“Multinational corporations
Genocide of the starving nations”
Multinational Corporations, Napalm Death Scum
Senza “Scum” dei Napalm Death probabilmente non esisterebbero i Naked City di John Zorn e tanta della musica più eccitante ascoltata negli ultimi venticinque anni. Questo album, uscito nel 1987, essenzialmente un LP diviso tra due formazioni quasi completamente diverse, non solo è riuscito in un colpo solo a definire il grindcore con la sua voce ringhiosa, il noise, i riff influenzati dall’hardcore e i ritmi esplosivi più veloci di una locomotiva, ma ha anche anticipato e ispirato, con la sua fusione di anarco-punk e death metal, innumerevoli band e musicisti. Co-fondati a Birmingham, in Inghilterra, nel 1981 dal cantante/bassista Nic Bullen, che in seguito avrebbe suonato negli Scorn e altre band, e dal batterista Miles “Rat” Ratledge, i Napalm Death iniziarono come una band punk ispirata ai Discharge e politicamente carica. Il gruppo ottenne lo spazio di una traccia sulla compilation Bullshit Detector # 3 della Crass Records. Successivamente, si unì il chitarrista Justin Broadrick, e questa formazione formò il nucleo del genere “grindcore”. Broadrick, che proveniva da un background di musica industriale; avrebbe poi formato i Godflesh e i Jesu. Trovando un batterista più veloce in Mick Harris, il gruppo espulse Rat e con questa formazione registrò il lato A di Scum. Harris, autore sia del termine “grindcore”, sia dell’espressione “blast beat”, che descrive la maniacale tecnica di batteria da lui impiegata, poi sarebbe stato il fulcro della band, suonando in seguito in Painkiller, Lull e anche Scorn. La formazione del lato B comprendeva il bassista Jim Whiteley (attualmente nei Warprayer), il cantante Lee Dorrian, in seguito famoso per i Cathedral, e il chitarrista Bill Steer, che ha anche suonato nei Carcass in concomitanza con i Napalm Death. (Il compagno di band di Steer’s Carcass, Jeff Walker, disegnò la copertina dell’album)
“I just thought that it was exciting and—obviously not a word the practitioners would like to see associated with this music—but I also thought it was fun,” says Peel, who was 48 years old when he first played Napalm Death across national airwaves. “I started going to gigs and so on, and I liked the fact that people would do eight-second-long numbers and people would be shouting ‘too long’ or ‘too slow!’ A lot of various forms of popular music, people were becoming incredibly po-faced about it and wanted to see it as kinda exam subject material, so I quite liked the slightly tongue-in-cheek aspect of it.”
John Peel Choosing Death The Improbable History of Death Metal & Grindcore
La fama arrivò rapidamente, grazie anche alle ripetute trasmissioni in onda su BBC Radio One da parte di John Peel. Con la heavy rotation di “You Suffer”, brano che ha trovato un posto nel Guinness dei primati come la canzone più breve del mondo, il pubblico più eclettico di Peel ha iniziato a presentarsi ai concerti dei Napalm Death, attratto dalla batteria vorticosa di Harris. Spesso situato in club squallidi, come il Birmingham’s the Mermaid, il gruppo si affrettò a tenere il passo con se stesso, sia in termini di fama che musicalmente. Poco dopo il primo tour degli Scum, la formazione cambiò di nuovo, quando Whiteley lasciò il gruppo e si unì il nuovo bassista Shane Embury, esibendosi nel seguito di Scum, From Enslavement to Obliteration. Fino ad oggi, Embury rimane l’unico membro coerente dei Napalm dai loro giorni di svolta. Attraverso di lui, l’eredità di “Scum” sopravvive.
Perché “Scum” è stato e continua ad essere tuttora così importante? Nel suo bellissimo libro “Electric Wizards L’heavy music dal 1968 a oggi”, l’autore JR Moores afferma che con “Scum” i Napalm Death resero il punk rock più veloce e corposo di quanto chiunque potesse immaginare. Se “Scum” non si sarebbe rivelato altrettanto popolare quanto “Master of Puppets” dei Metallica, “Peace sells… but who’s buying?” dei Megadeath e “Reign in Blood” degli Slayer, né conteneva assoli lunghi e virtuosistici di chitarra o brani sulla magia nera, tuttavia avrebbe surclassato il livello di heaviness dei colleghi americani con un distacco importante sulla distanza temporale, continuando ad avere un’ampia e forte risonanza oltre i confini, gli oceani, le scene e i generi con ventotto brani duri, puri e incazzati, compressi in soli trentatré minuti.
“I was fucking stunned,” says Broadrick of Napalm’s growing countrywide reputation. “I really couldn’t believe that this album that I just gave away one day without a due concern was now lauded as some fantastic novelty record. And for the first six months, regardless of how popular it was, it did appear that that would be it. You didn’t think for a moment that this would grow into a big worldwide scene. Still, the network had gone past all of the early tape trading— this was serious now.”
Choosing Death The Improbable History of Death Metal & Grindcore pag 166
Questa musica, presa com’è dalla logica interstiziale, ebbe l’effetto di annullare i limiti temporali per dar vita a un suono come evento, senza durata e iconico in sé, responsabile unicamente dei possibili rimandi logici che la sua esistenza-dissolvenza continua a generare nel tempo, di modo che il senso sia rinvenibile solo come processo in atto.
“.. i Napalm Death erano una band che nel loro primo periodo ha significato molto per me. Di quella band, un musicista che sentivo realmente interessato alla musica era Mick Harris. Il fatto di aver potuto suonare con lui è stato molto importante: penso che sia uno dei più interessanti musicisti di quella generazione che ha tentato realmente di esplorare nuovi percorsi di creazione musicale.”
John Zorn in John Zorn Itinerari oltre al suono pag. 16
“Scum” ebbe un impatto globale, influenzando band in Giappone, nel Nord Europa e addirittura John Zorn, che, solo due anni più tardi, nel 1989, creò con i Naked City “Torture Garden”.

“In Torture Garden il mio lavoro fu di connettere insieme cose differenti da mondi diversi: elementi dell’hardcore, della mia vita in Giappone, del mio amore per il cinema: nessuna cosa specifica e molte cose in una miscela che era di grande frammentazione, di cambiamenti improvvisi che mi hanno interessato da sempre. Fin da quando ho cominciato a lavorare sull’improvvisazione, a suonare e a lavorare con gli altri musicisti, ho cercato di creare situazioni in cui i cambiamenti repentini fossero possibili.”
John Zorn in John Zorn Itinerari oltre al suono pag. 17
Il gomi musicale di Zorn si era da sempre assunto il ruolo di rompere le regole, prendendosi le sue responsabilità nello sforzarsi di dare nuova vita a materiali, tecnologie e musiche a strutture già esistenti e datate. Il risultato fu una musica di avanguardia che però non allontanava completamente l’ascoltatore più abituato alla musica di consumo. Il gomi di Zorn non era mai stato però nostalgico, non voleva riportare indietro le lancette dell’orologio o abbracciare filosofie new age dell’era dell’Acquario. Era l’esatto contrario. Nasceva e si alimentava nella Ghotam City newyorkese, nel suo crossover culturale, nella sua frenetica attività quotidiana, nei suoi infiniti stimoli culturali, tecnologici, razziali, musicali.
“L’album Torture Garden è in parte il frutto del mio interesse per l’hardcore, con cui vado indietro almeno una decina d’anni, con un coinvolgimento attivo di almeno cinque o sei.”
John Zorn in John Zorn Itinerari oltre al suono pag. 38
“Torture Garden” risultò essere elemento perfetto e summa della massima capacità di compressione delle informazioni e dei generi musicali. La musica e la copertina del disco, che riporta immagini tratti da un film sado-maso, furono causa del divorzio tra Zorn e la Nonesuch Records. “Torture Garden” venne prodotto dalla tranquilla casa discografica indipendente svizzera HotHat e segnò l’inizio del rifiuto ostinato di Zorn verso qualunque contatto con i giornalisti e i critici musicali. I violenti riferimenti alla scena hard core e metal divisero la critica e il pubblico. Torture Garden divenne subito un album da adorare o da odiare. No compromise.
“Con tutto il rispetto, i critici non hanno capito niente, assolutamente niente di ciò che succede sul palcoscenico, soprattutto con l’hardcore. E’ sempre comunque un problema di musicisti. Ce ne sono alcuni che suonano i soliti cliché perché, ad esempio, vogliono essere considerati musicisti jazz, e questo già può sembrare una cosa giusta… oltretutto da questa posizione potranno ricavare status, soldi, fama. Ce ne sono altri, hardcore, che suonano anche in bands minori, che sono sul palcoscenico perché amano la musica, e sono eccezionali, gente veramente aperta con cui ho suonato spesso e che ho scelto perché amo quello che fanno, quello che riescono a dare e in loro vedo ugualmente la possibilità di aprire la musica, renderla una forma ancora vivente.”
“John Zorn: Itinerari Oltre Il Suono Materiali Sonori Edizione Musicali, 1998” pag.16
“Torture garden”: aggressività strampalata di una generazione di estrema estrazione, swing nevrotico che si espandeva su 42 brani di 30-40 secondi (da un minimo di 8″ (Hammerhead) a un massimo di l’ 18″ (Osaka Bondage)), uno schizzatissimo grind alla Scum\ From Enslavement To Obliteration, che rimandava proprio ai primissimi e primitivi Napalm Death di Lee Dorrian\Mick Harris, un mood isterico che percorreva un tratto di assoluto non-controllo sonoro. Destabilizzazione sonora e mentale?
“All’aumento di velocità segue la riduzione della capacità di attenzione. Se in precedenza sembravano indispensabili blocchi di informazione di un minuto, ora bastano dieci secondi.”
John Zorn Sulla velocità “Panta” pag. 389
Col cavolo! Zorn e soci sapevano benissimo cosa facevano. Ho letto numerose critiche e recensioni che parlavano (in positivo e negativo) di improvvisazione libera. Nulla di tutto questo. Nessuna improvvisazione: tutto in questo album è stato preparato, composto e scritto con un tratto compositivo che presenta una sua ben definita caratteristica qualitativa jazz\fusion\swing aperto su un delirante e strettissimo grindcore, devastato dalla disumana voce (o kyai) di Yamatsuka Eye, anche lui vero pioniere del grind. Alberto Pezzotta nel suo saggio “Velocità e Citazione” fa un’analisi dettagliata e completa di come sono costruiti i 41 secondi del brano NewJersey Scum Swamp, rintracciando 24 frammenti musicali, 24 fotogrammi di pellicola musicale, montati sulla sequenza di un ritmo semplicemente frenetico e parossistico con aggiunta di interventi di rumore puro per aggiungere un senso di disordine e apparente discontinuità. L’analisi musicale di Pezzotta mette chiaramente in luce alcuni tratti tipici del montaggio musicale zorniano: temi e generi tra loro eterogenei e distinti vengono contrapposti, triturati e miscelati tra loro mantenendo tuttavia i loro tratti distintivi. Il principio è semplice e di chiara matrice post-modernista: amalgamare tra loro equiparandoli e riducendoli a meri ingredienti decontestualizzati melodia, ritmo e rumore, musica “alta” e “bassa”, generi più o meno facilmente riconoscibili e suoni e rumori indistinti.
“John Zorn: Itinerari Oltre Il Suono Materiali Sonori Edizione Musicali, 1998” pag.29
“La combinazione di velocità e compressione è infatti essenziale. Senza l’aumento della concentrazione, la velictà diventa inutile, come suonare un disco di new age a quarantacinque giri anzicè a trentatre: l’informazione continua a latitare, per quanto veloce lo si suoni. Non stiamo parlando di velocità fine a se stessa, ma di un modo di ristrutturare il tempo e accrescere la percezione e l’elaborazione dell’informazione all’interno del cervello umano.”
John Zorn Sulla velocità “Panta” pag. 389
Gli effetti di tale centrifuga sonora sono piuttosto evidenti sia in “Scum” che in “Torture Garden”. L’ascoltatore è costretto sia a un forte lavoro di concentrazione sia a rimanere come in sospeso in attesa dell’immediato, successivo e inevitabile noise di accompagnamento. In “Torture Garden” il processo di frammentazione viene accelerato al massimo: c’è anche un riferimento preciso nei titoli e nelle immagini allo splatter, vi bastino solo alcuni titoli: Thrash Jazz Assassin, Blood Duster, Shangkuan Ling-Feng, Perfume of a Critic’s Burning, Blunt Instrument, Sack of Shit, New Jersey Scum Swamp, Cairo Chop Shop, Victims of Torture e Fuck the Facts. La centrifuga di “Torture Garden”, massima esemplificazione di un mezzo oltre al quale non era possibile spingersi, permette di evidenziare un altro importante aspetto dei suoi meccanismi di composizione/montaggio: la velocità e la capacità di compressione delle informazioni. John Zorn esonera così l’ascoltatore da un’interpretazione rigorosa, gli sottrae gli strumenti per farlo. Avulso com’è da ogni schema, crea egli stesso la propria tradizione, disconnettendo e riconnettendo gli elementi in modo da creare qualcosa di nuovo mantenendo in vita la musica. Scherzando Zorn afferma che la sua è una musica adatta per persone impazienti, in quanto affollata da un alto numero di informazioni che cambiano molto velocemente: se arriva a qualche cosa non piace, basta aspettare dieci secondi così finché si trasforma in qualche cosa d’altro. Ma la velocità in Zorn è qualcosa di più, rappresenta una forza aggregante, centrifuga con la quale riesce meglio a unire tra loro i suoi blocchi di suono, facendo in modo che le sonorità “sporgenti” favoriscano l’incastro tra le schede d’archiviazione in cui annota i suoi pezzi. Ma c’è dell’altro per Zorn la velocità è una chiave di lettura, una parafrasi della nostra società, del nostro mondo: “Still, you’ve got to realize that speed is taking over the world. Look at the kids growing up with computers and video games-which are ten times faster than the pinball machines we used to play. There’s an essential something that young musicians have, something you can lose touch with as you get older. I love bands like Husker Du, Metallica, Black Flag, Die Kreuzen. Speed bands, thrash bands … it’s a whole new way of thinking, of living. And we’ve got to keep up with it. I’ll probably die trying.”
“Scum” e “Torture Garden” hanno saputo anticipare il movimento accelerazionismo di Mark Fisher, Nick Srnicek e Alex Williams, lasciando però una speranza fatta di rabbia, desiderio e velocità.
