concerto che altre evoluzioni interpretative, sempre nello stesso solco ma diverse, si stanno susseguendo. Ma è giusto che sia così.
Quali pensi possano essere le reazioni a questa nuova pubblicazione?
Io credo positive, sono convinto infatti come ti dicevo, che nell’ambito dei repertori musicali (e ancor di più in quello chitarristico), le novità, le nuove scoperte, nuove edizioni, aprano conseguentemente prospettive e possibilità nuove. In un momento come questo poi, dove abbiamo vissuto e stiamo vivendo un passaggio storico molto problematico che inevitabilmente ricade negativamente sulle arti e la cultura (lo abbiamo visto con la pandemia recente e poi con la guerra Russo-Ucraina) ogni elemento di ripresa del dibattito, di riflessione e confronto è il benvenuto. Questo lavoro di revisione poi è stato curato veramente in ogni dettaglio, credo quindi sarà un ottimo strumento di studio sia per i giovani interpreti, che magari si avvicinano per la prima volta a questo repertorio, che per coloro che invece hanno già eseguito la Royal Winter Music e che avranno uno strumento di confronto in più. Infine Henze è un autore al centro di molti studi accademici e musicologici quindi anche su questo piano la nuova edizione rappresenta uno strumento fondamentale.
Abbiamo assistito alla fine di una amicizia e di un sodalizio artistico, una rottura che entrambi hanno deciso di tenere nascosta scegliendo un signorile distacco, che sensazione ti ha lasciato questa vicenda?
A dire la verità, man mano che entravo nel merito della questione attraverso i documenti che si rendevano gradualmente disponibili, mi sembrava tutto molto adeguato ai personaggi coinvolti e al contesto culturale di appartenenza. Anche qualche piccola reticenza qui e lì nelle memorie di Bream ad esempio, mi sembrava tutto sommato comprensibile e funzionale in relazione al mantenimento di un fair-play fra loro. Questa scelta mi è sembrata adeguata anche nel rispetto delle importanti amicizie comuni la cui posizione non andava esposta e compromessa da un eventuale dissidio fra i due artisti. Benjamin Britten muore nel dicembre del 1976, Peter Pears nel 1986 e William Walton nel 1983, solo per citare alcune di queste amicizie comuni, immagina che spiacevoli conseguenze avrebbe potuto avere l’apertura di una questione di quel genere. Entrambi si sono orientati al meglio per contenere il problema, forse in primis Henze che, dalla ricostruzione documentale, si evince abbia dovuto anche contenere la casa editrice Schott che premeva fortemente per la pubblicazione della prima sonata. Poi certo, in un’epoca come la nostra, fatta di esposizione e ostentazione in ogni campo della società, dal singolo e privato cittadino al politico in carica o all’artista del momento, ecco, tutta questa storia assume un sapore di altri tempi.