Vita, suono e materia nello spazio interstellare di John Coltrane, Nels Cline e Gregg Bendian su #neuguitars #blog #JohnColtrane #NelsCline

Vita, suono e materia nello spazio interstellare di John Coltrane, Nels Cline e Gregg Bendian 

Nels Cline

A proposito di questi spazi interstellari. Credo sia necessario fare un po’ di storia. Siamo nell’aprile 1967, quando John Coltrane firmò il suo secondo contratto a lunga scadenza con la Impulse! Records. Un contratto che, però, non poté onorare fino in fondo, causa la sua prematura morte avvenuta solo tre mesi dopo, nel luglio ’67. Solo tre mesi in cui, tuttavia, Coltrane lavorò in studio in modo così frenetico e intenso da permettere all’etichetta di avere abbastanza materiale inedito già inciso da poter compilare una dozzina di album postumi. Tra questi, una delle sue migliori registrazioni di sempre: Interstellar Space, pubblicato nel 1974 per volere della vedova del musicista, Alice Coltrane. Nei due anni precedenti, il progressivo coinvolgimento di Coltrane nel jazz d’avanguardia, aveva causato la defezione dei membri del suo quartetto classico e infuocati dibattiti tra gli appassionati di jazz. La musica del sassofonista si era fatta nel tempo sempre più complessa, ostica, sperimentale, in egual misura eterea e sanguigna, feroce e piena di pace ultraterrena. Coltrane, canonizzato come santo dalla African Orthodox Church a San Francisco,

St. John Coltrane African Orthodox Church (coltranechurch.org)

decise di muovere la sua musica verso la singolarità, verso la trascendenza della stessa voce del suo sassofono. Una sorta di liturgia mistica personale, dopo la perfezione salmica di A Love Supreme. Con Interstellar Space, Coltrane realizzò un album dalle vette cosmiche e dal rigore quasi francescano, spogliato del leggendario quartetto, con solo Coltrane e Rasheed Ali alla batteria. Fin dalla sua uscita, l’album è divenuto fonte di ispirazione per tutta una schiera di nuovi musicisti d’avanguardia come Charles Gayle, Andrew Cyrille, David S. Ware, Ivo Perelman, Assif Tsahar e Louie Belogenis.

Ma bisogna averne di coraggio per osare di fare una reinterpretazione, e tuttavia, il batterista free-jazz Gregg Bendian degli Interzone e il chitarrista Nels Cline hanno tentato di fare proprio questo, nel 1999, per la Atavistic Records. Questo album è stato realizzato nel 1999. 1999 capite? Quasi venticinque anni fa, praticamente un’era geologica con tutto quello che è successo in tutto questo tempo, ed è tuttora incredibilmente potente, attuale e energico come alla sua data di uscita. Ora, la semplice idea che qualcun altro possa suonare la musica di John Coltrane è già di per se un paradosso. Tuttavia, credo che Cline e Bendian abbiano preso la giusta decisione, scegliendo di suonare rispettando lo spirito di John Coltrane. La loro musica punta verso una ascesi rumorosa, libera e sperimentale.

Nels Cline offre una chitarra satura di energia elettrica e di un poderoso feedback ininterrotto. La batteria di Bendian, che abbiamo già incontrato in “The Sign of Four” con Pat Metheny e Derek Bailey, riesce a mantenersi su tali livelli di astrazione, scegliendo uno stile più energico e quasi rock, rispetto all’agilità ritmica di Ali. Non c’è alcun dubbio che l’album sia ispirato o, almeno, posseduto dalla identità originaria di Coltrane. “Interstellar Space Revisited” è un’interpretazione lungimirante e millenarista della musica dell’ultimo, coraggioso periodo della vita di Coltrane.

E’ un album dotato di una energia e di una vita propria, in cui traspare un senso di profonda umiltà e di sincero rispetto nei confronti del grande sassofonista afro-americano. Allo stesso tempo i due musicisti riescono a dare un impulso innovativo, traghettando l’opera di Coltrane quasi in un altro sistema solare. Sono passati quasi 25 anni da quando “Interstellar Space Revisited” è stato prodotto dalla Atavistic e ancora nessuno ha avuto il coraggio di raccoglierne il testimone e di tornare ad esplorare le vastità dello spazio interstellare. Si sa, ogni interpretazione impoverisce il mito e lo soffoca. Coi miti non bisogna avere fretta: è meglio lasciarli depositare nella memoria, fermarsi a meditare su ogni dettaglio.

La musica di Coltrane è diventata qualcosa di “classico”. Ha superato i confini delle nazioni, i diversi colori della pelle degli uomini, ha raccontato gioie, dolori, emozioni, spiritualità, misticismo, a persone sconosciute che non lo hanno mai incontrato di persona. Aspetta il momento di venire riletta, reinterpretata in una nuova formula, sotto una diversa angolazione. Le emozioni che la musica di Coltrane suscita sono forse eterne, ma i mezzi devono costantemente cambiare, sia pure in modo assai lieve, per non perdere la loro virtù. L’arte di oggi deve sapersi sintonizzare sulla lunghezza d’onda di questi segnali, captarli e tradurli in nuovi codici. Coltrane fa ormai parte di questa vitale eternità, Cline e Bendian sono riusciti a dargli una nuova energia e trasportarlo nel presente.


Processing…
Success! You're on the list.