Eugene Chadbourne interpreta i Book of Heads di John Zorn, il cerchio si è chiuso su #neuguitars #blog #JohnZorn #EugeneChadbourne

Eugene Chadbourne interpreta i Book of Heads di John Zorn, il cerchio si è chiuso su #neuguitars #blog #JohnZorn #EugeneChadbourne

Dicembre 2022. La Tzadik di John Zorn chiude idealmente un cerchio apertosi negli anni 70, pubblicando il cd “John Zorn’s Olympiad volume 3 Pops plays Pops”, dove uno dei miti dell’improvvisazione, il chitarrista Eugene Chadbourne, interpreta i Book of Heads, una serie di studi per chitarra improvvisata, per lui composti e a lui dedicati da John Zorn tra il 1976 e il 1978. Con questo cd si chiude idealmente un cerchio, un circuito lasciato aperto alla curiosità di musicisti e appassionati di musica, aprendo, come è giusto che sia quando si parla di un’opera aperta, ulteriori, eccitanti prospettive.

“Composed from 1976-1978 and now studied by guitarists the world over, The Book of Heads is one of Zorn’s most popular and oft-performed composition.”1

I Book Of Heads furono scritti, tra il 1976 e il 1978, appositamente per Eugene Chadbourne, e fondamentalmente incorporarono tutti i suoni più strani che si potevano creare sullo strumento all’epoca, utilizzando tecniche tipiche del modo di suonare di Chadbourne nella seconda metà degli anni ’70 (palloncini, un archetto, uno slide, mollette, matite, lamelle metalliche tipiche dei thumb piano) e altre idee maturate nell’ambito di un gruppo di abili e spregiudicati improvvisatori: Frith, Sharrock, Bailey, Kaiser, Duck Bake, Davey Williams, etc.

“In meeting Eugene Chadbourne in 1976 I found a kind of soulmate and we began to work together and hang on a daily basis, talking about a huge variety of music, films, books, philosophy and more. He was one of my first serious musical colleagues and we shared a lot of the same passions, imagining ourselves as a kind of”Bird and Diz.” We toured together, released self-produced records, made posters, played on each others’ compositions and improvised with a wide range of musicians and non-musicians, performing coundess gigs in and around New York, often at my apartment across from the Public Theater – a six floor walkup to an artist studio at 430 Lafayerre Street that was the first home of the Theatre of Musical Optics.”2

1Notes from the obi of the cd “John Zorn James Moore Plays The Book of Heads”, Tzadik, 2015

2Notes from the cd “James Moore Plays The Book Of Heads – CD and DVD of a film by Stephen Taylor”, Tzadik, 2015

Eugene Chadbourne non è un artista facile da descrivere. Nato nel 1954 e cresciuto a Boulder, in Colorado, ha iniziato a suonare la chitarra dopo aver visto i Beatles in televisione, a Ed Sullivan TV Show. Il suo stile, unico e personale, sembra essere il risultato bizzaro di un complesso incrocio genetico tra folk protest and free improvisation, noisecore e virtuosismo, Country & Western e free Jazz. Una forma così volutamente contraddittoria, così ridicolmente incompatibile, da sembrare semplicemente perversa. La sua prolifica produzione discografica è caratterizzata da freeform guitar, battute salaci, satira, commenti politici, rumori spaventosi e caos bizzarro, un duplice assalto sia al formalismo classico che al romanticismo rock. Portatore sano di un’estetica definita, non si fa scrupoli di manifestare la sua palese ostilità nei confronti della patina lucente della cultura alta. I dettagli incrinati della sua forma artistica la definiscono come un prodotto della controcultura degli anni ’60, di Captain Beefheart, la marijuana, Phil Ochs, le proteste di guerra antì-vietnarn, John Coltrane.

“l’ve always been a big fan of solos.I love bearìng groups where somebody ‘takes a solo’, it’s very very nice. One thing that might be lackìng in ìmprovised musc where everyone’s always active is that you don’t have soloists.”1

Perché queste composizioni sono così interessanti? I Book Of Heads rappresentano un esempio interessante di come una serie di spartiti grafici pensati per degli studi musicali possano diventare qualcosa di molto più semiotico, in cui il segno viene trasposto da uno scopo all’altro. In un certo senso i Book Of Heads ci insegnano come che la musica non deve essere più autoreferenziale. Non autoreferenziale nel senso della musica contemporanea, con l’abbandono di una posizione dominante da parte del compositore, in un modo simile ma rovesciato rispetto alle idee di Cage. Non autoreferenziale nel senso dell’improvvisatore che accetta di operare su strutture definite da altri che possono uscire dal loro percorso stilistico e dal loro immaginario, Non autoreferenziale nel senso della figura della musica stessa, che può guardare ad altre idee e altri aspetti della società. Il tutto senza prendersi troppo sul serio. Come nella versione “gonzo” di Chadbourne.

Sotto certi aspetti Zorn è un curioso e complicato mix, una sorta di ibridazione tra un compositore classico, un musicista jazz, un improvvisatore radicale, un imprenditore musicale, un esperto di musica pop, un collezionista di dischi, un cinefilo appassionato e un attento analizzatore della comunità culturale e urbana che lo circonda. La sua dedizione assoluta verso l’arte, una dedizione quasi da nerd e da stakanovista puro, l’ha portato a capire come i nuovi sviluppi della musica contemporanea possano essere felicemente traslatati attraverso una musica di derivazione popolare e nel modo in cui composizione e improvvisazione si possano unire tra di loro attraverso musicisti dotati di un livello di apertura mentale fuori dal comune. Con i Book Of Heads Zorn esce dagli spartiti delle sue composizioni più classicamente accademici, esce dal ruolo di conductor nei suoi game pieces, esce dal suo ruolo di improvvisatore radicale per creare degli ibridi che danno un nuovo senso a tutte le strutture musicali che lo circondano nell’ambito culturale newyorkese.

1Ben Watson, “Hobo trails and boho trials”, The Wire, Issue 177, November 1998, pag.50

“Toy ballons, talking dolls, mbira keys, wet fingers whops, whisks, knocks, multiple harmonics: these 35 études for solo guitar, composed in 1978 for Eugene Chadbourne, give a new meaning to the word ‘virtuoso’.”1

In un certo senso questi spartiti certificano il ruolo di “cronista culturale” di Zorn nel rappresentare, distillandola in una sorta di trentacinque piccoli haiku musicali per chitarra, una scena culturale e musicale, la New York underground alternative degli anni tra il il 1976 e il 1978. Ha seguito con cura quanto avveniva nell’underground di quegli anni, ha recepito quanto di meglio è stato realizzato in termini di creatività musicale e di comportamento sociale e l’ha condensato in trentacinque spartiti grafici, creando allo stesso tempo una tradizione che potesse continuare ad evolversi negli anni a venire tramite nuove generazioni di chitarristi. Questo cd sembra avere una storia un po’ da romanzo popolare. Kenji Shimoda registrò questi brani il 22 Agosto 2007 e il 2 ottobre 2008 al Kampo Cultural Center, a Kyoto. Con un ritardo di dodici, tredici anni rispetto alla prima registrazione integrale avvenuta nel 1995 da parte di Marc Ribot. Poi il Kampo Studio chiuse e delle registrazioni si perse ogni traccia. Come nei migliori romanzi popolari tredici anni più tardi vennero ritrovati dallo stesso Shimoda, rimasterizzati e selezionati per questo cd, quindici studi sui trentacinque composti da Zorn. Valeva la pena di aspettare tutto questo tempo? Decisamente sì. L’interpretazione di Chadbourne è spettacolare, vera gonzo music per intenditori. Da bravo interprete e ispiratore il chitarrista si prende ampi margini sia di rischio che di libertà. I brani vengono tutti comodamente dilatati, raggiungendo lunghezze inusuali rispetto a tutte le altre interpretazioni che avevo precedentemente ascoltato. In più Chadbourne non resiste ad aggiungere il suo persoanle sense of humor, rendendo queste esecuzioni davvero spassose e divertenti, aliene da qualunque autocompiacimento, tipico di certa musica contemporanea. Nei Book Of Heads l’interprete, l’esecutore non è più un mezzo, un intermediario, bensì uno stretto collaboratore, un investigatore. Gli viene affidato un piano di azione, più o meno preciso, un certo numero di strutture che egli può combinare nella maniera che gli è più congeniale. Anche in questo caso la composizione non è più qualcosa di già fatto, ma piuttosto qualcosa da fare, fatto per essere adattato. Da mezzo di comunicazione essa diventa mezzo di cooperazione e questa specie di forma aperta ha talvolta reso necessarie nuove concezioni della notazione stessa basate quantitativamente e qualitativamente non solo sulle note ma anche sulle azioni. Tutto ciò è direttamente collegato alla poetica dell’opera aperta.2

Nella musica penso che una composizione, un brano debba funzionare su molti livelli differenti. Deve essere qualcosa che che possa essere avvicinata al livello, più immediato, più semplice e poi oltre questo livello evidente dovrebbero esserci dei livelli più sottili, complessi. La musica sperimentale oggi ha saputo ormai crearsi un suo linguaggio, in parte derivato dal vecchio, in parte nuovo. Un fenomeno che ha origini molto profonde, non solo musicali ma anche politiche e sociali. Al giorno d’oggi esiste un pluralismo musicale e il mio piacere e dovere è quello di navigare tra questi linguaggi cercano il filo che li tiene assieme. Zorn e i Book Of Heads ne sono un ottimo esempio. Personalmente non concepisco la storia in maniera deterministica, come una serie di fatti che avvengono perché c’è stata una causa che ha prodotto determinati effetti. Nella musica non c’è quella linearità di sviluppo che permette alla scienza (una visione molto leggera di scienza) di fare previsioni sulla base di esperienze e di dati acquisiti. Come ogni forma di creatività i BOH sono più di un semplice fatto individuale. La creazione ha bisogno di dialogo, di interlocutori e quella musicale ha bisogno anche di interpreti nel senso più concreto del termine. Ma gli interpreti non si inventano, come non si inventa il pubblico: sono parte di un processo culturale e evolutivo che implica un dialogo, non sempre pacifico. Il compositore, l’interprete e l’ascoltatore non appartengono a categorie socio-culturali differenti. Tutti e tre producono cultura. I BOH sono la dimostrazione di come linguaggi non si inventano: si formano e si trasformano, sotto ogni sorta di influenze, anche estranee alla musica. L’arte non è sorda alla storia.

Bibliografia:

Andrea Aguzzi, John Zorn The Book Of Heads: John Zorn The Book Of Heads – NeuGuitars

1Notes from the obi of the cd “John Zorn The Book of Heads”, Tzadik, 1995

2Umberto Eco, Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee, Bompiani, 2013


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