Hieme, Via e Lux, la trilogia chitarristica di Manuel Mota, Headlights, 2022 su #neuguitars #blog #ManuelMota
Hieme | Manuel Mota (bandcamp.com)
Via | Manuel Mota (bandcamp.com)
Lux | Manuel Mota (bandcamp.com)
Manuel Mota (1970) è un chitarrista portoghese, noto per il vocabolario personale che ha saputo sviluppare attorno alla sua chitarra. Brillante improvvisatore e scrupoloso sperimentatore, la sua musica è caratterizzata dall’assenza di ogni confine tra creazione, composizione ed esecuzione strumentale, traendo ispirazione da una moltitudine di riferimenti vagamente postmoderni, che danno alla sua poetica un curioso senso atemporale. Personaggio schivo, poco conosciuto al di fuori di una stretta ricerca di appassionati, non ha mai fatto molto per uscire da una sorta di semi-clandestinità, che alla fine sembra essere un elemento caratterizzante del suo lavoro. Da anni continua una tranquilla e metodica attività discografica, caratterizzata da una semplicità quasi minimale, la povertà dei supporti di registrazione e la scrupolosa attenzione con cui cura ogni dettaglio delle produzioni della sua casa discografica indipendente Headlights Recording ( HEADLIGHTS (headlightsrecordings.blogspot.com) .
Nel 2022 ha prodotto ben tre cd, Hieme, Via e Lux, ciascuno in tiratura limitata di 100 copie, che mi sono affrettato a comprare. Ho un profondo rispetto per la tenacia e la coerenza artistica di Manuel Mota, non esito a definirmi un suo fan e sono sempre felice di ascoltare ogni sua nuova uscita. L’anno scorso, con Hieme, Via e Lux sembra aver voluto tirare le somme della sua lunga attività artistica immergendosi ancora di più nello studio del tono e delle texture generate dalla sua chitarra.
Mota sembra aver superato una visione dell’arte, della musica, come ‘mimesis’. Anziché il mondo come oggetto rappresentabile dall’arte e l’arte come rappresentazione del mondo, la musica di Mota sembra ricordarci come tutto ciò che l’uomo fa possa essere visto come rappresentazione, come figurazione, come concezione musicale. Il mondo di Manuel Mota non è più (solo) natura, ma il prodotto delle nostre mani. Mota con la sua chitarra, annuncia una nuova antropologia dove ogni attività e produzione dell’uomo vale in quanto comunicazione musicale e sonora su più livelli, nei suoi aspetti linguistici e estetici. Non credo che Mota si possa mai definire soddisfatto di quello che crea. Le sue forme mi sembrano sempre contenere un qualche elemento di imperfezione che le obbliga a cambiare, garantendoci una rappresentazione del mondo mai definitiva, una fase di approssimazione continua verso una forma futura. La sua musica è riflessione sulle forme, ipotesi di formalizzazione musicale di un mondo virtuale e continua riflessione sul mondo dato come oggetto sonoro. Una critica permanente del mondo in cui siamo coinvolti nel triplo ruolo di espositori, di esposti e di pubblico.
Forse è nel campo di tensione che Mota stabilisce tra un vuoto e l’altro che la sua musica moltiplica gli spessori di una realtà inesauribile di forme e di significati. La sua musica, la sua chitarra non sembrano conoscere realtà, ma solo livelli, texture. Il tracciato che Mota sa creare, i diversi livelli che sa distribuire nelle sue musiche, la successione dei veli e degli schemi forse si allontanano nell’infinito, forse si affacciano nel nulla. Il punto fondamentale, che rende la musica di Mota così affascinante, forse è proprio questo: la sua musica non conosce la realtà ma solo livelli, texture. Esistono solo la sua chitarra e lo spazio attorno. Ho spesso e volentieri accostato la figura musicale di Mota a quella di designer o architetto, professione che credo svolga nella sua quotidianità. La sua musica richiede continua attenzione e concentrazione, iniziamo ad aspettare la prossima nota, la nuova texture. Nulla è lasciato al caso e questo tipo di improvvisazione è sintomo di un’ottima preparazione e studio, un lavoro in cui l’intenzione è appena percepita. Mota è così. E’ già molto.